Dieci domande (e dieci risposte) sul referendum in Catalogna

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-09-30

Il governo separatista della Catalogna ha organizzato per domenica primo ottobre un referendum sulla indipendenza dalla Spagna. Madrid ha respinto in toto l’iniziativa, bollandola come illegale, sostenuta a spada tratta dalla magistratura che la ha definita incostituzionale. La polizia spagnola su istruzione delle autorità centrali ha arrestato alti esponenti catalani, sequestrato schede elettorali e perquisito …

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Il governo separatista della Catalogna ha organizzato per domenica primo ottobre un referendum sulla indipendenza dalla Spagna. Madrid ha respinto in toto l’iniziativa, bollandola come illegale, sostenuta a spada tratta dalla magistratura che la ha definita incostituzionale. La polizia spagnola su istruzione delle autorità centrali ha arrestato alti esponenti catalani, sequestrato schede elettorali e perquisito vari edifici regionali nel tentativo di impedire lo svolgimento del voto. I catalani irriducibili per tutta risposta sono scesi in piazza e domani potrebbero essere pronti a sfidare Madrid. L’agenzia di stampa Askanews pubblica una serie di domande e risposte che riassumono la situazione.
Come si è arrivati a questo punto?
La Catalogna è una delle regioni più ricche e produttive della Spagna e vanta una sua storia millenaria. Prima della guerra civile spagnola godeva di una ampia autonomia che fu poi soppressa per decenni dalla dittatura del generale Francisco Franco (1939-75). Alla morte di Franco, il nazionalismo catalano risorse dalle ceneri e alla regione fu concessa nuovamente una autonomia nella Costituzione del 1978. Uno statuto del 2006 attribuì alla Catalogna ancora maggiori poteri e la descrisse, come una “nazione”. La Corte costituzionale della Spagna ha annullato gran parte di questo statuto nel 2010, suscitando l’ira delle autorità regionali. Delusi dall’erosione della loro autonomia e da anni di recessione e di tagli alla spesa pubblica, i catalani hanno organizzato un voto non vincolante sull’indipendenza nel novembre 2014. L’80% degli oltre due milioni di votanti su 5,4 milioni aventi diritto, hanno detto ‘si’ alla secessione. I separatisti hanno vinto anche le elezioni catalane del 2015 e si sono messi al lavoro per organizzare un referendum questa volta vincolante, sfidando la Costituzione spagnola, che definisce la Spagna indivisibile.
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Qual è il quesito referendario?
Il parlamento catalano ha adottato una apposita legge con un voto il 6 settembre che ha stabilito il quesito. Si tratta di una unica domanda sulla scheda elettorale: “Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di Repubblica?”. Secondo la controversa legge, il risultato è vincolante e l’indipendenza deve essere dichiarata dal Parlamento due giorni dopo la proclamazione dei risultati da parte della Commissione elettorale catalana. Il presidente catalano Carles Puigdemont ha insistito: “nessun tribunale o organo politico” può sospendere il suo governo dal potere.
Come ha reagito Madrid?
Male. Il Primo ministro Mariano Rajoy ha condannato il voto bollandolo come illegale: “Lo dico con calma e con fermezza: non ci sarà nessun referendum”. Agendo su richiesta di Rajoy, la Corte costituzionale ha sospeso la legge approvata dai catalani. Da allora, il governo spagnolo si è adoperato per prendere il controllo delle finanze e della politica della regione. Esponenti delle autorità catalane coinvolte nell’organizzazione del voto sono stati arrestati, circa 10 milioni di schede sono state sequestrate e i siti che informavano i catalani sulle elezioni sono stati chiusi.
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Cosa sta facendo la Spagna per impedire il voto catalano?
Alle forze di polizia della Catalogna, i Mossos d’Esquadra, è stato ordinato di accettare il comando della Guardia civil per impedire lo svolgimento del voto. “La Spagna ha de facto sospeso il governo catalano e applicato de facto lo stato di emergenza”, ha denunciato il presidente Carles Puigdemont.
Ci sarà il voto?
Il voto certamente si svolgerà in alcune zone, ma le autorità centrali hanno mobilitato 4.000 poliziotti da fuori la Catalogna per aiutare le migliaia di agenti dei Mossos schierati a mantenere la sicurezza e a impedire il voto. Una app è stata messa in funzione per aiutare gli elettori a trovare i seggi, ma è difficile immaginare che il voto possa svolgersi in libertà. I partiti fedeli alla Spagna che hanno vinto il 40% nelle elezioni catalane del 2015 boicottano il voto. Per questo il ‘no’ è probabile che sarà minimo e altamente non rappresentativo. Allo stesso tempo sarà difficile per Madrid negare il successo dei secessionisti catalani se ci sarà una forte affluenza. La dichiarazione di indipendenza entro 48 ore dall’annuncio di una vittoria del ‘sì’ appare una eventualità altamente improbabile: Carles Puigdemont ha detto che “una dichiarazione unilaterale di indipendenza non è sul tavolo”.
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I catalani vogliono davvero l’indipendenza?
I cittadini pro-indipendenza hanno certamente partecipato alle dimostrazioni fiume a favore della secessione. Un milione di persone sono scese in piazza a Barcellona per la festa nazionale l’11 settembre. I sondaggi sono difficili da realizzare ma secondo un rilevamento di luglio commissionato dal governo catalano il 41% era a favore dell’indipendenza e il 49% contrario. Ma sappiamo che 2,2 milioni di votanti hanno sostenuto l’indipendenza nel precedente voto del novembre 2014 e che la coalizione di partiti separatisti chiamata Junts pel Si, insieme al partito radicale di sinistra il Cup, ha vinto il 48% alle elezioni del 2015.
La Catalogna ha valide ragioni per considerarsi nazione?
La regione ha la sua lingua, una storia di oltre 1000 anni e una popolazione grande quasi come quella della intera Svizzera (7.5 milioni) E’ anche una parte vitale dello Stato spagnolo di cui fa parte dal XVesimo secolo e – secondo i separatisti – è soggetta periodicamente a aggressive campagne per renderla “più spagnola”.
Quali sono le contestazioni della Catalogna a Madrid?
La crisi economica della Spagna del 2008 ha colpito duramente la Catalogna, lasciandola con una disoccupazione a 19%. E’ una delle regioni più ricche e produce almeno il 19% del Pil spagnolo. Ma c’è una sentimento sempre più diffuso che il governo centrale prenda più di quanto restituisca in cambio.
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Madrid sta realmente sfruttando la regione?
Sembra che prenda più di quello che offre anche se è difficile dire esattamente quanti catalani contribuiscono più in tasse di quello di cui usufruiscono nei servizi come scuole e ospedali. Secondo i dati del 2014, la Catalogna ha pagato 9,89 miliardi di euro all’erario pubblico, più di quanto ha ricevuto in investimenti, l’equivalente del 5% del suo Pil.
C’è spazio per un compromesso?
I ministri spagnoli dicono che sono contenti se i catalani festeggiano e manifestano domenica e il governo a Madrid sta aprendo la porta a riforme costituzionali. Potrebbero essere pronti a offrire una più ampia autonomia finanziaria, ha detto il ministro dell’Economia Luis de Guindos al Financial Times. Ma potrebbe non essere abbastanza per Carles Puigdemont e per la leadership catalana che ha passato mesi a preparare il terreno per l’indipendenza.

Leggi sull’argomento: Che differenza c’è tra il referendum della Catalogna e quello di Salvini?

 

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