The Italian Lockdown – Cronache da un Paese in Quarantena: 30. Conversazione notturna

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Sogni sghembi. Notti insonni. Chiacchiere con mio fratello. Le sorgenti della nostra vita, qualunque esse siano. Mamma e papà. Nonna. The Ramones. La Laica.



Venerdì, 24 aprile 2020.

La scorsa notte, ho sognato Jason. Mi sono svegliata rigirandomi nel letto, cercando di scacciare quelle immagini storte dalla testa. Che nella mia mente, ora, deve esserci solo Alberto.



La psiche gioca brutti scherzi. Rincorrere vecchi amori è inutile. Di più, è dannoso. Ti costringe a pensare al perché un rapporto iniziato con le migliori intenzioni si è via via deteriorato. E se si vuole essere onesti con se stessi, c’è spesso un concorso di colpa, di debolezze, di incapacità reciproche.

Riflettere su questo è doloroso, oggi più che mai. Quando è impossibile anche solo immaginare come sarà la nostra vita in futuro. Torneremo ad abbracciarci? Chi lo sa. Anche un semplice bacio rubato sarà probabilmente impossibile. E io mi sono andata a scegliere un chirurgo che lavora in ospedale, in trincea. Prima di fare un passo incauto, ci penserà su mille volte. Me lo ha fatto capire e non ho argomenti per dire che sbaglia. Non lo biasimo. Non riesco ad accusarlo di nulla, di poco coraggio, di poco affetto, come forse avrei fatto in passato.



Sto diventando saggia, forse. In verità, non capisco più che vita sarà, la nostra. Certo, prima o poi dovrà finire questa epidemia. O tornerà a presentarsi di nuovo, più forte di prima, il prossimo autunno, come suggerisce la solita virologa che ormai ho preso ad odiare, ogni volta che mia madre mi invita ad ascoltarla, in tv.

Non sono più riuscita a prendere sonno e ho aperto Facebook. I post si sono via via diradati, come se la gente stesse perdendo le parole. Cosa c’è da dire, in fondo? Sappiamo tutti cosa stiamo vivendo e non c’è alcun sollievo nel condividere le emozioni che proviamo.

Mi sono accorta che il pallino verde di mio fratello, Luciano, era acceso. Gli ho mandato un messaggio. Pochi secondi dopo, mi ha chiamato. Saranno state le tre di notte.

“Sei sveglia?”
“Sì. E’ da un po’ che non riesco più a dormire bene, la notte.”
“Dillo a me. Faccio penniche di qualche ora, dopo essermi fatto un paio di bicchieri di vino. Poi mi sveglio, accendo la tv, guardo le news straniere, tanto per capire come va il mondo, e di solito mi riaddormento sul divano.”
“Per il resto, come va?”
“Ieri, dal giorno che sei partita, ho parlato per la prima volta con una persona in carne ed ossa. Maria. Ha insistito per venire a fare le pulizie. Ho capito che aveva bisogno di qualche decina di euro e in fondo mi ha fatto piacere poterle dare una mano.”
“E che ti ha detto?”
“Niente. Lo sai, parla male l’italiano. E poi, ti dirò, ho scoperto che non avevo troppa voglia di parlare con lei. Come se mi fossi abituato a stare da solo, in questa tana. Sono sceso tre volte, vuoi per fare la spesa, vuoi per gettare i rifiuti, solo per ingannare il tempo, in attesa che finisse di pulire e se ne andasse via.”
“E’ brutto questo.”
“Sì. Molto. Mi ha fatto pensare.”

Ho preferito cambiare discorso. Subito. Non c’era nulla da approfondire, che Luciano è fin troppo lucido nell’analizzare certe cose e so benissimo cosa prova. Anche con mamma, ormai, le conversazioni non vanno oltre a quello che c’è da mettere in tavola. Non bisticciamo nemmeno più.

