Referendum trivelle 17 aprile: 300 milioni buttati

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-02-12

Ieri il governo ha comunicato che il referendum sulle trivelle per la ricerca di petrolio nel mare Adriatico si terrà il 17 aprile 2016, senza accorpamento con le elezioni amministrative. Il Consiglio dei ministri lo ha deciso nonostante gli appelli a non sprecare 300-400 milioni di euro che costerebbe organizzare la consultazione. Con l’obiettivo di farlo saltare per mancanza di quorum.

article-post

Ieri il governo ha comunicato che il referendum sulle trivelle per la ricerca di petrolio nel mare Adriatico si terrà il 17 aprile 2016, senza accorpamento con le elezioni amministrative. Il Consiglio dei ministri lo ha deciso nonostante gli appelli a non sprecare 300-400 milioni di euro che costerebbe organizzare la consultazione. Con l’obiettivo, abbastanza ovvio, di farlo saltare per mancanza di quorum.
17 aprile 2016 referendum trivelle


Referendum trivelle 17 aprile: 300 milioni buttati

Lo scorso settembre dieci regioni italiane (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) hanno chiesto l’abrogazione di un articolo dello «Sblocca Italia» e di cinque del decreto Sviluppo (questi ultimi si riferiscono alle procedure per le trivellazioni). Le Regioni interessate hanno così presentato sei quesiti referendari per fermare la prima fase di questa modalità di estrazione. Le richieste delle Regioni e dei comitati riguardavano l’abrogazione dell’articolo 35 del decreto Sviluppo e di alcune parti dell’articolo 38 del decreto «Sblocca Italia». Il Governo però, tramite una norma inserita nella Legge di Stabilità, ha di fatto “disinnescato” cinque dei quesiti presentati dalle Regioni.

trivellazioni marine referendum - 1
La mappa delle trivellazioni al largo delle coste italiane (fonte: Sole 24 Ore)

La proposta di referendum riguarda l’articolo 35 del decreto Sviluppo del 2012 (varato dall’allora governo Monti) e si chiede il ripristino del divieto di qualsivoglia attività di ricerca e estrazione di idrocarburi all’interno delle aree marine protette, in un raggio di 12 miglia marine dalle stesse e dalle coste italiane. La scelta che i cittadini avranno di fronte, qualora si andasse a votare per il referendum, è quindi quella di decidere se l’eventuale crescita economica del territorio dovuta alle concessioni delle trivellazioni sia un fattore più importante della tutela delle risorse naturali e dell’industria del turismo. I No Triv dubitano che le Regioni possano però incassare molto dalle concessioni alle ricerche e alle coltivazioni, meglio invece valorizzare e tenersi strette le risorse che già abbiamo.
trivellazioni marine referendum - 2
L’area di mare interessata dalle indagini della Petroceltic (fonte: Comitato No Triv via Facebook.com)

Il risultato è “meno partecipazione e più costi” sintetizza Roberto Speranza, deputato che guida la minoranza Pd. E il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, pur dello stesso avviso, avverte che “è una scelta che può essere rimeditata dal governo” anche per dare più informazione ai cittadini su una materia complessa. Il quesito riguarderà la durata delle autorizzazioni già rilasciate a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti entro le 12 miglia dalla costa e cioè che abbiano la “durata della vita utile del giacimento”. Ad attaccare l’Esecutivo è il Movimento 5 Stelle, secondo cui l’obiettivo è “affossare definitivamente” il referendum. In sostanza, dice Loredana De Petris (Gruppo Misto-Sel), “è il tentativo sfacciato di rendere più difficile il raggiungimento del quorum”. Si rincorrono i commenti e gli attacchi alla scelta del governo ‘truffaldina’ secondo Nicola Fratoianni di Sel perchè “non consente il tempo sufficiente per aprire nel Paese una discussione ampia che permetta agli italiani di decidere consapevolmente e in maniera approfondita”. Sinistra Italiana ha presentato ieri una proposta di legge, “semplice e snella di due articoli, che potrebbe essere approvata in 24 ore se solo si volesse” spiega, ‘aiutando’ il ministro Alfano che una settimana fa aveva spiegato che per l’election day ci voleva una legge. Una proposta di legge è stata presentata anche da Alternativa Libera. Che insieme a Sinistra Italiana e Possibile formano un asse per un appello rivolto, più che a Matterella, ad ambientalisti del Pd e presidenti di Regione che hanno promosso il referendum, in modo che Palazzo Chigi riveda la scelta.

Giusto separare le date del referendum sulle trivelle?

Per Pippo Civati, obiettivo del governo è “rendere inutile la consultazione”, “richiesta da Regioni spesso guidate dal partito di cui il premier è segretario”. Il tutto, “per tenersi buoni i petrolieri” dice Rosa Rinaldi, responsabile Ambiente di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. Di “truffa” parla anche l’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio, attuale presidente della Fondazione UniVerde. Scendono in campo gli ambientalisti da Greenpeace (‘scelta antidemocratica e scellerata, una truffa pagata coi soldi degli italiani) al Wwf (‘la politica del Governo si conferma fossile, nella sostanza e nei metodi’) a Legambiente e al Coordinamento No Triv che ricordano che sulle trivelle, dinanzi alla Corte costituzionale pendono ancora due conflitti di attribuzione, la cui ammissibilità verrà decisa a breve con il rischio che gli italiani possano essere richiamati a votare, con ulteriore spreco di denaro pubblico. Il Codacons ricorrerà al Tar. Ma c’è chi non è d’accordo. “Il governo ha seguito una prassi consolidata: evitare l’election day in caso di referendum”, dice a Repubblica il costituzionalista Gaetano Azzariti a proposito della scelta di fissare il referendum sulle trivellazioni il 17 aprile. Il giurista non condivide le polemiche dei comitati anti-trivelle perché “si è agito nella correttezza”, tuttavia avverte: “Per coerenza il governo non dovrà accorpare neppure il referendum costituzionale con le amministrative”. Azzariti non nega che ora raggiungere il quorum sarà più difficile, ma “la logica che muove i referendum è ben diversa da quella di un’elezione amministrativa o politica”, spiega. Tra l’altro, aggiunge, “in questo caso le consultazioni comunali non sono su tutto il territorio nazionale, ma interessano solo alcuni centri. In caso di election day, il rischio disomogeneità nella partecipazione sarebbe molto alto e ciò potrebbe falsare l’esito referendario. Ma questo deve valere a maggior ragione per la partita più grossa: quella costituzionale”. “Proprio per dimostrare che il criterio adottato oggi non è strumentale a incidere sul quorum, il governo dovrà ricordarsene anche al prossimo appuntamento referendario. Non vorrei insomma che per opportunismo politico, inverso a quello attuale, l’esecutivo spingesse per un accorpamento tra amministrative di giugno e referendum costituzionale, così da inseguire auspicati plebisciti”. Sulla possibilità di risparmio con un Election day il giurista risponde che “in questi casi chiamare in causa i soldi è un’argomentazione che serve solo a dimostrare il tasso di populismo imperante”. “Risparmiare, in queste materie, è un’obiezione strumentale usata ora per invocare lo stesso giorno per amministrative e referendum, ora per far passare una riforma costituzionale” che “già nel suo titolo lega la modifica del bicameralismo perfetto alla riduzione dei costi”.(

Potrebbe interessarti anche