Il paradosso di Milena Gabanelli che spiega come difendersi dalle fake news

di Giulia Corsini

Pubblicato il 2018-01-02

 C’è sicuramente qualcosa che manca nel video pubblicato sul Corriere: le fake news non sono certamente nate con l’avvento di internet. E la TV a cui la Gabanelli ha dato il volto si è spesso prestata a strumentalizzazioni e alla propagazione di bufale senza vergogna

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Recentemente è apparso un video sul Corriere dove la nota giornalista Milena Gabanelli insegna a riconoscere le fake news, che è molto ben fatto e consiglio di vederlo. Ammetto che ho smesso di seguire Report anni fa, ancora prima che la Gabanelli se ne andasse, per me era una delle trasmissioni di inchiesta televisiva per eccellenza.

Troppa trippa

Io sono tra quelle persone che non hanno ancora digerito “Troppa Trippa”, servizio della Giannini in cui ho percepito l’insinuazione che i veterinari siano al soldo del petfood. Sarà che sono medico veterinario, e che non riscuoto nessun tipo di compenso se propongo una dieta preconfezionata bilanciata, testata, specifica e di alta qualità (come quelle incriminate nel servizio) adatta alla condizione dell’animale. E se il proprietario non desiderasse diete di tipo commerciale ed avesse tempo e capacità da dedicare al suo cane non ho certamente problemi a riferirlo a un veterinario nutrizionista che gli formulerà una dieta fatta in casa.
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Non mi era per niente piaciuto il taglia-e-cuci al collega, il quale non ha avuto diritto di replica e lamentava che “sembrava si volesse dimostrare una tesi precostituita” : “Se alla fine i tuoi 7-8 minuti di intervista vengono limitati a 7 secondi estrapolando due frasi dal contesto… ti rendi conto che la volontà non è quella di fare informazione riportando il parere di chi intervisti, ma di fare l’informazione che vuoi tu senza considerare il parere di chi hai intervistato”. Ho visto le conseguenze della perdita di fiducia nei professionisti alimentata dai media, ho visto persone che si “arrangiavano” con gli avanzi della pattumiera, diete sbilanciate, con ingredienti di uso comune nella nostra dieta (come aglio e cipolle) che possono provocare l’anemia emolitica nei cani, diete inadatte a pazienti con problemi renali che molto probabilmente hanno contribuito ad accorciare loro la vita. Diversi colleghi che segnalavano un aumento dell’incidenza di torsioni gastriche, cani soffocati, con lo stomaco enorme, pieno di gas: il padrone “eh, dopo Report ho dovuto cambiare la dieta: pane, pasta e zuppa”.

Le fake news prima di Internet

Esistono sicuramente ottimi servizi che hanno scoperchiato scandalosi soprusi, altri servizi invece mi hanno lasciato perplessa, come quello sugli OGM, sulla Sperimentazione Animale, sull’olio di Palma, sul Papillomavirus, sugli esperimenti al CERN che “potrebbero distruggere la Terra”, sulle fragole-pesce, sul metodo Di Bella. Eppure la comunità scientifica è stata molto chiara su questi argomenti. C’è sicuramente qualcosa che manca nel video contro le fake news pubblicato sul Corriere,le fake news non sono certamente nate con l’avvento di internet. I creatori di bufale non solo solo i “cattivi”, le “persone che creano traffico”, “pubblicità”, persone che “vogliono condizionare l’opinione pubblica”, così come non lo sono i diffusori di bufale. Certo, i metodi elencati nel video del Corriere possono aiutare a distinguere le bufale più comuni del web, ma aiutano il giornalista in buona fede che deve fare un servizio su una materia complessa?
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Il problema non è solo il fatto che ci piacciono le bugie, né a “noi fruitori”, né a “noi diffusori” involontari di bufale, il problema non è neanche internet in sé come può sembrare, perché internet è solo un mezzo di condivisione, come lo è/era la televisione solo che una volta qualcuno privilegiato aveva la possibilità di diffondere bugie (involontariamente o volontariamente), ora ce l’hanno tutti.

