Lo spettro del ritiro delle dimissioni di Renzi

Categorie: Fact checking, Politica

Giacomelli invita il leader a tornare in campo per gestire la trattativa con i grillini. Lui nicchia. Intanto la conta in Direzione sembra dargli per ora ragione. E il partito è di nuovo spaccato

La bomba la piazza nel pomeriggio il sottosegretario allo Sviluppo Antonello Giacomelli, dipinto come un renziano di ferro: «Renzi ritiri le dimissioni» per occuparsi in prima persona di questa fase, che richiede una leadership salda e in grado di assumersi responsabilità.



Lo spettro del ritiro delle dimissioni di Renzi

Come spesso accade in questi casi, le parole di Giacomelli sono state interpretate come un modo partito dallo stesso Renzi per rientrare in partita durante la trattativa per il governo M5S-PD. Ma in molti smentiscono questa ricostruzione mentre l’ex segretario del Partito Democratico si fa vedere in piazza a Firenze sottobraccio ad altri cittadini chiedendo loro se vogliono o non un patto con i 5 Stelle. D’altro canto l’hashtag #renzitorna nei giorni scorsi ha fatto capolino su Twitter insieme al classico #senzadime per raccogliere i renziani che chiedono a gran voce il ritorno in campo del leader.

Le maggioranze possibili (La Repubblica, 6 marzo)

I numeri sono dalla parte di Renzi. Racconta Carlo Bertini sulla Stampa che un riscontro fatto da Lotti sui numeri in Direzione squaderna questa situazione: su 210 aventi diritto al voto, 117 sarebbero i renziani doc, 8 i voti di Orfini, 3 di Delrio; dall’altra parte ci sarebbero 9 voti di Martina, 2 di Veltroni, 20 di Franceschini, 32 di Orlando, 14 di Emiliano e poi 5 cani sciolti, gli altri non pervenuti.



Il silenzio di Matteo

Come spesso accade, il partito è spaccato tra due fronti contrapposti. Renzi potrebbe a breve rompere il silenzio spiegando che c’è un errore tattico alla base della mossa di Martina:  «I tempi con cui si è fatta questa operazione sono sbagliati. I percorsi politici non si improvvisano. Bisognava prima far consumare il fallimento di Salvini e dei grillini. E poi convincere la nostra base. Così invece…», secondo Claudio Tito su Repubblica. L’aver poi sostanzialmente sdoganato la premiership di Di Maio viene vissuta, secondo l’ex segretario, come una resa da parte dei militanti dem.

Il riepilogo del Corriere sulle posizioni all’interno del PD (26 aprile 2018)

Per questo non converrebbe ora rischiare un ulteriore stress, visto che i renziani sul web sono in assetto di guerra e anche ieri in piazza a Firenze: «Mi avvicinavano e mi chiedevano: allora che si fa? E io gli rispondevo: ditemelo voi». La sintesi di questo sondaggio un po’ improvvisato la traccia il segretario cittadino del PD , Massimiliano Piccioli. Per tutta la mattinata è stato al fianco del suo leader di riferimento e non ha esitazioni: «Se si fa questo accordo, mi dimetto immediatamente».



I sondaggi e le elezioni

Anche i sondaggisti, racconta la Stampa, spiegano che gli elettori di M5S e Pd non sono generalmente favorevoli a un accordo, troppe sono le scorie accumulate in questi anni di polemiche incrociate e, soprattutto, troppo diverse sono le domande di fondo che i due «popoli» rivolgono ai propri leader.

Fabrizio Masia, di Emg, è molto netto: «L’elettorato M5S auspicherebbe un governo più che col Pd, con la Lega. E con gli elettori Pd è ancora più complicato, ho fatto un sondaggio: poco più del 70% di chi vota per i democratici è contrario a un’alleanza con M5S». La tesi della maggiore vicinanza tra elettori M5S e Pd, rispetto a quella tra 5 Stelle e centrodestra, non convince Masia: «La gran parte dell’elettorato 5 Stelle non è collocato politicamente, è post-ideologico. Diciamo che un 50% non è collocato, il 30% viene da sinistra e il 20% da destra. Ecco perché diventa difficile pensare che ci sia una disponibilità ad accettare un governo di questo genere».

Sondaggio SWG, Il Messaggero, 20 aprile 2018

Simile la valutazione di Roberto Weber, di Ixè. «Ci sono segmenti di elettorato 5 Stelle che non avrebbero problemi di fronte a un governo col Pd, sono passati per l’Ulivo. Ma è una fetta minoritaria. E lo stesso vale per gli elettori Pd». Il punto di fondo, spiega Weber, è che sono diverse le «domande» che gli elettori rivolgono ai propri leader: «Chi vota 5 Stelle chiede radicalità, gli altri propongono di rendere maggiormente efficiente questa società. Le due cose non vanno d’accordo».

Ma secondo gli stessi sondaggisti l’elettorato segue le scelte dei capi ed è evidente che un cambio di prospettiva all’interno del partito favorirebbe l’aumento dei favorevoli a un accordo PD-M5S. Per lo meno all’interno del Partito Democratico, anche se lo spettro del voto su Rousseau potrebbe poi far trovare una brutta sorpresa a tutti: un accordo trovato e poi bocciato dalla base M5S.