Perché l'ISIS attacca il Belgio?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-03-23

Il paese è il cuore del nostro Continente, ma non è solo per motivi logistici che è diventato negli ultimi dieci anni il centro nevralgico del terrorismo di matrice islamica sul suolo europeo. Vediamo quali

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Il giorno dopo gli attentati di Bruxelles ci si interroga sul perché il Belgio sia diventato il centro europeo del jihadismo. Da Molenbeek, un sobborgo della capitale, sono partiti i terroristi del commando che il 13 novembre 2015 ha attaccato Parigi colpendo con diversi attacchi coordinati in diverse zone della città tra cui lo Stade de France e la sala da concerti Bataclan. Da Molembeek proveniva Ibrahim Abdeslam, il frartello di Salah Abdeslam che si fece esplodere al di fuori di un caffè parigino. Anche Abdelhamid Abaaoud, il terrorista rimasto ucciso durante il blitz a St. Denis era originario del quartiere. A Molenbeek si nascondeva Salah la presunta mente degli attacchi parigini, latitante per quattro mesi e arrestato nei giorni scorsi.

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Fonte: Politico.com

Da quando il Belgio è uno snodo cruciale del terrorismo islamico?

Proprio Abaaoud pare facesse parte di una cellula “smantellata” il 15 gennaio 2015 a Verviers, nella regione orientale del Paese. Originari di Bruxelles sono i due terroristi indicati come responsabili dell’attacco a Zaventem, si tratta dei fratelli Khalid e Ibrahim El Bakraoui sospettati di essere i kamikaze che si sono fatti esplodere all’aeroporto. Khalid El Bakraoui, un residente di Bruxelles di 27 era stato anni condannato a cinque anni di reclusione nel 2011 per furti di aiuto con azioni di violenza. Suo fratello, Ibrahim El Bakraoui, è stato condannato a Bruxelles per aver sparato con un kalashnikov contro i poliziotti dopo aver rapinato un agente di cambio nel 2010, secondo il quotidiano La Derniere Heure. Non è ancora stata resa nota la nazionalità del terzo attentatore: Najim Laachraoui, l’uomo che si credeva fosse stato arrestato qualche ora fa (ma la notizia è stata smentita) e considerato da qualche tempo l’artificiere degli attentati di Parigi di novembre. Ma la scia di terrore che insanguina il Belgio non è qualcosa degli ultimi mesi; il 24 maggio 2014 Medhi Nemmouche uccide quattro persone durante un assalto al museo ebraico di Bruxelles. L’uomo era stato in Siria dove si era unito agli uomini dello Stato Islamico. Il 13 dicembre 2011 a Liegi Nordine Amrani, armato di bombe a mano e mitragliatrici, apre il fuoco sulla folla uccidendo sei persone e ferendone 125. Belga e di origine cattolica era Muriel Degauque considerata la prima kamikaze donna di origine occidentale, morta nel 2005. Dal Belgio venivano i due uomini che nel 2001 hanno ucciso il comandate Massoud, il combattente anti talebani ucciso in Afghanistan due giorni prima gli attentati degli 11 settembre 2001. Liberation ha pubblicato ieri un pezzo dove ricostruisce la storia del radicalismo islamico in Belgio, si evince come la presenza di predicatori, reclutatori e aspiranti terroristi non possa e non debba essere considerata una novità. Oggi si parla di lupi solitari che agiscono comunicando su Internet (quando non attraverso la Playstation) e si dice che non è possibile raccogliere informazioni perché queste persone non si incontrano mai di persona e non è possibile intercettarle. Ma l’attività di predicazione dell’odio a Molenbeek è iniziata nel 2000, un periodo in cui ancora in pochi andavano a “studiare” il terrorismo all’estero sui teatri della guerra al terrore condotta dagli occidentale in medio oriente. Infine potrebbe esserci la sottovalutazione dell’attività del gruppo Sharia4Belgium all’inizio degli anni Dieci (tra il 2010 e il 2013) potrebbe aver consentito al gruppo radicale di fornire, spiegano a Liberation, almeno il 10% dei jihadisti che sono andati a combattere in Siria.

