E se l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia sui migranti dovesse saltare? Dopo le minacce di Erdogan sui visti a Bruxelles cominciano a ragionare intorno alla possibilità che alla fine l’accordo con i migranti su Ankara si spezzi e in questo caso il piano B prevede che sia la Grecia a diventare l’hub dei migranti. Il passo con cui l’Europa onora la sua parte degli impegni sta aumentando: i fondi stanziati per il supporto ai profughi in Turchia sono ormai più di 2,1 miliardi. Da Ankara, i dati erano, e restano, confortanti: se nel mese prima dell’accordo — siglato il 18 marzo — a prendere il mare erano stati in 1.740, a giugno quel numero era sceso a 47. Ma, ha detto due giorni fa il ministro per l’Immigrazione greco, Yannis Mouzalas, «se il flusso dovesse ripartire, non potremmo affrontarlo da soli. Abbiamo paura, ci stiamo preparando».
Scrive Davide Casati sul Corriere:
Se l’accordo non terrà, l’Europa dovrà reagire in fretta. Certo, in Grecia — sottolineano da Bruxelles — in questi mesi le capacità organizzative e infrastrutturali sono state potenziate. Ma se il flusso crescesse, andrebbe subito inviato un contingente ampio di funzionari (finora rimasto ben sotto il livello previsto: «per mancanza di richiesta», specifica la Commissione); ad Atene andrebbero garantiti fondi adeguati, distogliendoli da quelli promessi ad Ankara o assicurati con altre leve. Resterebbe il tema della lentezza della redistribuzione dei profughi: dei 120 mila giunti in Europa, solo 3.700 sono stati portati in Paesi diversi da quelli di arrivo. E le istituzioni Ue non hanno strumenti immediati per far rispettare le quote.