Massimo D'Alema e il dialogo futuro tra Pd e LeU

In un'intervista rilasciata al Corriere, l'ex premier esorta Pd e LeU a non farsi del male in vista di un "governo del presidente" che potrebbe contenere loro e Forza Italia. Il modo migliore per svuotare le urne di Bersani

Qualche giorno fa abbiamo spiegato che la linea delle alleanze di Liberi e Uguali in Lombardia e nel Lazio era perfettamente spiegabile come strategia elettorale perché il nuovo partito di Bersani, D’Alema e Grasso deve distinguersi il più possibile dal Partito Democratico per avere la possibilità di raccogliere voti. Oggi Massimo D’Alema sul Corriere della Sera disegna la possibilità di (e la disponibilità di LeU a) un “governo del presidente” dopo le elezioni dal quale però, giocoforza, sarebbe impossibile escludere Forza Italia e Partito Democratico. Già che c’è, esorta Pd e Leu a non farsi del male:



«Per far perdere Renzi non era necessario fare un partito; bastava lasciarlo fare da solo. Il Pd ha perso tutte le elezioni, con noi o senza di noi, da Roma a Torino a Genova. Noi non nasciamo per provocare la sconfitta che c’è già stata, ma come conseguenza della sconfitta; con l’obiettivo di riconquistare un pezzo dell’elettorato che non vota, o vota 5 Stelle, o persino Lega. Consiglierei al Pd di adottare una certa prudenza, anziché continuare ad attaccarci».
Perché non dovrebbe?
«Perché attaccare noi non porta voti a loro, ma ai 5 Stelle. L’uso strumentale del voto utile per schiacciarci non funziona, ed è controproducente. Com’è accaduto in Sicilia, dove il candidato dem ha preso l’8% in meno delle liste che lo sostenevano: molti, convinti dal Pd della necessità del voto utile, hanno votato 5 Stelle o destra. La competizione maggioritaria in gran parte del Paese avrà questi due protagonisti. Il gruppo dirigente del Pd colleziona autogol: tra la legge elettorale, la commissione sulle banche, la campagna per il voto utile, dà l’impressione di una certa mancanza di saggezza. Vorrei dire loro: non facciamoci del male; creiamo le condizioni per un dialogo futuro. Dopo il 4 marzo, viene il 5 marzo. Il Pd dovrebbe semmai dedicare la sua campagna a contrastare la destra».


Ad occhio insomma le dichiarazioni pubbliche di D’Alema sembrano andare in direzione ostinata e contraria rispetto alla pura logica di interesse elettorale per il partito di Grasso.



Cosa succederà il 5 marzo?
«La classe dirigente ha il dovere di dire la verità al Paese: questa legge è congegnata perché nessuno abbia la maggioranza. Occorrerà lo sforzo di garantire una ragionevole governabilità, mentre il Parlamento avrà un compito costituente, a cominciare da una nuova legge elettorale. Il Paese pagherà un prezzo alto al fallimento del renzismo, al modo disastroso, superficiale e arrogante con cui ha affrontato questioni delicatissime come le riforme».
Un governo del presidente?
«Per forza: una convergenza di tanti partiti diversi attorno a obiettivi molto limitati. E noi, che siamo una forza radicata nei valori democratici della Costituzione della solidarietà, dell’uguaglianza, del lavoro, daremo il nostro contributo, ponendo discriminanti di carattere programmatico per noi irrinunciabili».
Quali?
«Ci sono enormi istanze sociali non rappresentate. Sono cresciute le disuguaglianze, i frutti della ripresa vanno a pochi. La tragedia di Milano ci ricorda il tema drammatico della tutela della sicurezza dei lavoratori. Le scelte del governo Renzi volte a ridurre la forza contrattuale dei lavoratori li hanno indeboliti anche su questo fronte. Per un lavoratore che può essere licenziato senza giusta causa è più difficile alzare la voce per difendersi».