Perché Provenzano non è stato scarcerato

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-07-13

L’avvocato del mafioso all’attacco. Era stato dichiarato dai medici incompatibile con il regime della prigione. Ma il giudice di sorveglianza spiega perché non lo ha scarcerato

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Oggi è morto Bernardo Provenzano, boss storico della mafia siciliana; in carcere da dieci anni e ormai vecchio e malato, si è spento nel reparto ospedaliero di San Vittore dove era detenuto da quasi due anni. L’ultima proroga del 41 bis era stata firmata dal ministro di grazia e giustizia Orlando ad aprile scorso. Nel carcere di Parma quattro anni fa era caduto e aveva dovuto subire un intervento.

Perché Provenzano non è stato scarcerato

Oggi, dopo che è stata divulgata la notizia della sua morte, l’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale del padrino corleonese, ha commentato così la sua morte: «Provenzano per me è morto quattro anni fa, dopo la caduta nel carcere di Parma e l’intervento che ha subito. Da allora il 41 bis è stato applicato ai parenti e non a lui, visto che non era più in grado di intendere e volere e di parlare da tempo». In realtà Provenzano era stato visitato dai familiari il 10 luglio per l’ultima volta. La penalista, viste le gravissime condizioni di salute del capomafia, negli ultimi anni ha presentato due istanze di revoca del carcere duro e tre di sospensione dell’ esecuzione della pena. Tutte sono state respinte. “L’ultimo rinnovo del provvedimento che gli applicava il carcere duro era stato notificato al figlio Angelo, nominato curatore speciale del padre incapace. Questo perché sia chiaro in che condizioni si trovava”, ha spiegato l’avvocata. Alle due istanze di revoca del 41 bis presentate nel tempo al tribunale di sorveglianza di Roma avevano dato parere favorevole le Procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta, titolari dell’accusa negli ultimi procedimenti a carico del boss;  si era invece opposta la Direzione Nazionale Antimafia. I giudici romani hanno respinto le due istanze. Respinte anche le tre istanze di sospensione della pena. L’ultima presentata al tribunale di sorveglianza di Milano che, pur riconoscendo le gravissime condizioni di salute del boss e l’assenza di pericolosità, con una decisione, poi confermata dalla Cassazione, avevano ritenuto che il capomafia dovesse rimanere in carcere. Per i magistrati, anzi, la struttura ospedaliera in cui era detenuto assicurava al padrino cure che all’esterno non avrebbe potuto ricevere. Tutti i processi in cui era ancora imputato, tra cui quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, erano stati sospesi perché il boss, sottoposto a più perizie mediche, era stato ritenuto incapace di partecipare. Grave stato di decadimento cognitivo, lunghi periodi di sonno, rare parole di senso compiuto, eloquio assolutamente incomprensibile, quadro neurologico in progressivo, anche se lento, peggioramento: è l’ultima diagnosi che i medici dell’ospedale hanno depositato. Nelle loro conclusioni i medici dichiaravano il paziente “incompatibile con il regime carcerario“, aggiungendo che “l’assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza”.

Il giudice di sorveglianza di Milano spiega

 
Ma il giudice del tribunale di sorveglianza di Milano ha spiegato che i trascorsi criminali di Provenzano e il valore simbolico del suo percorso criminale lo espongono, “qualora non adeguatamente protetto nella persona” e “trovandosi in condizioni di assoluta debolezza fisica”, ad “eventuali ‘rappresaglie’ connesse al suo percorso criminale, ai moltissimi omicidi volontari dei quali è stato riconosciuto colpevole, al sodalizio malavitoso” di cui è stato “capo fino al suo arresto”. Per questo il tribunale ha ritenuto di dover negare la scarcerazione.E il giudice precisa che Provenzano non solo ha ricevuto “assistenza personalizzata costante, notte e giorno e somministrazione di tutte le cure necessarie”, ma di recente anche le visite di moglie e figli “ben oltre i limiti previsti dalla normativa” del 41 bis “con frequenza di due volte al giorno”. Il magistrato di sorveglianza Mariolina Panasiti ha sottolineato che i parenti di Provenzano, ammessi a visitare e ad assistere “il congiunto (…) al di là dei limiti imposti” dal regime del 41 bis, hanno visto “soddisfatta l’unica richiesta avanzata”. Infatti, come si legge in un altro passaggio del provvedimento, “i parenti e il tutore del condannato non hanno, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione (9 giugno 2015, ndr) richiesto alcun differimento, mantenendo tale atteggiamento anche nell’attualità” in quanto hanno fatto istanza “solo di avere accesso a più visite al congiunto infermo, possibilità questa loro accordata”. Comunque, tra i vari motivi, per cui il magistrato non ha disposto “alcun differimento della esecuzione della pena” per ragioni di salute valutato d’ufficio sulla base dell’ultima relazione con cui l’ospedale segnalava un peggioramento delle condizioni di Provenzano, non ha escluso che, nonostante gravemente malato, “altri possano realizzare una sua apparente fuga, più o meno volontaria, al fine di sfruttare la valenza simbolica, ancora permanente in certi contesti malavitosi”, di chi è stato condannato e deve scontare una pena definitiva “per una lunghissima teoria di reati, davvero difficilmente sunteggiabili”.

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