«Il M5S a Roma? Sembrava una setta massonica»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-09-11

Salvatore Tutino, prima candidato assessore al bilancio della giunta Raggi e poi fermato dal veto di Grillo (visto chi comanda a Roma, sì?), racconta i suoi approcci con la Giunta e la maggioranza grillina in Campidoglio: «Mi sembravano un’armata Brancaleone»

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«Entrai da un ingresso secondario e fui introdotto in tutta segretezza in una stanza e mi ritrovai di fronte a quella che sembrava una setta massonica. Una ventina di persone tra cui il vice sindaco, Daniele Frongia, e gli assessori Linda Meleo e Paolo Berdini»: Salvatore Tutino detto (dalla Raggi) Tutankhamon ha una visione peculiare dell’allegra maggioranza a 5 Stelle che governa Roma, ma si capisce che abbia un po’ il dente avvelenato visto che è tornata d’attualità la storia della sua candidatura ad assessore al bilancio della Giunta Raggi poi finita in vacca per intervento – a quanto pare – di Beppe Grillo.

«Il M5S a Roma? Una setta massonica»

Per questo nell’intervista che oggi ha rilasciato a Repubblica Roma il magistrato della Corte dei Conti racconta quella trattativa per la poltrona dal suo punto di vista, non risparmiando sarcasmo nei confronti del M5S Roma e dei suoi esponenti più prestigiosi.

«Ecco come sono andate le cose: l’8 settembre dovevo andare a cena con mia moglie, ma fui contattato da Andrea Mazzillo, allora capo dello staff della sindaca, che mi chiese la mia disponibilità».
E saltò la cena?
«Sì, saltò. Presi un taxi e andai in Campidoglio. Entrai da un ingresso secondario e fui introdotto in tutta segretezza in una stanza e mi ritrovai di fronte a quella che sembrava una setta massonica. Una ventina di persone tra cui il vice sindaco, Daniele Frongia, e gli assessori Linda Meleo e Paolo Berdini».
Che successe?
«Iniziò l’interrogatorio: è mai stato iscritto a un partito, casa pensa del reddito di cittadinanza, che giudizio ha dei Cinque stelle?».
Cosa rispose?
«Che mi sembravano un’Armata Brancaleone… ma mi corressi subito, in fondo ero un ospite».

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L’intervista di Salvatore Tutino a Repubblica (11 settembre 2017)

«Nei 15 giorni successivi non seppi più nulla. Poi mi richiamò Mazzillo e mi invitò a un incontro con la Raggi. Di nuovo clima di super segretezza: entrai da un ingresso secondario con un “passi” intestato a un generico dottor Rossi. Erano presenti Frongia e Salvatore Romeo, capo della segreteria politica».
Un altro interrogatorio?
«No, la Raggi fu molto gentile e mi disse che sarebbe stata contenta se avessi accettato l’incarico di assessore. Io chiesi garanzie sulla mia autonomia e anche se potevo contare su dei collaboratori. La risposta fu: sicuramente, ci sono 600 mila euro per le consulenze».
Quindi era fatta?
«Sì, la sindaca mi chiese di firmare l’incarico subito. Ma io dissi che mi sarei dovuto consultare con la famiglia».

Come il M5S ha segato Salvatore Tutino

Tutino venne ufficialmente bocciato perché Roberto Fico, in un’intervista, ricordò alla Raggi la loro interrogazione su di lui (proprio mentre Di Battista aveva innestato la retromarcia). Ma oggi è possibile ricostruire invece cosa è successo esattamente in quei giorni dello scorso settembre grazie a una chat su Telegram dove i protagonisti sono Virginia Raggi e i suoi fedelissimi. Il documento si trova, come altri di cui si è parlato in questi giorni, agli atti del processo Scarpellini dove serve a dimostrare il ruolo di primo piano ricoperto da Raffaele Marra nell’amministrazione M5S.
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Nella chat, racconta Giuseppe Scarpa su Repubblica Roma, si va avanti per un mese convulso in cui i sette snocciolano nomi, altri nemmeno vengono pronunciati — «è riservatissimo», scrive Mazzillo — molti soprannomi e qualche barzelletta. Tutti si esaltano quando Salvatore Tutino (magistrato della corte dei Conti) accetta l’incarico al bilancio. «Udite, udite Tut(ankhamon) è in squadra», annuncia Andrea Mazzillo il 21 settembre. «E dai», rilancia un entusiasta Frongia. «Alè», commenta Terranova. E infine una cascata di emoticon con facce sorridenti, mani che applaudono e pollici all’insù. La ricerca sembra finita. Poi, però, accade l’imponderabile. Il veto da Genova. «Beppe dice Tutankhamon meglio di no. A questo punto ho finito le cartucce. Resta Ugo Marchetti», scrive una scoraggiata Raggi. Dai fedelissimi, silenzio totale. Nessuno risponde o domanda alcunché sul niet di Grillo. Replica Frongia senza entrare nel merito: «Ci sono diverse soluzioni…», dice alla sindaca. Chissà se è lo stesso Daniele Frongia che ai giornali qualche tempo dopo dirà: «Tutino? Come ha detto la sindaca, era solo un’ipotesi, tra l’altro costruita sui giornali che fanno e disfano come vogliono».

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