Perché la Russia è diventato il principale argomento delle Fake News?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-01-03

Quando si parla di Fake News si pensa sempre a qualche oscuro sito di bufale che magari vuole sostenere le posizioni di Vladimir Putin, la realtà delle cose è che ci sono molti giornali importanti che raccontano un sacco di balle sulla Russia e sugli hacker russi

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La vittoria di Donald Trump ha colto tutti di sorpresa. Invece che cercare di capire come mai Trump sia riuscito a conquistare la Casa Bianca i giornali americani e di conseguenza anche quelli europei hanno iniziato a dare la colpa alle fake news parlando di post verità e scoprendo che tra i responsabili del successo di Donald non solo c’è un meme (Pepe) ma anche il Presidente – che curiosamente è un meme a sua volta – di quella che un tempo era la più grande potenza straniera nemica degli USA. I russi sono infatti tornati a terrorizzare i cittadini americani con i loro piani degni della Spectre di 007 (ma con meno pugnali nella suola delle scarpe).
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La storia dei siti che sono al servizio della propaganda russa

A quanto pare gli americani non hanno del tutto esorcizzato la paura di un’invasione sovietica, solo che questa volta i russi, grazie al “loro” Trump sono più pericolosi. Non passa giorno infatti che qualche quotidiano non scopra l’esistenza di una macchinazione russa, preferibilmente a base di hacker o di notizie false diffuse per far credere ai cittadini statunitensi che eleggere Trump sia stata una scelta per tutelare i loro interessi e non quelli di Vladimir Putin e compagni. A novembre 2016, ad una ventina di giorni dalla vittoria del candidato repubblicano il Washington Post pubblicò un articolo sui siti vicini alla Russia che hanno aiutato Donald Trump ad arrivare alla Casa Bianca. Peccato che quell’articolo, come hanno fatto notare Consortium News e The Intercept fosse esso stesso una bufala (non a caso un noto esperto italiano di reti occulte e algoritmi ci ha creduto) dal momento che PropOrNot, il sito da cui il WaPo ha tratto le informazioni per il pezzo sulla propaganda russa durante le presidenziali non ha condotto una vera e propria analisi (ne hanno condotto una non meglio precisata “comportamentale”) e nella lunga lista di siti accusati di essere direttamente al soldo della macchina della propaganda di Putin ci sono siti come Drudge Report (che difficilmente si può dire essere influenzato dalla Russia) Wikileaks ma anche giornali di sinistra che criticavano la Clinton, e alcuni dei migliori siti indipendenti come Counterpunch, Truthdig, Naked Capitalism, Zero Hedge e Truth-out, insomma un calderone indistinto di posizioni ideologiche dove mancava semplicemente una cosa: la prova della connessione tra questi siti e i media “di regime” russi. Eppure qualche tempo prima, ad inizio novembre, sempre il Washington Post aveva rivelato che una storia apparsa questa volta su Slate (e ripresa anche da Hillary Clinton) a proposito di un server segreto con cui Trump comunicava con una banca legata a Putin non era né segreto né tanto meno prova di una connessione tra Putin e Trump. L’isteria nei confronti delle fake news venute dal freddo ha raggiunto anche i palazzi dell’Unione Europea: il Parlamento europeo ha infatti votato e approvato una risoluzione di condanna nei confronti del Governo russo che – si legge nel documento approvato a Strasburgo  – “sta utilizzando un ampio ventaglio di strumenti come think tanks, tv multilingua come Russia Today, pseudo-agenzie di stampa e service come Sputnik, social media e troll sul web per sfidare i valori democratici e dividere l’Europa e dare l’impressione che gli Stati orientali dell’Unione europea sono fallimentari“. A questa risoluzione hanno votato contro, per motivi di opportunità politica, Lega Nord e M5S ai quali vanno aggiunti i voti di contrari di Altra Europa con Tsipras. Ma è davvero incredibile che il Parlamento Europeo condanni una televisione e un’agenzia di stampa solo perché vengono utilizzate per dare voce alle posizioni delle autorità russe, se fossimo tutti un po’ più smaliziati diremmo semplicemente «sono media di regime, la propaganda è “normale”» dal momento che l’unica cosa rilevante è essere abbastanza intelligenti da riconoscerla. Riguardo all’esistenza di troll sul Web, sarebbe invece più opportuno agire sulla base di prove circostanziate e non di dicerie.
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Gli hacker russi all’attacco della rete elettrica USA