“Senti, ma… Ti ricordi quand’eravamo piccoli e uscivamo la sera, a cena, con papà e mamma? E poi, non appena si tornava a casa, loro fingevano di litigare?”
“Sì. Papà lanciava delle scoregge micidiali e mamma lo prendeva a zoccolate!”
“Tac! Tac! Tac!”
“Botte da orbi!”
“Tutta una finta. Per farci ridere.”
“Secondo me, c’erano delle volte che bevevano qualche bicchiere di troppo.”
“Probabile. Però poi ci mettevano a letto e si capiva che non avevano litigato per niente.”

Papà se n’è andato già da qualche anno. E mamma tiene una foto sul comodino. Mi ha confessato che a volte parla ancora con lui. A volte la sento, oltre il muro che divide le nostre due camere.

“Ti ho detto che mi sono innamorata di un chirurgo?”
“Sì. E’ già la terza volta che me ne parli.”
“Esagerato.”
“Scommetto che stai pensando a come mamma e papà sono rimasti assieme tanti anni, mentre noi ne abbiamo combinate di tutti i colori, senza mai trovare una relazione stabile.”

Ad avere un fratello gemello, funziona così. Ci si legge nella mente.

“Hai mai pensato al perché? Loro sì e noi no?”
“Forse perché ci hanno educato in un certo modo, ad essere liberi. E poi facciamo parte di un’altra generazione. Abbiamo avuto tante possibilità di viaggiare, conoscere persone e poi… C’è sempre una percentuale di casualità. Tu, quando hai conosciuto Jason, avrei detto che era quello giusto.”

Jason, l’avevo conosciuto proprio grazie a Luciano. Quando ero andato a trovarlo all’Università di Warwick, in Inghilterra, dove stava facendo l’Erasmus.

“Cambiamo discorso? Non ho voglia di parlarne.”
“Cosa vuoi che ti racconti?”
“Quello che vuoi. Ad esempio, ci pensavo l’altro giorno. Com’è che hai cominciato a scrivere.”
“Lo sai. E’ stato in Inghilterra, quando facevo quel corso di teatro, andavo a vedere tanti spettacoli e così…”
“Secondo me, invece, è stata nonna.”
“Cioè?”
“Non ti ricordi? Quando eravamo piccoli e lei, la sera, ti prendeva sempre sulle ginocchia, sull’aia, e ti raccontava storie.”
“Lo faceva anche con te.”
“Con me, meno. Preferivo correre dietro alla Laica.”
“E quindi, visto che giocavi con un cane, è per questo che hai preso a suonare?”
“Chi lo sa. Magari sì. La musica è più istintiva, più animale della scrittura.”
“Sempre che non fai bau bau.”
“Infatti non ho mai cantato.”

A questo, ci pensava Jason. E per quanto lo debba dimenticare, era bravo.

Guardo l’orologio, si sono fatte le quattro e il sonno sta tornando. Quando arriva, non va scacciato. Dormire, di sti tempi, è una benedizione.

“Senti ma…” chiede ancora Luciano. “Ti ricordi qual è stato il primo disco rock che hai sentito? Quello che ti ha proprio spedito in un’altra dimensione, rispetto a tutto ciò che avevi ascoltato fino a quel momento.”
“It’s alive, dei Ramones.”

E quasi quasi, dopo che saluto Luciano, mi verrebbe voglia di riascoltare quel disco, ma non è davvero il caso. Poi, chi dorme più? E’ una tale mitragliata…

Prendo sonno, ricordando quelle sere sull’aia, a casa dei nonni, in campagna. Era pieno di lucciole e io mi divertivo ad inseguirle, assieme alla Laica, che mi aveva insegnato a camminare. O almeno questa era la leggenda di famiglia.

La nonna raccontava sempre che mentre gattonavo attorno al tavolo, un giorno, la Laica mi spingeva col muso e io mi sono rizzata in piedi, ridendo. Avevo tutta la vita davanti a me.