Beppe Grillo è il padrone del MoVimento 5 Stelle (ma da un grande potere…)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-09-24

…continuano a derivare grandi responsabilità. Anche economiche. Come nel caso dei risarcimenti chiesti dagli espulsi. Che oggi continuano a bloccare le modifiche a regolamento e statuto annunciate a luglio e poi sparite anche da Italia5Stelle. Per una ragione precisa: il problema delle espulsioni e dei risarcimenti

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«Ma allora sei rientrato mi dicono? Sì sono rientrato»: Beppe Grillo lo dice forte e chiaro sul palco del Foro Italico di Palermo, Roberta Lombardi lo aveva annunciato in un’intervista al Fatto Quotidiano: «Mi aspetto un annuncio importante anche quest’anno. E mi attendo che gli venga dato seguito, da tutti». Il capo politico del M5S ha spiegato che il passo di lato è rientrato: per la morte di Gianroberto Casaleggio, ma soprattutto per i tanti casini scoppiati a Roma con gli scontri tra direttorio, minidirettorio e sindaca.

Beppe Grillo è il padrone del MoVimento 5 Stelle

«Ebbene sì sono rientrato. Prima c’era Gianroberto Casaleggio, lo sentivo cinque volte al giorno, è chiaro che mi manca. Ora sono rimasto io e quindi nessun passo di lato», ha chiarito Grillo. Che ha anche annunciato, poco chiaramente, anche un altro cambio: “Faremo dei regolamenti” e “in tv ci andrà chiunque, chiunque avrà da parlare di un argomento“. Niente più portavoce telegenici, secondo una necessità che sembrava sentita soprattutto dai senatori, visto che per molto tempo sono stati ostracizzati dalla Comunicazione a vantaggio dei deputati. Non molla più il simbolo del M5S al direttorio, come si raccontava fino a qualche tempo fa. E quindi rimane ancora il padrone a tutti gli effetti di un partito nel quale permane, fino ad oggi, la regola dell’uno vale uno ma qualcuno vale come nessuno. Perché dal dicembre 2014 è in vigore un regolamento in base al quale il “capo politico” del MoVimento 5 Stelle (ovvero Beppe Grillo) può decidere, in base a segnalazioni o di propria iniziativa, di sospendere qualcuno dal M5S; l’interessato ha dieci giorni di tempo per presentare controdeduzioni, trascorsi i quali Grillo può espellerlo e ciao; se presenta ricorso, questo sarà esaminato da un comitato d’appello composto da tre membri, due nominati con voto sul blog (Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri) e uno nominato da Beppe Grillo (Vito Crimi). E a quel punto cosa succede?

Se il comitato d’appello ritiene sussistente la violazione contestata, conferma l’espulsione in via definitiva. Se il comitato d’appello ritiene insussistente la violazione contestata, esprime il proprio parere motivato al capo politico del MoVimento 5 Stelle, che se rimane in disaccordo rimette la decisione sull’espulsione all’assemblea mediante votazione in rete di tutti gli iscritti, la quale si pronuncia in via definitiva sull’espulsione.

Insomma, se i membri del comitato (che si potevano eleggere tra cinque scelti da Beppe Grillo..) trovassero per caso il coraggio di dissentire da Beppe Grillo sull’espulsione del soggetto che il capo politico del M5S ha deciso, ci sarebbe un voto sul blog del tipo “Volete Gesù o Barabba?”. Finora questo comitato d’appello non è mai entrato in scena. Perché, come hanno precisato in lungo e in largo i parlamentari, sul caso Pizzarotti «è tutto in mano a Beppe Grillo», ovvero la procedura si è arrestata dopo la presentazione delle controdeduzioni alla sospensione. L’interessato aveva tempo dieci giorni per presentarle, ma nel M5S uno vale talmente uno che il capo evidentemente non ha un limite di tempo per decidere cosa fare dopo la presentazione delle controdeduzioni. Può attendere quattro mesi, come nel caso del sindaco di Parma, senza far sapere cosa succede. Uno vale poco, anche se l’hanno eletto i cittadini. E come mai il caso Pizzarotti è in questa situazione di stallo?
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Ma da un grande potere derivano grandi responsabilità (anche economiche)

Il problema è che da un grande potere derivano grandi responsabilità, come ben sa l’Uomo Ragno. Ricorderete che nella metà del luglio scorso comparve un post sul blog di Beppe in cui si annunciava un voto, poi rinviato alla settimana successiva, per un cambio dello Statuto di cui gli iscritti non hanno mai ricevuto il testo. Nemmeno i parlamentari ne sapevano nulla. In che modo sono state decise le modifiche? Lo ha fatto – rivelava il Fatto Quotidiano qualche tempo fa – il leader e gli avvocati del Movimento (tra i quali il nipote di Grillo, Enrico). Sono stati coinvolti gli iscritti? No, ma il componente del Direttorio (altro organismo introdotto con atto d’imperio dall’Umile Portavoce) Carlo Sibilia ha fatto sapere che le modifiche al Non Statuto e al Regolamento sono state fatte tenendo conto dei suggerimenti del Direttorio. Quindi l’Assemblea degli iscritti non è stata consultata. Nemmeno in Rete. Nel post che annunciava le votazioni per la ratifica delle modifiche Grillo lasciava intendere che la partecipazione alle votazioni online assolveva gli obblighi di convocazione dell’assemblea degli iscritti. Ma a quanto pare le cose non sono così semplici, come spiegò qualche tempo fa l’avvocato Lorenzo Borré, che assiste in tribunale gli iscritti di Roma e Napoli che sono stati espulsi e hanno fatto ricorso, cogliendo alcune prime e importanti vittorie (come la riammissione) in aula:

