Quello che i 5 Stelle non dicono sull'uscita dall'euro

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-04-18

I grillini si arrabbiano con Münchau che li aveva definiti ciarlatani e sull’euro abbozzano una risposta. Che dimostra che non hanno capito la domanda. Perché alla fine quello che interessa è andare al governo. Senza curarsi delle conseguenze

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La settimana scorsa Wolfgang Münchau sul Financial Times aveva spiegato ai 5 Stelle tutti i problemi di un’eventuale uscita dall’euro del nostro Paese dicendo senza mezzi termini che Beppe Grillo è un ciarlatano disposto a tutto pur di andare al governo e spiegando perché l’idea del MoVimento 5 Stelle di uscire dall’euro con un referendum (come spiegato qualche tempo fa da Luigi Di Maio) non ha senso a causa del panico che si genererebbe e delle ripercussioni immediate dovute all’annuncio dell’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Lunedì il MoVimento 5 Stelle ha preso carta e penna e ha risposto alle obiezioni di Münchau dando prova di non aver capito il senso dell’articolo.
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Il problema del referendum sull’euro, spiegato ai 5 Stelle

Secondo i 5 Stelle la reazione dei mercati non rappresenta un problema, anzi sarebbe “la dimostrazione che siamo una forza politica rivoluzionaria”. I 5 Stelle parlano della vittoria al referendum (e alle elezioni politiche) ma non dicono una parola sulla gestione della campagna referendaria (che tra l’altro prevede due referendum) e su quello che potrebbe succedere durante quel lasso di tempo. Laddove Münchau scriveva che gli investitori non aspetterebbero l’esito del referendum una volta che i 5 Stelle avranno vinto le politiche spiegando che “qualsiasi investitore raziocinante prevederebbe un voto a favore di un’uscita dall’euro, farebbe una stima della svalutazione e calcolerebbe quanto dovrebbe salire il rendimento in quel momento per neutralizzare una futura ridenominazione” e prevedendo un fuggi fuggi generale dal sistema finanziario italiano che lascerebbe le banche del nostro paese in una problematica situazione di insolvenza i 5 Stelle non sembrano minimamente preoccuparsi delle implicazioni conseguenti all’annuncio di un referendum per l’uscita dall’euro. L’unico accenno alla questione referendaria è che il MoVimento “ci sta lavorando” :

Ma ci sono delle contromisure politiche che un Paese importante come l’Italia può adottare e adotterà. Non staremo a guardare. Ci stiamo preparando duramente e il frutto di questo impegno sarà un programma dettagliato di Governo costruito con il contributo di parlamentari, esperti e attivisti iscritti al nostro portale.

Impossibile però sapere in che modo, e l’idea delle contromisure politiche è buttata lì senza alcuna ulteriore spiegazione. Ed il motivo è evidente, perché le contromisure politiche di cui parla il MoVimento 5 Stelle consisterebbero nel bloccare la circolazione di capitali. Una scelta che potrebbe senz’altro impedire la fuga dei capitali all’estero ma che avrebbe conseguenze altrettanto pericolose sulla vita dei cittadini e sull’attività delle imprese. Curiosamente però i 5 Stelle preferiscono non parlare nel dettaglio di questa soluzione perché ricorderebbe agli elettori le scene che si sono viste in Grecia: banche chiuse, contingentamento delle importazioni, limiti all’ammontare dei prelievi bancomat giornalieri, divieto all’esportazione di denaro oltre una certa somma e limite ai trasferimenti bancari. E questo non per qualche giorno o qualche settimana ma fino a che non saranno ultimate le procedure prima per istituire il referendum consultivo e poi per votare sull’uscita dall’euro, e poi probabilmente per diversi anni ancora, come spiegato da Barry Eichengreen in questo articolo. Il fatto che i 5 Stelle non abbiano il coraggio di dirlo non fa altro che confermare la tesi di Münchau: sono dei ciarlatani disposti a tutto pur di andare al governo del Paese.
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I 5 Stelle e gli studi della finanza brutta & cattiva

