Tomaso Montanari e Grasso leader come scelta di palazzo

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-11-20

Il presidente di Libertà e Giustizia certifica la rottura anche a sinistra della sinistra

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Il presidente di Libertà e Giustizia Tomaso Montanari rilascia oggi un’intervista a Repubblica per certificare una rottura anche a sinistra della sinistra, con i leader del Brancaccio che non hanno nessuna voglia di partecipare alla Cosa Rossa anche se questa non si alleerà con il Partito Democratico.

«Potremmo tornare sui nostri passi solo se si rinvia l’assemblea del 3 dicembre, convocata dai tre leader a sinistra del Pd Roberto Speranza, Giuseppe Civati e Nicola Fratoianni. L’altra strada è mantenere quella data e trasformare l’assemblea da una riunione per delegati a un evento realmente democratico, aperto a tutto il popolo della sinistra e senza decisioni prese a tavolino. Ma nutro forti dubbi che questo accadrà».
Partiamo dall’inizio. Che cosa voleva essere il Brancaccio?
«L’idea nasce dal vivaio del comitato del No al referendum costituzionale, in cui c’era anche un mondo di sinistra fatto di associazioni e comitati che non ha rappresentanza politica. Abbiamo pensato che la via per rifondare la sinistra fosse far dialogare i partiti con pezzi della società civile».
Quello di raccordare il mondo dei civici alla politica non è lo stesso sforzo di Pisapia?
«Sì, ma nel suo caso con l’idea di stare con il Pd. Una contraddizione macroscopica per noi inaccettabile».

tomaso montanari anna falcone

Perché il Brancaccio è fallito?
«Non volevamo programmi e leader designati dai partiti».
Si riferisce a Pietro Grasso?
«È evidente, non ho apprezzato questa scelta di palazzo».
E poi che cosa è successo?
«Arrivati al dunque è stato chiaro che i partiti avevano in mente il modello tradizionale di una lista arcobaleno con una spruzzata di società civile. Hanno lanciato l’assemblea del 3, costruendola come una spartizione di posti tra partiti, con quote predeterminate. Ma il Brancaccio non è una componente, non ha tessere, è un metodo di fare politica».

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