Attualità
Un capriolo da uccidere (per i danni alle colture)
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2016-05-31
Gli agricoltori piemontesi dicono che i caprioli sono troppi e fanno troppi danni, ma i dati dei risarcimenti sono in linea con quelli degli anni scorsi e la caccia di selezione ha abbattuto meno capi di quanto era previsto
Gli agricoltori dell’astigiano lanciano l’allarme caprioli: sono troppi e distruggono le coltivazioni. Eppure si è chiusa da poco più di due mesi la stagione della caccia selettiva, ovvero il periodo di caccia regolamentato dalla Regione Piemonte al fine di contenere il numero di esemplari di capriolo. Durante il periodo di caccia selettiva la Regione aveva stabilito la possibilità di abbattere 614 capi suddivisi in maschi, femmine e giovani (in pratica potevano essere abbattuti tutti i caprioli indipendentemente dal sesso e dall’età con un tetto massimo per ogni categoria) ma ne sono stati abbattuti 502: 149 giovani 170 maschi e 183 femmine.
Quando la caccia non basta a contenere gli animali selvatici
C’è da dire che è almeno un paio d’anni che gli imprenditori locali, solitamente in maggio, fanno sapere che i caprioli sono troppi e che vanno abbattuti. Non c’è dubbio che il problema sia reale e che le preoccupazioni degli agricoltori siano più che legittime ma sorge il dubbio (per altro già sollevato in maniera ufficiale da alcuni esperti) che gli attuali sistemi di contenimento della fauna selvatica non siano così efficaci come un tempo. La gestione della fauna selvatica presuppone la ricerca di un equilibrio tra le attività dell’uomo e le esigenze degli animali. E la presenza di caprioli e altri animali (ad esempio cinghiali) nell’astigiano costituisce un problema al quale Provincia e Regione non sono ancora riusciti a trovare una soluzione. Al tempo stesso aumentano le richieste di risarcimento per danni alle colture. Gli agricoltori chiedono quindi di liberalizzare la caccia al capriolo ma bisogna anche far notare che se è stato ucciso solo l’81% dei capi che potevano essere abbattuti è evidente che anche quando la caccia è regolamentata non si riesce a “prelevare” la giusta quota di animali per consentire un corretto equilibrio tra attività umane sul territorio e animali. Un’altra richiesta avanzata dagli imprenditori agricoli è quella di poter cacciare i caprioli anche nelle aree di ripopolamento, e forse sul sistema di ripopolamento e cattura qualcosa andrebbe cambiato. Senza contare che l’assenza di predatori naturali sicuramente influisce sulla capacità di questi animali di riprodursi indisturbati. Dall’altra parte ci sono gli ambientalisti che difendono gli animali spiegando che più che le doppiette sarebbero utili recinzioni elettriche e sostanze repellenti, spiega alla Stampa il veterinario Umberto Gallo Orsi:
I caprioli fanno parte del nostro ambiente, e i danni che sono attribuibili a loro sono percentualmente piuttosto bassi. In ogni caso esistono sostanze repellenti che si possono spruzzare sulle cortecce o fili elettrificati
che sono forniti dall’Agenzia per la caccia e hanno comunque costi sostenibili. Il capriolo è un rischio d’impresa, esattamente come la grandine: ci si può assicurare.
Intanto la Regione ha rimborsato (per il 2015) 100 mila euro agli agricoltori dell’astigiano per i danni causati dalla fauna selvatica, una cifra che sembra in linea (anche se in calo) con i rimborsi degli anni precedenti: 170 mila nel 2012 e 150 mila nel 2013 e 155 mila nel 2014 per un totale che si aggira intorno ai due milioni di euro per tutta la Regione Piemonte. Ma gli indennizzi arrivano con il contagocce, denunciano le associazioni di categoria, anche per colpa di alcune direttive europee che accomunano i risarcimenti danni agli “aiuti di Stato”, anche per Bruxelles a quanto pare la strada da percorrere è quella degli abbattimenti e non quella dei risarcimenti.