Se, in effetti, Internet ha molto da offrire a chi sa ciò che cerca,
è anche in grado di completare la stupidità di chi naviga senza bussola.
(L. Laplante)

E se l’informazione una volta era relegata solo alla tv, uno dei problemi base che ci sono e che ci sono sempre stati è la sfiducia nel professionista. Penso che il servizio di Report fosse genuino, la giornalista ha fatto il servizio come voleva lei: i veterinari [30.000 in Italia] sembrerebbero al soldo del pet food, bisognerebbe dare ai cani gli avanzi. La giornalista avrà creduto sinceramente di sapere di più sull’alimentazione migliore per cani e gatti dei medici veterinari, tanto da estrapolare delle frasi fuori contesto dal collega potendo anche utilizzare il parere di esperti (veri) che spiegano come fare le diete casalinghe insieme ad altri veterinari un po’ meno esperti che criticano le diete commerciali e che trovano aberrante il fatto che un animale non mangi carne cruda (di CUI gli esperti hanno esposto i rischi). A seguito di questa puntata le associazioni di categoria si sono espresse duramente contro il servizio. E Report ha rilanciato, chiedendo ahimè alla Federazione Nazionale dei Medici Veterinari di prendere una posizione contro i pet food.

Milena Gabanelli e internet contro le fake news dei media tradizionali

Se nel video contro le bufale si insegna a fare attenzione a come utilizzare i social, altri articoli hanno messo in luce come i social abbiano contribuito a mostrare i difetti dei mass media convenzionali: “le trasmissioni di inchiesta televisiva mi facevano impressione soltanto quando affrontavano un tema che non conoscevo per nulla, mentre ogni volta che toccavano un tema che studio per lavoro mi risultavano intollerabili per quanto erano banali oppure, peggio, deformanti.” scriveva su Linkiesta Marco Viviani. La questione cruciale è: di chi ci dobbiamo fidare?
Siamo sempre più disorientati inondati dal sovraccarico informativo 2.0, torniamo a casa stanchi da lavoro e non abbiamo tempo, voglia o capacità per verificare tutte le notizie. Fino a poco tempo fa non pensavamo neanche potesse essere necessario verificare le notizie, prendevamo semplicemente per oro colato tutto quello che ci propinavano i mass media, tranne quando trattavano argomenti che conoscevamo bene e allora pensavamo che il problema coinvolgesse solo la nostra categoria. Adesso possiamo utilizzare i nostri blog, giornali online e i nostri social per farlo presente (non è poco) e ci siamo accorti di non essere soli.
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A fronte di lunghi ed estenuanti studi e ricerche ci rendiamo conto che il sapere è estremamente complesso ed è praticamente impossibile orientarsi nel campo dello scibile umano, il sapere contemporaneo è fortemente specializzato e la specializzazione rappresenta la condizione indispensabile e necessaria per far progredire in ogni campo la conoscenza umana e della tecnica.

