Politica
Povera Virginia, stretta tra la Lombardi e la Taverna
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2016-07-05
«Virginia, il M5S è imbufalito. Pensano che invece di fare come l’Appendino a Torino, tu possa diventare la nuova Pizzarotti…Non vogliamo che tu faccia la sua stessa fine»
Ilario Lombardo sulla Stampa di oggi disegna un ritratto a tinte foschissime della trattativa in atto per la Giunta Raggi che coinvolge le diverse anime del MoVimento 5 Stelle romano e le sue tante sfaccettature non tanto ideologiche quanto di puro potere. Racconta la Stampa che nei confronti della Raggi c’è chi comincia ad agitare il fantasma di Federico Pizzarotti, sospeso da quasi due mesi dal M5S e in attesa della sentenza di Beppe Grillo senza poter più operare a nome dei grillini:
«Virginia, il M5S è imbufalito. Pensano che invece di fare come l’Appendino a Torino, tu possa diventare la nuova Pizzarotti…Non vogliamo che tu faccia la sua stessa fine». Il processo a Virginia Raggi è durato circa un’ora, in un clima che i bollettini del M5S non hanno neanche provato ad ammorbidire. Il confronto è stato schietto, com’era prevedibile tra tre donne dal carattere spigoloso. Virginia Raggi, sindaca di Roma da una parte, e Roberta Lombardi e Paola Taverna dall’altra, le due parlamentari che guidano il mini-direttorio nato in supporto a Raggi.
Una presenza che è diventata via via ingombrante per la sindaca, la quale, anche fisicamente provata, è stata costretta a cedere alle richieste del direttorio e di Beppe Grillo. Via Raffaele Marra, il dirigente con un passato di legami con Gianni Alemanno. E via Daniele Frongia, già consigliere che Raggi aveva voluto al suo fianco come capo di gabinetto, forzando la legge Severino sull’incompatibilità. Entrerà in giunta con delega al Patrimonio immobiliare e la probabile carica di vicesindaco. «Noi siamo il M5S – le hanno detto Lombardi e Taverna – proprio noi non possiamo essere accusati di voler aggirare la Severino».
Essere il M5S vuol dire marcare una differenza quasi ontologica con gli avversari. La fenomenologia del buon grillino deve tener conto di questo: le scelte di un sindaco 5 Stelle a Roma si fanno in condivisione con lo staff:
La Raggi che a cena con Luigi Di Maio aveva evocato le proprie dimissioni e implorato quasi un ritorno di Alessandro Di Battista «al posto di quelle due», alla fine ha capitolato. Nelle scosse di assestamento del pasticcio romano, sembra però che lo stesso Di Maio non abbia granché gradito l’intervento di peso di Grillo, tirato per la giacchetta da Lombardi, proprio mentre lui cercava una mediazione più diplomatica. Ad affermarsi, per ora, è la morale della squadra che prevale sul singolo: «E’ il Movimento che ha vinto, non tu, cara Virginia, e lo sai benissimo». Ecco il punto, il M5S, la base, i militanti a cui pare non siano piaciute le prime uscite di Raggi accanto all’arcinemica Maria Elena Boschi e alla presidente della Camera Laura Boldrini.
Avrebbero preferito vederla a Tor Bella Monaca, dove c’è stata una rivolta per il caos rifiuti e hanno incendiato cassonetti. I nervosismi si sono poi placati, quando si è passati a parlare della giunta. Confermato che sarà presentata il 7, si cercano donne per aumentare le quote rosa. Visto che il personale politico scarseggia, si guarda in casa altrui. L’ex assessora di Ignazio Marino, Daniela Morgante non andrà al Bilancio, dove potrebbe finire Marcello Minenna (Consob), ma dovrebbe sostituire Frongia come capo di gabinetto. Saltata l’ipotesi della professoressa Cristina Pronello ai Trasporti, si pensa a un altro nome con cabina di regia di esperti annessa per risolvere il caso Atac.
