Come sarà la Turchia di Erdogan dopo il referendum

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I "Sì" alle riforme costituzionali che assegnano tutti i poteri al presidente ottengono il 51,3% contro il 48,7 dei "No". La Turchia si avvia a diventare una autocrazia di stile mediorientale

Recep Tayyip Erdogan diventa super-presidente: la vittoria al referendum costituzionale che sancisce il passaggio della Turchia al presidenzialismo è di misura (i sì sono di poco sopra al 51%, con una differenza di un milione di voti): le modifiche approvate entreranno in vigore nella prossima legislatura, ovvero dal 3 novembre 2019.



Come sarà la Turchia di Erdogan dopo il referendum

La riforma prevede, tra l’altro, la regolamentazione relativa allo stato di emergenza, norma che vige initerrottamente dallo scorso 22 luglio, una settimana dopo il fallito golpe. Il parlamento avrà tre mesi per approvare lo stato di emergenza, al quale è stata aggiunta la previsione (eventuale) della leva di massa. Il presidente della Repubblica potrà anche proporre la sospensione o la limitazione di diritti civili e libertà fondamentali. Prevista l’eliminazione delle corti e dei giudici militari, con il numero dei membri della corte costituzionale che, di conseguenza, si riduce a 15.

VIDEO: People protest ‘shady’ Turkey referendum result in several major districts of Istanbul, including Besiktas – Kom News pic.twitter.com/6dkGIncdb9



— Kom News (@KomNewsCom) 16 aprile 2017


Viene ridisegnata la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, che diventa “Consiglio dei giudici e magistrati” e passa da 22 a soli 13 membri, che si riuniranno sotto la presidenza del ministro della Giustizia. Tre dei tredici membri saranno scelti da presidente della Repubblica, gli altri 10 saranno eletti dal parlamento ogni 4 anni. La nuova costituzione prevede che il presidente della repubblica possa presentare una proposta di bilancio, che poi sarà discussa dalla commissione bilancio.



#Turkey: Protest in #Istanbul against electoral frauds in #Turkeyreferendum. Via @isyandan_org pic.twitter.com/07RC0ki5fe

— ubique (@PersonalEscrito) 16 aprile 2017

La Turchia del Sultano

A subire un importante cambiamento anche i meccanismi che portano alla messa in stato di accusa del presidente della Repubblica, i (previsti) vicepresidenti e gli esponenti del governo, per la quale è richiesta la maggioranza assoluta dei voti del Parlamento, che conterà 600 parlamentari. La proposta deve essere poi discussa entro un mese e approvata dai tre quinti dell’Assemblea. In base alla composizione di quest’ultima sarà poi formata una commissione di 15 parlamentari che in due mesi (più un terzo eventuale) dovrà pronunciarsi sul caso è produrre un’informativa per il parlamento cui spetterà la pronuncia definitiva nei 10 giorni successivi, pronunciandosi in via definitiva sulla messa in stato di accusa. Per rimettere al giudizio della Corte Suprema le più alte cariche dello Stato serviranno poi i due terzi dei voti a favore, e spesso con voto a scrutinio segreto. La Corte Suprema ha poi 90 giorni (più altri eventuali 90) per pronunciarsi sull’incriminazione.


In caso di sentenza di condanna per un crimine che comporta ineleggibilità, l’imputato decade automaticamente dalla carica. Prevista l’impossibilità di andare alle urne durante tutto il procedimento per mettere in stato di accusa presidente, i vice presidenti (che potranno essere più di uno) ed esponenti del governo. L’attribuzione e abolizione di poteri e funzioni degli esponenti colpiti dal procedimento saranno regolamentati per decreto. E’ previsto il contemporaneo svolgimento delle elezioni presidenziali e parlamentari, prevedendo legislature della durata di 5 anni per Capo dello Stato e deputati. Con la maggioranza dei due terzi dei parlamentari il presidente potrà anche svolgere un secondo mandato.

Un potere assoluto

Ridimensionato anche il ruolo di controllo che il parlamento esercita su governo e presidente, un’attività che viene limitata alla possibilità di richiedere informazioni, indire riunioni per discutere delle azioni dell’esecutivo e del capo dello stato, con inoltre la possibilità di sollecitare delle risposte da parte dei singoli ministri con domande poste per iscritto. A pesare è però l’abolizione della mozione di sfiducia del parlamento nei confronti di presidente ed esecutivo. Tra i nuovi prerequisiti richiesti ai candidati alla carica di presidente della Repubblica un’età almeno 40 anni, una laurea e ovviamente tutti i requisiti per poter essere eletto in Parlamento. Inoltre sarà possibile per il capo dello Stato mantenere il legame con il proprio partito di provenienza, nel caso di Erdogan il partito della Giustizia e Sviluppo AKP, legame che nelle precedenti previsioni doveva essere troncato a favore di un giuramento di totale imparzialità.


Confermata l’elezione diretta da parte del popolo il presidente acquisisce tutti i poteri esecutivi fino ad oggi attribuiti al premier, passando cosi alla guida del governo. Il nuovo “Capo dello Stato” avrà l’autorità per proporre leggi e rimettere al parlamento disegni di legge chiedendone la revisione e, qualora sorgano dubbi di costituzionalità, chiedere la pronuncia da parte della Corte Costituzionale. In capo al presidente della Repubblica la funzione di nomina e destituzione di vicepresidenti, ministri e funzionari governativi, ma soprattutto il potere di emettere decreti legislativi su argomenti normalmente di competenza del governo, con l’esclusione di materie relative libertà fondamentali e diritti civili e politici.

Prossima fermata: elezioni

Erdogan adesso potrebbe voler far indire elezioni anticipate, ma non per accelerare i tempi dell’entrata in vigore della riforma, ma solo per rinsaldare il suo potere e la forza dell’Akp, il suo partito, che non ha più la maggioranza assoluta alla Camera dalle precedenti legislative del novembre 2015 (ha 258 seggi su 550). Il suo partito e i nazionalisti del Mhp, che hanno votato i 18 emendamenti alla costituzione in parlamento, hanno infatti perso circa un 10% di voti. Un dato incontrovertibile che rende più difficile stravolgere l’architettura costituzionale del Paese. Quel che è  però certo, al di la’ dei tempi in cui la riforma verrà attuata, è che il presidente ha allungato il proprio orizzonte politico almeno fino al 2029, con la possibilità, in caso di scioglimento anticipato della seconda legislatura, di arrivare al 2034. Considerando che Erdogan è al potere come premier dal 2003 si configura uno scenario in cui anche Mustafa Kemal Ataturk viene superato in longevità, passando da “padre della patria” a “nonno”, perché la Turchia ha scelto un nuovo “padre” per il suo prossimo futuro, lasciandosi alle spalle il passato kemalista.