L'addio di Milena Gabanelli alla RAI

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-11-01

La giornalista lascia e accusa ironizzando sui nomi dei consiglieri che le hanno messo i bastoni tra le ruote. La Rai perde un altro volto dell’informazione che ha coltivato e cresciuto per decenni

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Tanto tuonò che piovve. Dopo l’autosospensione Milena Gabanelli annuncia le sue dimissioni dalla RAI e sbatte la porta di viale Mazzini, ancora una volta incapace di tutelare una professionalità giornalistica che ha fatto crescere negli anni di maggiore successo di Report, finendo per regalarla alla concorrenza come è successo, in ultimo, con Giovanni Floris. Dopo un ultimo colloquio con Mario Orfeo lunedì pomeriggio, la giornalista ha rassegnato le dimissioni dalla tv di Stato dopo le promesse dell’allora direttore generale Antonio Campo Dall’Orto di dirigere una nuova testata: un grande portale web da oltre 80 giornalisti che avrebbe dovuto risollevare le sorti di mamma Rai su internet.
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L’idea era andata in soffitta dopo l’addio di Campo Dall’Orto alla RAI e i tentativi di riesumazione non avevano portato risultati. Così come non era andata a buon fine l’ultima proposta di Milena: un programma di approfondimento giornalistico dopo il TG1. Con le elezioni alle porte e la fama di ammazzagiganti che si è fatta in questi anni, era francamente impossibile che qualcuno si assumesse la responsabilità di mandarla in diretta nell’orario di massimo ascolto con il rischio di pagarla a urne chiuse. «Nell’attesa del famoso piano di riorganizzazione dell’informazione, ho proposto di utilizzare il lavoro fin qui fatto con una squadra di data journalism (tutta di giornalisti Rai distaccati da altre redazioni) per portare in onda un evento al giorno in 4 minuti. Un evento raccontato per numeri, in coda al Tg1. La decisione di dare corso a questa innovazione non passa dal Cda; il via libera può arrivare in autonomia dal direttore generale Mario Orfeo», dice lei oggi a Repubblica.
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E ancora:  «I consiglieri e la presidente hanno perfino sollevato dei dubbi, a gennaio, sulla legittimità della mia assunzione come vicedirettore. Sta scritto sui verbali del Cda e piovvero dichiarazioni del consigliere Mazurca o come si chiama, di Diagonale o come si chiama, e compagnia. La scusa (perché è una scusa) è che non si può varare una nuova testata se non se ne chiudono prima delle altre. Non riescono ad accorpare al Tg1 una testata inutile (con tutto il personale dedicato) come è Tg Parlamento, e per questo bloccano una testata online degna del servizio pubblico. Dicono di no, nonostante i profitti che ne deriverebbero. Un portale graficamente pronto e sviluppato, per effetto delle tante risorse investite, sta lì fermo». I consiglieri in realtà si chiamano Giancarlo Mazzuca e Arturo Diaconale, ma si comprende la rabbia di una professionista costretta non dalla burocrazia – che è soltanto una scusa – ma dal suo metodo di lavoro a finire in panchina. Fino a quando? Fino a che qualcuno non avrà il coraggio di prendersi il pacchetto Gabanelli, che comprende anche il prezzo delle querele temerarie da fronteggiare ogni volta che un suo programma va in onda.

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