E proprio la Raggi viene dipinta dal Fatto Quotidiano come furiosa nei confronti dei parlamentari romani a cui si deve la chiamata dei giorni scorsi arrivata alla sindaca proprio da Beppe Grillo:
La sindaca si è affidata alla mediazione del vicepresidente della Camera, che ha aiutato a trovare la quadra nelle ultime ore, anche facendo leva sul suo responsabile relazioni istituzionali, Vincenzo Spadafora (è stato lui a suggerire come assessore Baldassarre). Però il clima resta teso. “Grillo è stato duro con Raggi” sussurrano dai piani. E lei lo avrebbe rinfacciato ai parlamentari: “Mi avete aizzato contro Beppe”. La giunta sarà anche più vicina. Ma per la pace serve altro.
La battaglia non si può non inquadrare all’interno della guerra interna del M5S scoppiata con l’intervento di Davide Casaleggio nei giorni scorsi, raccontata dal Messaggero con un articolo a firma di Simone Canettieri in cui si sosteneva che la nomina di Daniele Frongia, dopo quella di Raffaele Marra, fosse a rischio: i grillini impongono alla Raggi di revocare Marra (che la nomina fosse “temporanea” lo abbiamo già scritto) e di riflettere anche su quella di Frongia dopo la scoperta che “il parere dell’Anticorruzione” fornito sulla sua nomina era in realtà una balla:
Le ultime 24 ore il sindaco della Capitale Virginia Raggi le ha passate in stretto contatto con il cervello, il volto del M5S e il futuro istituzionale del «non partito». Telefonate e messaggi. Il resto del direttorio e dello Staff, a parte la pontiera Paola Taverna, sta un passo indietro. Casaleggio jr, il comico genovese e Di Maio, con toni e modi diversi,«le hanno dato un aut aut – racconta un fedelissimo della sindaca-: deve revocare subito le prime nomine e chiudere questa benedetta giunta per giovedì prossimo».
La rinuncia a Frongia e Marra avrebbe qualcosa di clamoroso; più clamoroso ancora sarebbe che fosse qualcun altro a intervenire al posto della Raggi nella decisione dei nomi che devono accompagnarla nel suo mandato. A prescindere dalle incompatibilità, la Raggi, come da legge, ha tutto il diritto di costruire la giunta che vuole visto che ha stravinto le elezioni. Le ha stravinte lei, non la Casaleggio. Il Corriere della Sera, in un articolo a firma di Alessandro Trocino, sostiene che la spaccatura tra i 5 Stelle è ormai palese: «I fronti son ben definiti. Da una parte c’è Virginia Raggi, sostenuta da Alessandro Di Battista. Dall’altra, le deputate romane mandate ad aiutare (e controllare) il sindaco, Paola Taverna e Roberta Lombardi, che appoggiavano lo sfidante della Raggi, Marcello De Vito. Punto di riferimento nazionale nel direttivo, Luigi Di Maio». Uno dei litigi è sul portavoce della sindaca: lei vorrebbe Augusto Rubei, già nominato al Campidoglio insieme a Frongia, i grillini romani vorrebbero imporle un altro nome. Poi il Corriere parla di una presunta parentopoli in atto:
A dispetto dei tanto sbandierati metodi meritocratici, i 5 Stelle sin dalla nascita sono endogamici. Un gruppo apparentemente aperto, nel quale dilaga il familismo. Nel pacchetto che doveva portare De Vito a diventare vice (diventerà, forse, capogruppo), è prevista la nomina della moglie Giovanna Tadonio a mini assessore al terzo municipio. Nello staff romano potrebbe entrare Francesco Silvestri, ex collaboratore del senatore Giovanni Endrizzi ed ex fidanzato di Ilaria Loquenzi, capo comunicazione alla Camera. La Loquenzi fu portata dalla Lombardi.
I casi di coppie sono molti: Di Maio-Virgulti, Nesci-Nuti, Giordano-Mantero, Taverna-Vignaroli. Così come i casi di parenti e amici assunti come collaboratori. Barbara Lezzi aveva assunto la figlia del suo compagno, Libera. Wilma Moronese ha preso come collaboratore il compagno. Il senatore Andra Cioffi ha assunto Alessandra Manzin, fidanzata di Paolo Adamo, dei social network del Senato. Una Parentopoli? La senatrice Paola Nugnes, un giorno disse: «Quando scegliamo il nostro esercito, i soldati devono essere fedeli». I risultati non sono sempre all’altezza delle aspettative.
