Perché Renzi sulle banche non dice tutta la verità

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-07-06

Il premer evoca una «soluzione di mercato» per il Paschi e cerca di rassicurare risparmiatori e correntisti. Intanto il sottosegretario Baretta parla di soluzione tecnica da decidere con l’Unione Europea. Ma Renzi sa che rischia di fronteggiare le stesse accuse dell’epoca delle quattro banche risolte. Se lascia incancrenire la situazione però potrebbe esplodergli in mano

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Una soluzione di mercato per le banche italiane in difficoltà. Ma il vero problema sono i derivati nelle banche europee. Matteo Renzi prova a gettare acqua sul fuoco delle banche italiane che bruciano da giorni a Piazza Affari nella conferenza stampa successiva all’incontro con il premier svedese Stefan Lofven. E mentre il Montepaschi rimbalza in Borsa dopo le perdite paurose dei giorni scorsi, il premier prova a tranquillizzare correntisti e risparmiatori: «I risparmiatori italiani e i correntisti non hanno alcun problema e per me questa è la priorità. Le questioni problematiche sui mercati e le difficoltà della Borsa sono seguite con attenzione dal governo italiano ma riguardano gli azionisti. A me interessa che non ci sia alcun dubbio rispetto alla tranquillità dei correntisti italiani e di coloro che mettono i soldi nelle banche italiane ed europee».

Perché Renzi sulle banche non dice tutta la verità

Senza lasciarsi sfuggire l’occasione per polemizzare ancora con la Merkel, e ancora una volta sottotraccia: «Chi conosce la realtà sa che la vera questione sulla finanza in Europa non sono i Not performing loans italiani, sono i derivati di altre banche», sostiene, riferendosi a Deutsche Bank, dipinta di recente dal Fondo Monetario Internazionale come la maggiore fonte potenziale al mondo di choc esterni per il sistema finanziario per la sua esposizione ai derivati pari a quindici volte il PIL tedesco. Per Renzi «I non performing loans italiani valgono 1, i derivati di altre banche valgono 100: poi ci sono algoritmi e parametri per cui una banca italiana in particolare è al centro dell’attenzione, ma il rapporto è di 1 a 100». E dunque «sono certo che la vigilanza della Bce e l’attenzione degli Stati membri sia altissima. Per il resto il mercato farà le proprie valutazioni e i prossimi giorni consentiranno alle autorità bancarie europee di riflettere attentamente sulle problematiche europee e sui derivati. Sono certo, conoscendoli, che non faranno mancare la loro attenzione». Con la sua solita furbizia, il premier sposta l’attenzione su un problema esistente (quello di Deutsche Bank) tirando così in ballo i tedeschi per polemica politica, ma evitando così di rispondere nel merito della questione. Insieme, cerca di limitare il danno delle accuse di vicinanza alle banche dichiarando che pensa a risparmiatori e correntisti e non agli istituti di credito, memore del brutto periodo passato dal suo governo dopo lo scoppio della bolla delle quattro banche risolte. L’ottimismo è il profumo della vita ma dietro le “soluzioni di mercato” per il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena il governo sta approntando la cessione delle sofferenze del Paschi a un nuovo fondo come Atlante (che dovrebbe chiamarsi Giasone) capitalizzato con 5-6 miliardi che arriverebbero in parte da Atlante (1,7 miliardi ancora a disposizione), dalla Sga (bad bank dell’ex Banco di Napoli) per circa 500 milioni e ancora dalla Cassa depositi e Prestiti (Cdp) e da altre casse previdenziali e banche che volessero partecipare.