I 5 Stelle preferiscono invece parlare d’altro, della lotta alla povertà, dei danni dell’euro e di quelli provocati dai governi Monti, Letta e Renzi, del reddito di cittadinanza (in lire, evidentemente). Il MoVimento ci spiega che ci sono studi “di istituzioni finanziarie autorevoli” che certificano che anche se l’uscita dall’euro non sarà facile questo non significa che sarà un cataclisma. La faccenda si fa interessante perché subito dopo aver detto che “i cittadini non credono a chi ha appoggiato il sistema finanziario internazionale” si rifanno ad una serie di studi tra cui uno studio di Mediobanca. Per i 5 Stelle la finanza è cattiva ma le sue previsioni – quando fanno comodo ça va sans dire – diventa buona, incredibile non è vero? Il problema delle previsioni di Mediobanca – che sostiene che qualche anno fa l’uscita dall’euro sarebbe stata “conveniente” ma che ora non lo è più – è che come faceva notare Salvatore Biasco sull’Huffington Post non tiene conto di quello che succederebbe al debito pubblico italiano e non calcola cosa comporterebbe la perdita di quelle obbligazioni non ridenominabili in lire per il settore finanziario nostrano (senza contare i danni che ne riceverebbero i piccoli risparmiatori, ovvero i cittadini che detengono una parte del debito pubblico). Perdita che significherebbe – tra le altre cose – il fallimento di molti istituti di credito, il blocco del credito e il conseguente fallimento di diverse imprese. Una sciocchezza insomma. I 5 Stelle poi tornano a magnificare le gioie della svalutazione della ritrovata moneta nazionale, che ci consentirebbe di tornare competitivi sul mercato (certo, c’è il problema che le imprese non avrebbero più soldi ma fa nulla), parlando tra l’altro di una fine dell’Eurozona (con la Germania che ritorna al Marco, l’Italia alla Lira e così via). C’è da dire che previsioni del genere vanno avanti da vent’anni (ovvero dalla nascita dell’euro) e non si sono ancora avverate mentre nessuno degli euroscettici si è mai concretamente impegnato per una seria riforma del sistema della moneta unica. Senza contare che nel caso dell’Italia l’eventuale surplus commerciale potrebbe essere letteralmente mangiato dal fatto che l’Italia sarebbe costretta a regolare i conti con la BCE prima di uscire visto che il nostro saldo Target 2 è negativo.

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Il saldo Target2, fonte: Banca d’Italia

Target2 (T2) ma finanzia i saldi negativi delle partite correnti concedendo credito illimitato e automatico ai paesi debitori, come l’Italia (più Danimarca, Bulgaria, Polonia, Lituania e Romania). Ma questo solo finché siamo nell’euro. Entrato in funzione tra il 2007 e il 2008 in sostituzione della versione precedente (che era semplicemente Target da Trans-European Automated Real-Time Gross Settlement Express Transfer System) Target2 registra i pagamenti interbancari che avvengono tra le varie banche centrali dei vari paesi europei e viene utilizzato sia dalle banche centrali sia dalle banche commerciali per trattare pagamenti in euro in tempo reale. A garantire il funzionamento di tutto il sistema, e ad emettere un saldo contabile che certifica l’esposizione debitoria di ciascuna banca centrale rispetto alle altre è la BCE. Target2 non è un semplice sistema informatico che sorveglia il regolare svolgimento delle transazioni ma ha il compito di mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti tra i vari paesi dell’Eurozona.

L’Italia e il Target2

Il fatto che l’Italia sia uno dei sei paesi maggiormente esposti dal punto di vista debitorio su Target 2 è un dato che dovrebbe destare qualche preoccupazione. La Banca d’Italia spiega che anche se il surplus delle partite correnti rimane elevato la posizione debitoria del nostro Paese è aumentata di 100 miliardi di euro ad ottobre (a novembre è salita a 358,612 miliardi):

Il surplus delle partite correnti rimane elevato, a 42 miliardi nei dodici mesi terminanti ad agosto 2016 (2,5 per cento del PIL). Dall’inizio dell’anno tuttavia la posizione debitoria della Banca d’Italia su TARGET2 è aumentata di circa 100 miliardi, raggiungendo alla fine di ottobre 355 miliardi.

Per i 5 Stelle la questione non si pone (ed infatti non viene nemmeno nominata) perché l’importante è che l’Italia – tramite la Banca d’Italia – torni a controllare il proprio debito pubblico. Peccato però che – come già hanno fatto notare le agenzie di rating (e non solo Münchau) – in caso di uscita dall’euro la possibilità di un default è assai concreta e quel punto la bella notizia di poter “controllare il proprio debito pubblico” da soli potrebbe trasformarsi in un vero incubo. A scanso di equivoci a pagare saranno i cittadini italiani e non “la casta”. Ciliegina sulla torta è il paragone con il terrorismo sulla Brexit, quasi a dire: vedete in Regno Unito tutto va benissimo. Il problema è che il paragone non regge, in primo luogo perché come tutti sanno il Regno Unito non è mai stato dentro il sistema della moneta unica quindi non sta uscendo dall’euro ma dall’Unione Europea (per l’Italia nell’ipotesi del M5S non è chiaro se rimarremmo all’interno della UE pur fuori dall’euro). In secondo luogo perché la Brexit non è ancora avvenuta ma avverrà al più tardi a marzo 2019: per il momento i britannici hanno solo dato formalmente avvio ai negoziati che però devono ancora iniziare. La democrazia viene prima dei mercati è un bello slogan, che però fa credere ai cittadini italiani che i mercati si adegueranno ai risultati del voto, o che non terranno conto delle intenzioni del governo a 5 Stelle prima che si voti sulla permanenza nell’euro: non è così e il MoVimento su questo punto dovrebbe smetterla di prendere in giro i suoi elettori e i cittadini italiani.

Leggi sull’argomento: Il Financial Times spiega perché Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Marine Le Pen sono dei ciarlatani

 

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