Roberto Speranza, la vittima sacrificale

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-12-18

Per costruire un’alternativa tra zuppa e pan bagnato la minoranza PD ha trovato chi mandare avanti nella competizione per la segreteria che finirà con la vittoria bulgara di Matteo Renzi. Un giovane, per combattere giovanilismo con giovanilismo. Ma con il carisma di un criceto, affinché non si rischi di fare sul serio

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Devono avere davvero voglia di buttarsi nell’agone politico nazionale Enrico Rossi e Michele Emiliano: altrimenti non avrebbero mandato allo sbaraglio Roberto Speranza a contendere con zero possibilità di vittoria al segretario del Partito Democratico la prossima incoronazione, ma si sarebbero candidati in prima persona. Invece, dopo molti tentennamenti e mezzi annunci i due hanno deciso di non raccogliere la sfida e di mandare avanti.

Roberto Speranza, la vittima sacrificale

E così sarà Speranza la vittima sacrificale del congresso che finirà con la vittoria bulgara di Matteo Renzi. Un giovane, per combattere giovanilismo con giovanilismo. Ma con il carisma di un criceto, affinché non si rischi di fare sul serio. Nasce così, spiega Giovanna Casadio su Repubblica, il ticket Speranza-Emiliano, alla vigilia dell’Assemblea dei mille del Pd e delle mosse a sorpresa di Renzi. E nasce anche il “correntone dem”. Pierluigi Bersani, l’ex segretario del Pd, che benedice l’iniziativa, arrivando al centro Frentani – una copia di Le Monde sotto il braccio – avverte subito: «Questo non è un semplice convegno della minoranza, qui c’è un fatto politico… creiamo una alternativa possibile nel Pd». È un duro atto d’accusa a Renzi e al partito «manovrato da una consorteria», sostiene Bersani. “Sarò Davide contro Golia”, dice invece lui. Il ‘gigante’ Matteo Renzi, con il suo “sistema di potere”, non è impossibile da battere. Ma lo stesso Emiliano potrebbe essere candidato al congresso. E in campo c’è anche Enrico Rossi. Mentre Gianni Cuperlo, assente all’evento di Speranza, guarda fuori dal Pd a Giuliano Pisapia. È un percorso aperto, quello che prova a lanciare l’area che fa capo a Speranza e Bersani, di cui fanno parte Guglielmo Epifani, Vincenzo Visco, Vasco Errani (assente alla kermesse del centro Frentani) e poi parlamentari come Stumpo e Gotor, Fornaro e Giorgis. Quando all’ex segretario chiedono se Speranza sia il suo candidato, lui sorride: “Non si può dire che il ragazzo non sia bravo”. Bersani non dice che è il suo candidato, perché il tentativo in corso è “creare un’alternativa vera nel Pd”. Dare vita a una proposta di sinistra di governo che abbia al centro la parola “protezione”, perché con il “blairismo rimasticato” di Renzi “si va a sbattere”. Una proposta rivolta a chi finora a sinistra è stato “zittito”, agli ‘ulivisti’ ma anche alla sinistra ‘extra Pd’. “Uno che fa politica lo vedi dall’altruismo, dal coraggio, dalla fantasia”, dice Bersani citando De Gregori.  Tanto più che alla fine l’ipotesi potrebbe essere, spiega qualche bersaniano all’ANSA, un ticket: un candidato alla segreteria e uno alla premiership (si fanno anche nomi come Enrico Letta o Errani).
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L’alternativa tra zuppa e pan bagnato

Insomma, Bersani & Co. sono costantemente al lavoro per la costruzione dell’alternativa tra zuppa e pan bagnato. E la serietà con cui hanno preso la vicenda la dimostrano nel candidare qualcuno e pensare che ci possa essere un ticket con qualcun altro se andasse male.  Per ora il tridente chiede un Pd “rifondato” con la barra più a sinistra che per Speranza significa “mettere al primo punto la questione sociale” e correggere gli “errori” della stagione renziana, dal jobs act alla scuola. “Cosa aspettiamo a mettere mano ai voucher?” è la domanda rivolta al nuovo governo, perché “questo è il nostro campo che non possiamo lasciare a Salvini o Grillo”. Intanto però rimangono nell’attesa di sapere cosa farà Renzi. Il leader deve scegliere se andare al braccio di ferro, chiedendo il congresso anticipato restando segretario (cosa per la quale ha bisogno di un voto dell’assemblea nella quale sia presente almeno il numero legale) o se evitare l’accelerazione sulle assise ma mettere già in agenda elezioni politiche al più presto possibile e primarie per scegliere il candidato premier, appuntamento che potrebbe sostituire il congresso vero e proprio come momento di ri-legittimazione del leader prima del voto. Entrambe le opzioni rischiano di stroncare sul nascere ogni serio tentativo di scalare il partito: con il congresso a marzo, Renzi potrebbe vincere facilmente capitalizzando, almeno in parte, i voti del referendum; con primarie per il candidato premier e poi elezioni si andrebbe al congresso “a giochi fatti”, con un leader a quel punto già di nuovo in sella e difficile da sfidare.

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