Matteo Renzi e il disegno eversivo su CONSIP

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-05-20

Una struttura dello Stato ha distorto prove per colpire il presidente del Consiglio? L’ipotesi di complotto è attribuita al segretario del Partito Democratico. I tanti buchi nell’inchiesta la aiutano

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Un disegno eversivo su CONSIP che doveva rovesciare il governo. Facendolo cadere sull’onda dello scandalo dopo il referendum del 4 dicembre. La tesi è esposta oggi da Francesco Bei sulla Stampa ed è attribuita nientemeno che a Matteo Renzi. Il ragionamento parte da una coincidenza di date: a fine ottobre 2016  il capitano del Noe, Giampaolo Scafarto, indagando su Consip decide di tirare in ballo i servizi segreti, concordando con il pm Woodcock la «strategia investigativa», a palazzo Chigi il presidente del Consiglio è ancora Matteo Renzi.

Matteo Renzi e il disegno eversivo su CONSIP

Il riferimento di Renzi è a un articolo uscito un paio di giorni fa sulla Stampa a firma di Francesco Grignetti in cui si riporta un’intercettazione di Scafarto che risale appena al 10 aprile scorso. Scafarto si sente nell’occhio del ciclone perché in quelle ore non si parla d’altro che degli «errori» di cui era infarcita la sua informativa e si sfoga al telefono con un collega parigrado. «L’omissione contestata è una scelta investigativa precisa che ho condiviso anche con Woodcock», dice il capitano del Noe, braccio destro dei pm napoletani.

La manipolazione dell’inchiesta, con la fabbricazione del falso, anzi dei due falsi – l’asserita presenza sulla scena dell’indagine di 007 in azione di controllo, che serve a tirare in ballo il capo del governo, e l’errata attribuzione di una frase intercettata ad Alfredo Romeo anziché a Italo Bocchino – sarebbe avvenuta quindi, da parte dell’ufficiale dell’Arma, con il premier in carica.

matteo renzi consip disegno eversivo
L’articolo della Stampa con l’intercettazione di Scafarto (18 maggio 2017)

Ricapitolando: una struttura dello Stato, secondo quanto sta emergendo dal riesame delle carte da parte del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e dal sostituto Mario Palazzi, avrebbe distorto volutamente il senso di alcune prove per colpire il presidente del Consiglio. Se non fosse intervenuta prima la sconfitta referendaria del 4 dicembre, Renzi probabilmente sarebbe stato indotto alle dimissioni sull’onda dello scandalo Consip due mesi dopo.

Il complotto di CONSIP 

L’affermazione non è ovviamente virgolettata e mai potrebbe esserlo. Eppure descrive perfettamente il clima da complotto che si respira in questi giorni dopo la pubblicazione della telefonata tra Renzi padre e Renzi figlio. Ed è corroborata dalle fughe continue di notizie che in questi giorni hanno continuato a funestare l’inchiesta. Una fuga non casuale, spiega l’articolo:

Ecco, proprio su questa «pianificazione eversiva» ora Renzi chiede di vederci chiaro. Per questo arriva a considerare la pubblicazione delle telefonate sue e del padre come un «falso problema», quasi fosse del fumo gettato negli occhi da chi vuole coprire il vero scandalo, quello delle presunte manovre di un pezzo dello Stato per far cadere il governo in carica.
«Mio padre – ripete in privato – è indagato per concorso esterno in traffico di influenze, un reato che fa ridere solo a dirlo. Un reato, peraltro, per il quale nemmeno si può intercettare. Ma il problema è un altro. Il problema che alcuni si rifiutano di vedere è il verbale dell’interrogatorio di Scafarto».

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Le procure e il caso Consip (Il Messaggero, 6 marzo 2017)

Il punto è che il complottismo di Renzi ha gioco facile all’interno di un’inchiesta con molti punti deboli. Dal ruolo di Luigi Marroni a quello dei pizzini ritrovati in discarica, la solidità delle accuse viene oggi messa a dura prova anche da semplici ragionamenti di senso comune.

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