Un mostro macerato dall’infelicità

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“Un giorno il fascismo sarà curato con la psicoanalisi.” [Ennio Flaiano]



Il disgraziato ragazzo di Macerata andrebbe portato nelle scuole a parlare con i ragazzi, ma non per mettere il mostro alla gogna, ma per fargli raccontare l’infelicità che lo ha portato a essere ora mostruosamente infelice.

La dottrina di cui si è fatto portatore (come tanti altri integralismi: fate caso all’età che lo accomuna anche ai terroristi Isis) è dottrina d’odio e si nutre delle infelicità e delle frustrazioni del singolo, scatenando in lui altre frustrazioni che tenta inutilmente di sfogare colpevolizzando solo gli Altri, i Diversi – qualunque diverso: non a caso vittime dell’intolleranza sono, tra gli altri, gli omosessuali, i non italiani, i diversamente pigmentati, e chiunque la “pensi” diversamente – e questo agire, questo pensare, osteggia l’unica vera cura per la serenità e la pace con se stessi, ossia il guardarsi dentro, il curarsi e l’arricchire il proprio animo. Ogni integralismo adotta come prima vittima il proprio sostenitore e lo brutalizza rendendolo ‘pazzo’, perché l’odio è doloroso e insopportabile anche quando sembra di poterlo indirizzare ad altri.



Dunque portatelo davanti ai giovani e fategli spiegare la sua rabbia in modo che se ne possa liberare (sì, per salvarlo, per avere un infelice in meno), in modo da far comprendere ai ragazzi quanto la banale serenità possa essere preziosa. Fategli incontrare i Diversi in modo che possa capire quanto nessuno è diverso nelle paure, nelle debolezze, nelle speranze e nelle fatiche quotidiane. Fategli raccontare che adesso, lui, per molte e molte sere, non avrà più divano e tv da godere a piacere, che non avrà più un letto comodo, che non potrà più scegliere cosa mangiare in qualsiasi momento della giornata, che non potrà più ridere con gli amici, che non potrà uscire a prendersi un gelato, che non potrà più accarezzare la sua ragazza, che potrà vedere il sole solo da una finestra, che non potrà sentire l’odore della primavera. Fategli raccontare che se invece di quei due libri sul comodino ne avesse avuti altri, le cose sarebbero andate diversamente anche per i suoi famigliari ora obbligati a vederlo solo in una stanza grigia e chiusa; che avrebbe ancora le sue sacre libertà. Fategli spiegare che quello che ha fatto è solo l’ultimo errore, il più orrendo, di una vita spesa male tra imposture più grandi di lui; e che se voleva indurre qualcuno a pagare per le proprie colpe, ora queste si sono riversate giustamente tutte su di lui. Fategli spiegare che il pensiero che lo ha catturato è la strada per l’infelicità permanente che non ammette sentimenti di comprensione, che non ammette la comprensione dei sentimenti: è la vana ricerca dell’equilibrio desiderato per se stessi che, delusa, sfocia nella prepotente pretesa di trovare un equilibrio nell’ambiente circostante.



Insomma, non nascondete il mostro rendendolo mito oscuro; mostrate la disumana ottusità che lo ha catturato, e specificate che la parola cattiveria ha origine dal latino captivus – prigioniero (di se stesso) – e che quindi il suo essere cattivo è la sua prigionia. I cattivi esempi servono per non essere seguiti, e nessuno vuol essere così infelice da odiare se stesso e gli altri.