Per esempio?
“Per esempio la funzione assembleare”.
Non parli in avvocatese.
“L’assemblea è un organo deliberativo, un momento politico imprescindibile.  Sa quante volte si è riunita, l’assemblea dell’associazione del 2009? Mai”.
Le votazioni online non valgono come riunioni di assemblea?
“Secondo me no. Le due cose non sono equiparabili. In assemblea si sta tutti insieme, si può discutere. Sul blog ci sono più che altro dei plebisciti, non delle discussioni: volete espellere questa persona, sì o no? Salvate Barabba o Gesù? Il consiglio di stato, nel 1975, ha stabilito che è nullo uno statuto che preveda la delibera referendaria invece che assembleare”.
E quindi?
“Quindi quando dicono: “adesso modifichiamo lo statuto”, i Cinque stelle ricadono nello stesso errore e dimenticano un particolare”.
Quale?
“Non è Grillo o il direttorio che possono fare modifiche. Serve l’assemblea. Ma, per il codice civile, dovrebbero partecipare almeno tre quarti degli iscritti che oggi sono 120 mila. Dunque dovrebbero esserci 80 mila persone, dire di sì in 40 mila. Ci vorrebbe uno stadio. Ammesso che basti. In una riunione di condominio con 200 persone, già  non si combina niente”
Non si potrebbe delegare?
“Il sistema dei delegati non è previsto. C’è la democrazia orizzontale. Servirebbe una modifica statutaria”.

In primo luogo quindi la mera funzione di ratifica (il quesito sarà del tipo sì o no) non è una decisione assembleare. L’assemblea si deve riunire per discutere e deliberare, non per approvare un testo già pronto preparato dagli avvocati del Movimento (quello del 2013). Da un punto di vista teorico poi non sono Grillo, i suoi legali o il Direttorio a poter fare modifiche allo statuto ma l’assemblea degli iscritti alla quale è necessario partecipi almeno i tre quarti degli aventi diritto (ecco perché Grillo parla della partecipazione del 75%).

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Il post di Beppe Grillo che annunciava il voto per statuto e regolamento del M5S

I predatori del regolamento perduto

Quella procedura si è interrotta senza spiegazioni. C’è chi – nel libro di Marco Canestrari e Nicola Biondo – ha raccontato di un litigio tra Grillo e Davide Casaleggio per la pubblicazione di quel post che sarebbe stata inopportunamente anticipata. Ma questi sono dettagli. Il punto è che nemmeno durante Italia5Stelle, e a differenza di quanto era stato in qualche modo sussurrato, si voterà sulle modifiche al regolamento. La sentenza del Tribunale di Napoli che dopo quello di Roma ha dato ragione ai ricorsi degli espulsi, ha messo in difficoltà i vertici pentastellati costretti a rivedere le proprie norme interne. Soprattutto per le espulsioni, come spiegava qualche tempo fa Ilario Lombardo sulla Stampa:

Il capitolo più delicato resta quello delle epurazioni. Non è sicuro che le nuove regole avranno valore retroattivo sulle passate espulsioni. Grillo lo sa bene e ha intuito quali potranno essere le conseguenze, soprattutto economiche. Con centinaia di espulsi con cui fare i conti, i ricorsi potrebbero essere a valanga, e i risarcimenti pure. E neanche a lui sarà sfuggita la voce di parlamentari e attivisti pronti a chiedere i danni. «Ragazzi – è il senso del suo ragionamento – sono io che ci vado di mezzo, è a me che chiederanno i risarcimenti». Il comico, che già ha speso tanto, in soldi e in sforzi personali, per il Movimento, non vuole rimetterci più di tasca propria. Ecco perché ha chiesto una revisione del proprio ruolo di leader. Oggi Grillo è garante delle regole del Movimento e presidente dell’Associazione da cui origina il M5S registrata nel 2013 davanti a un notaio di Cogoleto.

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Secondo quanto si raccontava all’epoca, la titolarità legale e le responsabilità normative sarebbero dovute passare all’Associazione Rousseau, a cui sarebbe dovuta finire anche la proprietà del simbolo. Ma tutto questo meccanismo per ora è stato sospeso, in attesa di regolare discussione e votazione dell’assemblea degli iscritti. Ad oggi quindi, con alcuni degli espulsi pronti a chiedere 150mila euro e qualcuno deciso a puntare molto più in alto, chi dovrà pagare in caso di sconfitta in tribunale? E con i soldi di chi? Da un grande potere derivano grandi responsabilità.

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