Il dossier su De Vito finisce in procura
Chissà quanto è attendibile il gioco delle coppie (Vignaroli all’epoca della legge Cirinnà aveva detto su Twitter di essere omosessuale: come è possibile che sia il fidanzato della Taverna?). Su Repubblica Stefano Cappellini parla della guerra interna tra Raggi e De Vito e della tregua siglata in campagna elettorale che è però evidentemente finita:
La tregua, siglata al cospetto dello staff nazionale, regge qualche settimana a cavallo del voto. Poi le tensioni riesplodono dopo il trionfo. Raggi chiede tempo e autonomia per la giunta. Su alcuni nomi proposti da Lombardi arriva il veto di Taverna, e viceversa. A Raggi arriva l’aiuto diretto di Di Maio, convinto dai numeri del successo. C’è l’ex Garante per l’Infanzia Vincenzo Spadafora ad accompagnare Raggi all’ingresso dell’Hotel Forum, sulla cui terrazza lo stato maggiore M5S festeggia la sera della vittoria. E Spadafora porta in dote alla giunta Laura Baldassarre, assessore alle politiche sociali. “Sarà gli occhi e le orecchie di Di Maio in Comune”, si dice alla Camera. Ma il prestito di occhi e orecchie è ambito anche da altri, per questo Augusto Rubei, giovane portavoce della candidata in campagna elettorale, rischia di non essere confermato. Peserebbe su di lui l’ostilità di Rocco Casalino, che preferisce una figura più schiacciata sulla comunicazione ufficiale.
Il M5S fa muro. “Si vuole ostacolare il M5s” attacca il diretto interessato. “Non c’è nessun dossier” assicura Virginia Raggi. Ma il Pd accusa: “Roma è ancora senza giunta comunale. Bloccata dai veti e dalle guerre intestine tra i vari staff e Direttori del M5S”. Alessandro Di Battista arriva in soccorso: “La giunta sarà presentata il 7 luglio”, superando così lo stesso Marcello De Vito che ieri lo aveva messo in forse annunciando come data probabile il 12 luglio. E Luigi Di Maio assicura: “Il sindaco manterrà la sua promessa ai cittadini romani”. “Ricostruzioni giornalistiche che raccontano fatti in maniera ingigantita e travisata”. Le bolla così De Vito, ex capogruppo del M5s in Campidoglio e Mr Preferenze 5 Stelle alle amministrative 2016, le indiscrezioni pubblicate oggi su alcuni quotidiani che parlano di un “dossier contro di lui elaborato dai suoi ex colleghi consiglieri comunali Virginia Raggi, Daniele Frongia ed Enrico Stefano”. “Ci sembra che si voglia ostacolare l’attività del M5s per una buona amministrazione di Roma” rincara la dose l’ex candidato sindaco pentastellato ora presidente in pectore dell’assemblea capitolina. Intanto, fa sapere Marco Lillo che aveva parlato ieri della vicenda, il dossier finisce in procura:
Oggi De Vito non nega il contenuto dell’articolo del Fatto , piuttosto parla di “ricostruzioni giornalistiche che raccontano fatti in maniera ingigantita e travisata”. Il senatore Ncd Andrea Augello, però, chiede che si faccia piena luce: ieri ha inviato un esposto alla Procura di Roma, per capire se ci sono elementi di rilevanza penale in quella guerra di dossier iniziata sei mesi fa.
E su Repubblica si fa notare che «Il clamoroso dietrofront sulle prime due nomine della sindaca a 5 Stelle aprirebbe una voragine nell’ufficio di staff a cinque giorni dalla presentazione della giunta. Bisognerà porre rimedio in fretta e per la sostituzione in corsa ci sarebbero già pronti due dirigenti interni che traghetterebbero la macchina amministrativa per i primi tempi in attesa dell’arrivo, forse, di un magistrato a guidare il gabinetto della Raggi».