«Noi senza governo stiamo meglio»

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In Spagna non c'è un esecutivo con pieni poteri dallo scorso dicembre. Ma il PIL cresce. Coincidenze?

Ettore Livini su Repubblica di oggi racconta la non tanto strana storia della Spagna, che dopo due turni elettorali non ha ancora una maggioranza in parlamento capace di votare i pieni poteri al governo, ma il PIl cresce e il paese migliora. La stessa cosa era accaduta al Belgio, che è rimasto 541 giorni senza governo senza avere particolari problemi a partire dal 2010.



Senza un primo ministro le cose — in Spagna — vanno a gonfie vele: il Pil cresce a ritmi da tigre asiatica (+3,2% le previsioni 2016), a luglio sono stati creati 84mila posti di lavoro, lo spread con i Bund è più basso di quello dell’Italia. E per la prima volta da otto anni — la prova regina del benessere ritrovato — le aperture di bar per le Tapas hanno superato le chiusure. Squadra che vince — anche quando la squadra non c’è — non si cambia. E un pezzo del paese, malgrado le preoccupazioni di Bruxelles, spera in gran segreto nel flop di Rajoy e in nuove elezioni — previste il giorno di Natale — per continuare a sognare.
Antonio Arroyo, 24 anni e una laurea in economia aziendale mai sfruttata («Mi barcameno con collaborazioni saltuarie») è uno dei tanti fan di questa strana anarchia iberica. «La politica ha fallito. Siamo orfani del bipolarismo. In questi giorni i partiti litigano persino su dove sedersi in Parlamento. Io vedo i fatti — dice bevendo un bicchiere di bianco in un bar a fianco del Prado — da quando la Spagna non ha più medici al capezzale sta molto meglio!».

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Lui — a dire il vero — non ne ha beneficiato troppo («Sono al verde, tra due giorni parto per fare la vendemmia a Martignol in Francia, prendo 2mila euro in tre settimane»). I numeri però sembrano dargli ragione. Il limbo della politica non ha frenato i consumi, saliti del +4,9% a luglio. Le banche — salvate nel 2012 da 40 miliardi della Ue — «hanno ripreso a dar soldi ad aziende e cittadini», festeggia il segretario di Stato all’economia Inigo Fernandez Nemesa. Il tempo — governo o non governo — sta cicatrizzando persino le ferite della “Burbuja del Ladrillo”, la bolla del mattone che ha messo in ginocchio il paese nel 2008: «Due anni fa qui vivevano 3mila persone. Ora siamo 8mila e nessuno ci chiama più “gli spettri della città fantasma”», ride Angela Lambea, grafica di 34 anni e fresca acquirente per 98 mila euro di un appartamento di 100 metri quadri alla Sesena, la mega-speculazione del palazzinaro Francisco Hernando Contreras, al secolo “El Pocero” (lo spurgafogne). Lui è fallito, la sua (ex) cattedrale nel deserto a sud della capitale è finita sul groppone delle banche. E proprio ora, con buona pace dei 254 giorni senza premier, sono rispuntati gli acquirenti a riempire gli spazi vuoti: «Io e mio marito abbiamo ritrovato lavoro a tempo indeterminato a gennaio — racconta Angela — con il primo stipendio abbiamo fatto il mutuo e ci siamo messi un tetto sulla testa».



Un caso? Probabilmente sì, visto che la crescita della Spagna, così come quella del resto d’Europa, è in gran parte indotta dalla politica della BCE e dalla riforma del mercato del lavoro (fatta dai politici) ha portato i big dell’auto a investire miliardi nel paese che è diventato il secondo produttore d’Europa, assorbendo parte degli esuberi del settore costruzioni derivati dalla bolla immobiliare. In più c’è da ricordare che la disoccupazione è ancora molto alta (anche se in discesa dal 26 al 20%) e, soprattutto, che il lavoro creato è precario. Ma rimane che non avere un governo che sbagli è sicuramente un vantaggio.

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