La mancata integrazione, il degrado sociale e la radicalizzazione dei giovani

Il Belgio è diventato quindi il centro dell’attività dei terroristi islamici, ma non solo per il numero degli attentati subiti ma anche per l’ingente contingente di foreign fighters di origine belga che hanno raggiunto la Siria e le postazioni degli uomini di Al Baghdadi negli ultimi anni. A questa macabra conta dei morti va aggiunto anche il tentativo fallito di Ayoub El Khazzani, cittadino marocchino residente in Spagna e probabilmente trasferitosi in Belgio a inizio 2015 il cui tentativo di attaccare i passeggeri di un treno alta velocità Parigi-Bruxelles il 21 agosto 2015 venne sventato da alcuni giovani americani. Si stima che siano tra i 300 e i 400 i jihadisti giunti nei territori controllati dall’ISIS dal Belgio che è diventata la nazione europea dalla quale proviene il maggior numero di terroristi occidentali. Assieme alla Francia il Paese sembra essere quello dove molti giovani musulmani hanno intrapreso il percorso che li ha portati ad una radicalizzazione violenta. Bruxelles non è stata “scelta” solo perché è il centro dell’attività politica dell’Unione Europea, e probabilmente nemmeno per punire il governo dopo l’arresto di Salah Abdeslam. Si tratta quindi di capire il motivo di questa radicalizzazione, in Belgio solo il 6% della popolazione è musulmana, e secondo alcuni analisti i giovani di seconda generazione si sarebbero avvicinati agli estremisti islamici a causa del fallimento delle politiche di immigrazione. In questi giorni si sente spesso parlare del quartiere di Molenbeek come di un ghetto nato negli anni Sessanta, una zona che viene definita a maggioranza musulmana dove certi insegnamenti radicali hanno potuto fare leva sulle condizioni di disagio sociale (una zona dove la disoccupazione è al 40%) della popolazione fomentando l’odio nei confronti degli europei. Non dobbiamo stupirci e scandalizzarci delle reazioni degli abitanti di Molenbeek durante l’arresto di Salah, in Italia abbiamo molti esempi di quartieri degradati dove la popolazione si erge a difesa dei boss malavitosi che pure sono causa di quel degrado. Oggi si parla delle mancanze e degli errori dei servizi di intelligence ma questo processo di infiltrazione criminale va avanti da più di dieci anni. Nel 2006 la giornalista Hind Fraihi aveva pubblicato una serie reportage dal titolo “Undercover in Klein Morokko” incentrati proprio sulle condizioni della vita a Molenbeek  e denunciando le problematiche di esclusione e di disillusione dei giovani i cui risultati ora sono drammaticamente sotto gli occhi di tutti. È probabilmente sbagliato parlare di una “generazione Molenbeek” per contrapporla alla “generazione Bataclan” due costrutti altrettanto fittizi ad uso esclusivamente mediatico. Non possono infine non essere tenute in considerazione le responsabilità del governo belga che per anni ha deciso di ignorare la situazione. Oggi si invocano leggi speciali contro il terrorismo e c’è chi ne invoca la necessità di “fare pulizia in casa nostra” invitando al pogrom ma quello che stava succedendo in Belgio era sotto gli occhi di tutti, non solo dell’intelligence belga ma anche delle agenzie di sicurezza di altri paesi europei. Da quello che emerge dalla storia dei movimenti jihadisti belgi sembra di capire che per anni i terroristi hanno utilizzato il Belgio come postazione logistica, di reclutamento dove la variegata popolazione musulmana veniva utilizzata dai terroristi per mimetizzarsi. Da qualche anno la situazione è cambiata e in pochi probabilmente sarebbero stati in grado di leggerla: tentare di spiegarla a posteriori è senza dubbio più facile. Gli attacchi in Belgio rivelano quindi una situazione di intrinseca debolezza che si è andata a generare nel corso di diversi anni e della quale l’ISIS – essendo entrata sulla scena solo di recente – opportunisticamente approfitta per dimostrare di essere in grado di colpire ovunque.
 
 

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