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I salvataggi delle banche italiane (Corriere della Sera, 6 luglio 2016)

Poi al Paschi servirebbe un aumento di capitale per coprire le perdite che emergerebbero dall’operazione sugli NPL. Scriveva stamattina il Corriere della Sera:

Chi sottoscriverà il terzo aumento di capitale in cinque anni per permettere alla banca senese di continuare nella sua attività? E’ qui che entrano in gioco anche i 150 miliardi di liquidità già annunciati nei giorni scorsi, che potrebbero servire a garantire l’emissione di bond convertendi (cioè con obbligo di conversione dopo un triennio) validi ai fini della patrimonializzazione stabilita dalle regole di Basilea. «Nel breve termine bisogna minimizzare l’instabilità», ha spiegato ieri Pier Carlo Padoan all’assemblea dell’Ania. Lo «strumento precauzionale per la liquidità», ovvero i 150 miliardi di garanzia oggetto del via libera della Ue all’Italia, è «a disposizione se necessario», assicura.

Ora, che tutto questo Renzi lo chiami “soluzione di mercato” fa parte del gioco delle parti. Mentre è specificatamente italiano che stamattina il sottosegretario Baretta dica che il governo interverrà in giornata per definire il piano e lo smentisca nemmeno un’ora dopo.

Cosa c’è dietro l’ottimismo

Ma è necessario andare a vedere cosa c’è dietro l’ottimismo del premier. «Le difficoltà delle banche italiano possono innescare una nuova crisi sistemica in tutta Europa ed è pertanto necessario che la Commissione riveda le sue regole che limitano gli aiuti di Stato agli istituti in crisi (‘bail-out‘) in favore del ‘bail-in‘ (ovvero, lo scarico delle perdite sugli investitori)», ha dichiarato a Bloomberg Tv il presidente di Société Generale, Lorenzo Bini Smaghi, che non è certo estraneo a Matteo Renzi, anzi. «L’intero mercato bancario è sotto pressione», ha sottolineato l’ex consigliere esecutivo della Bce, “abbiamo adottato regole sul denaro pubblico e queste regole devono essere valutate in un mercato in potenziale crisi, per decidere se ci sia il bisogno di applicarne una qualche sospensione. Serve una soluzione europea, finora abbiamo avuto solo soluzioni nazionali e abbiamo bisogno di una rete di protezione chiara”. Secondo Bini Smaghi sia in Italia che in Germania ci sono “troppe banche che non fanno utili” ed è necessario un consolidamento del settore. Il governo Renzi, secondo il parere di Bini Smaghi, potrebbe essere quindi costretto a misure impopolari come l’incoraggiamento di fusioni che potrebbero comportare tagli della forza lavoro.

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Banche italiane, i capitali mancanti (La Repubblica, 5 luglio 2016)

C’è di più. Un report di Morgan Stanley, citato da Bloomberg afferma che il Paschi e Banco Popolare sono le banche italiane più a rischio di non superare gli stress test che l’Eba sta conducendo sugli istituti europei.  Secondo l’analisi di Morgan Stanley, Mps e il Banco Popolare potrebbero veder scendere il loro indicatore patrimoniale Cet1 sotto la soglia del 5,5%, fissata nel 2014 come limite da rispettare in caso di scenario avverso. Morgan Stanley ritiene che lo stress test dell’Eba possa essere il modo “più efficiente e veloce” per iniettare capitale senza coinvolgere depositanti e obbligazionisti.  Luigi Zingales, interpellato dall’ANSA, ha chiesto al governo di farsi “coraggio” e varare un intervento sistemico da 40 miliardi di euro per arginare la montagna di 200 miliardi di sofferenze che grava sulle banche italiane. “Un intervento diretto dello Stato esclusivamente su Mps – ha fatto notare – rischierebbe di creare più danno che beneficio al sistema”; “il valore di mercato degli Npl non cambierebbe e Mps verrebbe percepita come una banca particolarmente problematica accelerando la fuga dei risparmiatori”. Chissà se gli scenari peggiori si avvereranno. In ogni caso è delle “misure impopolari” che il premier ha paura. Con il referendum sulle riforme su cui ha fatto all in giocandosi il posto di premier e buona parte del suo futuro politico, il rischio di trovarsi di nuovo addosso le accuse di “servo delle banche” lo terrorizza. D’altra parte lasciare incancrenire ulteriormente la situazione è – oltre a quello che hanno fatto i suoi predecessori – il modo peggiore per vedersela esplodere in mano.
 

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