Il sapere specialistico appartiene agli specialisti

È necessario dunque riporre di nuovo fiducia negli esperti e promuovere il sapere specialistico come un valore che arricchisce la società, rilanciare una nuova coesione sociale basata sul rispetto delle conoscenze e dell’esperienza. Il professionista deve essere la chiave di accesso al sapere specialistico. Riprendendo le interessantissime considerazioni del dr. Alberto Ferrari sul consenso scientifico: abbiamo la capacità necessaria per decidere quali sono gli esperti e quali no? Significherebbe essere nella condizione di giudicare le capacità altrui, e quindi essere noi stessi degli esperti. Non ce l’abbiamo.
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Ma il medico veterinario conosce tutta la medicina veterinaria? No. Così come il medico non conosce tutta la medicina. Un veterinario generalista sa quanto possa essere pericoloso dare certi avanzi da tavola al cane, e sa che se un cliente vuole un servizio di qualità per diete casalinghe può riferirlo a un veterinario specialista esperto in nutrizione, che ne sa più di lui sulle diete per cani perchè ha concentrato la sua formazione su questo aspetto. Per lo stesso principio però ci sono medici veterinari che promuovono l’alimentazione a base di carne cruda (BARF) nonostante la FAO e dei diplomati al College Europeo ed Americano in Nutrizione Veterinaria ne abbiano messo in luce i rischi (gli esperti degli esperti). La fiducia nell’esperto a volte manca persino all’interno delle professioni stesse, ed è possibile trovare pareri contrastanti all’interno della categoria, persone che accusano esperti di settori particolari di essere venduti e lo fanno soprattutto quando devono parlare di tematiche specialistiche che non conoscono. Temo che un giorno le categorie possano ignorare il parere degli esperti in un campo specialistico all’interno di essa e allora sarebbero guai.

Perché la gente parla di cose che non sa?

Il problema è che meno si conosce un argomento e più si è sicuri di conoscerlo: si tratta di una distorsione cognitiva dovuta all’incapacità da parte di chi non è esperto in materia di riconoscere i propri errori. Ne è un esempio la conduttrice televisiva Giulia Innocenzi che, nonostante le importanti correzioni segnalate dal virologo Roberto Burioni, promuove il suo libro sulle vaccinazioni e si vanta del sostegno di altri giornalisti “Meno male che ci sono giornaliste come te che fanno queste inchieste”.
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Come scegliere gli esperti

Dunque, per riprendere le parole di Ferrari, è ovvio per definizione che non sia possibile per un inesperto “scegliere” quali siano gli esperti di cui fidarsi. Ma possiamo fidarci di due esperti a caso? Di dieci esperti? Di cento esperti? È abbastanza ovvio che più aumenta il numero degli esperti a caso che sono concordi, più è facile che abbiano ragione.
Quindi in realtà la risposta è semplice: per farci un’idea dobbiamo fidarci del parere solido e documentato della maggioranza degli esperti.
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Esistono pareri solidi e condivisi su molte tematiche scientifiche e non, perchè i media li hanno trattati sempre nella maniera sbagliata? Perchè i giornalisti si vantano di libri pieni di strafalcioni?

Cosa ha contribuito ad accrescere la sfiducia negli esperti

Un dibattito televisivo e un dibattito pubblico tra una persona coerente con il parere dei professionisti e una persona che non lo è è un passo indietro per l’informazione pubblica, si chiama “false balance”: il giornalismo imparziale, che mette lo spettatore nelle condizioni di dover decidere su questioni che sono materia di esperti e sceglierà il più convincente, non chi ha ragione. L’accusa di interesse che tanto piace al giornalismo di inchiesta, quando coinvolge intere categorie lavorative, non solo evita di affrontare adeguatamente una tematica specialistica, ma crea divario sociale, sfiducia nel professionista e, come abbiamo visto, ha delle conseguenze nefaste.
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La sfiducia negli esperti si riflette anche sull’impiego dei social network come fonte alternativa di informazione: le persone non sono più costrette a trarre informazioni solo dai telegiornali e dalle trasmissioni di inchiesta ma possono trovarle ovunque e la situazione forse è anche peggiorata! Da non-giornalista, non posso sperare altro che in un mondo in cui vengano ristabilite le competenze a chi di dovere, dove le persone ascoltano i giornalisti e i giornalisti ascoltano i professionisti per amore della verità, brutta, complicata e noiosa che sia perché questo ha delle ripercussioni sulla società e sulle scelte democratiche. Se penso alle ripercussioni che ci sono state per un servizio sul cibo per i cani non posso immaginare quando si tratta di argomenti che riguardano la salute umana e la politica.

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