Venerdì il Washington Post, che pure è un giornale serio e rispettabile ed è diretto dal vincitore di premi Pulitzer Martin Baron (era lui a dirigere il Boston Globe durante l’inchiesta sul Caso Spotlight, resa celebre dall’omonimo film), ha dato un’altra notizia allarmante: alcuni hacker russi erano riusciti a penetrare le difese del sistema informatico che gestisce la rete elettrica americana. L’ipotesi che un gruppo di cyberterroristi possa prendere il controllo di infrastrutture del genere non è fantascientifica anzi, è verosimile. Chi ha buona memoria ricorderà la vicenda di Stuxnet, il virus informatico utilizzato per spiare le centrali atomiche iraniane che si suppone sia stato creato da USA e Israele. Nel 2007 invece la Russia aveva lanciato (o favorito il lancio) di una serie di cyber attacchi (di tipo DDoS) che avevano messo in ginocchio l’Estonia dopo che il Governo estone aveva fatto rimuovere la statua di un soldato russo dal memoriale della Seconda Guerra Mondiale. Last but no least, i server del DNC, il comitato nazionale del Partito Democratico USA sono stati hackerati durante la campagna elettorale. Insomma precedenti ce ne sono ma il problema è che la storia del Washington Post è completamente inventata.
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Il titolo originale dell’articolo, che poi è stato corretto, è quello che vedete qui sopra, il WaPo ha poi pubblicato un successivo articolo in cui viene completamente smentito il racconto dell’hacking russo. Ma tutta la vicenda è davvero ridicola e soprattutto un esempio di cattivo giornalismo, e se si trattasse di un qualsiasi sitarello di quelli noti per “spacciare fake news per profitto” sicuramente ci sarebbe chi chiede a gran voce l’istituzione di un osservatorio internazionale sulle bufale, magari a Ginevra (giusto per il gusto della neutralità) oppure la creazione di un assurdo tribunale popolare per far decidere al popolo cosa è vero e cosa è falso. Innanzitutto la fonte della storia dell’hacking alla rete elettrica è  un anonimo dirigente amministrativo, che naturalmente o non esiste o ha fatto perdere le sue tracce per la vergogna.
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In secondo luogo si è poi scoperto, da dichiarazioni rilasciate dalla società elettrica coinvolta nel presunto attacco che quello che è successo realmente è che è stato trovato un malware all’interno di un portatile che non era nemmeno connesso con il mainframe della rete elettrica:

We detected the malware in a single Burlington Electric Department laptop NOT connected to our organization’s grid systems.

Come ha fatto questa storia a diventare una notizia di prima pagina, di quelle che spingono i più patriottici tra gli statunitensi ad imbracciare il fucile e a correre nei boschi per un remake di Alba Rossa? Il malware in questione sarebbe stato “fatto in Russia”, il che naturalmente non costituisce né una prova del coinvolgimento del Governo Russo né il fatto che hacker russi, che agiscono in nome di qualche segreto progetto dei servizi di spionaggio russo, siano materialmente responsabili. In fondo un malware è solo un piccolo software che può essere venduto, ceduto, scambiato e utilizzato da chiunque ne abbia le capacità.
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L’intervista ad Assange in cui si dichiara “amico di Putin”

Qualcuno potrà pensare che al Washington Post (e solo lì) c’è qualcosa che non va, che magari solo al WaPo hanno paura dei russi o si divertono ad inventare notizie false sulla Russia: non è così. Qualche giorno fa il Guardian ha pubblicato la traduzione di un’intervista fatta dalla giornalista di Repubblica Stefania Maurizi al fondatore di Wikileaks Julian Assange (intervista della quale Repubblica ha messo a disposizione il testo integrale in inglese). Qualcosa però è andato storto perché nel pezzo del Guardian era scritto Assange loda Trump. Ora basta leggere l’articolo originale della Maurizi per scoprire che Assange non ha mai detto questo ma dal momento che Wikileaks ha pubblicato le email riservate di John Podesta (direttore della campagna della Clinton) e che è universalmente riconosciuto come un nemico pubblico allora non ci sono problemi a far credere che Assange stia dalla parte di Trump (perché in fondo tutti sanno che il noto whistleblower Edward Snowden ha trovato riparo in Russia, no?). Inoltre nel pezzo del Guardian – che è stato successivamente editato – era stata inserita anche la notizia che “Assange ha una stretta relazione con il regime di Putin”, che non è vera ed un virgolettato completamente inventato in cui Assange dice che “Wikileaks non ha alcun bisogno di assumere il ruolo di gola profonda in Russia perché in Russia c’è un dibattito completamente aperto e libero”, che oltre ad essere falso in sé è una frase che Assange non ha mai pronunciato. C’è qualcosa in tutti questi articoli, non necessariamente una regia occulta per danneggiare l’immagine della Russia (non ce n’è bisogno) ma un clima da caccia alle streghe. Non serve tornare alla guerra fredda e nemmeno parlare delle fake news del 2016, basta ricordare come una famosa notizia falsa, presentata al consiglio di sicurezza dell’ONU abbia dato il via all’ultima – inutile – guerra in Iraq.

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