Perché il M5S dimezza il piano di investimenti pubblici

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Manuela Perrone sul Sole 24 Ore oggi racconta una particolarità di cui nessuno sembra essersi accorto nel programma in venti punti del MoVimento 5 Stelle presentato da Luigi Di Maio nella kermesse di Pescara. A dicembre il candidato premier annunciava un piano da 100 miliardi di investimenti pubblici in 5 anni da far partire con il M5S al governo. Nella sua formulazione concreta in punti il piano è sceso a 50 miliardi. Spiega il quotidiano che nel M5S è stata fatta «una valutazione di realismo»:



Perché la coperta è corta e le cifre necessarie per poter onorare i 20 punti del programma M5S rischiano di essere astronomiche. Tra i 17 miliardi per reddito e pensioni di cittadinanza, gli altri 17 (anche questi ridotti: in origine dovevano essere 20) per il sostegno alle famiglie con figli, il superamento della legge Fornero, l’abolizione progressiva dell’Irap per le imprese, la riforma Irpef per alleggerire il ceto medio e le 20mila assunzioni promesse nelle forze dell’ordine e nelle commissioni territoriali sul diritto d’asilo, il lavoro sulle coperture – che saranno diffuse a giorni in un documento ad hoc – è stato complicato.
Da qui la decisione di ridurre della metà gli investimenti programmati. Oltre alle grandi speranze che si nutrono nel “Cottarelli rafforzato” da 50 miliardi, per le altre fonti di finanziamento si confida nel taglio dei 16,5 miliardi di sussidi, agevolazioni e ai trasferimenti alle fonti fossili (i Cinque Stelle sogna
no l’addio a petrolio, carbone e gas entro il 2050) e nell’accetta da almeno 5 miliardi in 5 anni sulle grandi opere «inutili», su cui il M5S tiene il punto.



Di Maio ha anzi azzardato la possibilità di risparmiare anche di più: «Vogliamo recuperare 9 miliardi dalle grandi opere inutili e investirli sulle grandi, medie e piccole opere utili». Resta cioè l’assoluta contrarietà al Tav Torino-Lione, alle tratte Brescia-Verona e Verona-Padova delle linee Av/Ac Milano-Venezia, alla nuova autostrada Orte-Mestre, al Terzo Valico dei Giovi, alle pedemontane lombarda e veneta, al Mose, al ponte sullo Stretto e al porto off-shore di Venezia.
Ma il Movimento punta su quelli che considera «investimenti produttivi» in sette settori strategici: innovazione, rinnovabili, manutenzione del territorio, contrasto al dissesto idrogeologico, adeguamento sismico, banda ultralarga e mobilità elettrica. Qualche esempio: il raddoppio dei binari nelle linee a senso unico; interventi sulle infrastrutture idriche per ridurre le perdite; bonifiche ai siti di interesse nazionale (da Mantova a Gela), riportando la progettazione in capo al ministero dell’Ambiente.

L’intenzione di fare investimenti sforando il 3% dunque rimane, ma ridimensionata. L’imperativo è uno: rassicurare.