Il “complotto” nel Partito Democratico per il governo con il M5S

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Secondo Matteo Renzi nel partito stavano tessendo un accordo con il MoVimento 5 Stelle per il governo, che lui è riuscito a stoppare. L'elenco dei "cattivi": Franceschini, Orlando e gli altri dissidenti

«Io l’ho capita tardi, ma Franceschini & co. sono partiti all’attacco troppo presto. Così sono riuscito a stoppare l’operazione. Perché è la fine del Pd, se fai l’accordo con i 5 Stelle e almenoil Pd l’ho messo in sicurezza»: Matteo Renzi usa parole durissime per gli esponenti del Partito Democratico che secondo la sua accusa stavano tessendo un accordo con il MoVimento 5 Stelle per il governo.



Il complotto nel Partito Democratico per il governo con il M5S

Ancora una volta nel complotto che delinea l’ex segretario del Partito Democratico che ieri ha annunciato che non si ricandiderà alle primarie a fare da protagonista c’è Dario Franceschini, anche se non era l’unico, sostiene Renzi secondo un retroscena pubblicato da Barbara Jerkov sul Messaggero, a muoversi in questa direzione. Un pezzo del Partito Democratico che voleva (vuole?) andare al governo con il M5S, come fatto emergere dai renziani nei giorni immediatamente successivi al voto.

Interverrà all’assemblea del partito, tra un mese, ha detto ai suoi. E lì, giura chi gli ha potuto parlare in questo suo ritiro strategico, si tirerà un bel po’ di sassolini dalle scarpe. A cominciare dal pressing che si è scatenato nello stato maggiore dem a poche ore dal voto per sostenere un esecutivo pentastellato.



Le maggioranze possibili (La Repubblica, 6 marzo)

Dal «pressing di Veltroni su Martina» a interessi, sibila un deputato a lui vicinissimo, «ben più personali». «Franceschini era pronto a dare tutto per avere per sé la presidenza della Camera», raccontano si sia sfogato il leader, «ma se devi venderti, almeno venditi bene». Certi, come chiamarli, riposizionamenti, «umanamente mi fanno un po’schifo», pare abbia detto Renzi.

Ad usare toni che prefigurano l’esistenza di un complotto è lo stesso Renzi. Il quale sostiene nel racconto di Jerkov che è stato proprio Luigi Di Maio a trattare con l’ex maggioranza dem, «i dissidenti», come hanno preso a chiamarli in queste ore i fedelissimi di Matteo. «Anziché cercare un eventuale accordo con me, è andato a cercare loro. Peccato che loro senza di me non hanno i numeri in Parlamento. Di Maio non ha capito che se il Pd è l’ago della bilancia, i renziani in questa partita sono l’ago della bilancia dell’ago della bilancia. Per fare qualsiasi cosa ci vogliamo noi».



I colpevoli indicati da Renzi

In effetti alla fine è stato il discorso di Renzi dopo l’annuncio delle dimissioni (prima congelate e poi date dopo le polemiche in seguito al suo discorso) a far uscire allo scoperto molti personaggi del Partito Democratico, silenti dopo il risultato delle urne e poi usciti allo scoperto per smentire qualunque ipotesi di collaborazione con il MoVimento 5 Stelle o la Lega. Di più: l’ex segretario imputa alla “fame di poltrone” dei suoi compagni di partito il tentativo di muoversi verso il M5S.

«Si sono tutti abituati a stare al governo», è il ruvido ragionamento, «che poi tutto un certo mondo ha anzi fatto credere che il nostro governo fosse un asset. Peccato che abbiamo perso a Pesaro, Sassuolo, Pisa (che era blindata come Firenze), Genova, Ferrara…».

Ed è trasparente il riferimento a Minniti, De Vincenti, Fedeli, Pinotti, Franceschini. «Il segretario ha le sue responsabilità, ma anche chi ha tenuto lo ius soli sulla graticola per sei mesi fiducia-sì-fiducia-no ha le sue belle responsabilità o no?».

I tre scenari per un governo

Adesso che il complotto, secondo i renziani, è stato sventato, secondo loro sarà la corrente a dettare legge su eventuali accordi, in quanto ago della bilancia dell’ago della bilancia certificato (lo stesso Partito Democratico). E gli scenari futuri che immaginano i renziani prevedono vanno nella direzione del governo del presidente. Il “pericolo” di un governo Di Maio verrà “sventato” da loro, quindi o la Lega e il MoVimento 5 Stelle si accordano per fare il “loro”, senza però riuscire a trovare un compromesso nemmeno sul nome per la presidenza del Consiglio, o la strada per un governo del presidente è aperta.

In quel caso, però, se Mattarella fa un appello su un nome super partes, il PD si troverà costretto a rispondere. Ma solo dopo che avranno fornito la loro soluzione gli altri: il Partito Democratico non può essere decisivo nemmeno per un appello a una ragionevolezza per la nascita di un nuovo esecutivo. Che comunque avrà un’agenda difficoltosa: come trovare un compromesso potabile per tutti riguardo ad esempio la legge elettorale?

Leggi sull’argomento: Ma davvero il Financial Times punta su Di Maio?