Martino Paniconi e Marco Bordoni: chi sono i due arrestati per le bombe alle chiese di Fermo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-07-20

Davvero sono ultras anarchici? “Il lupo”, ovvero Bordoni, sarebbe “l’ideatore del disegno criminoso dopo aver letto un libro che trattava temi e teorie anarchiche”, mentre l’altro fermato nelle intercettazioni dice agli amici di averlo “appoggiato”

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Martino Paniconi, 40 anni, e Marco Bordoni, di 30, entrambi residenti a Fermo. Sono questi i due arrestati per le bombe alle chiese di Fermo. A loro i carabinieri di Fermo e Ascoli Piceno, in collaborazione con il Ros di Ancona, sono risaliti attraverso appostamenti e intercettazioni ambientali. In casa dei due sono state trovate delle micce, oltre a barattoli in lamiera e i resti di lavorazione di ordigni rudimentali. Fondamentale anche la prova del Dna da un’impronta digitale. A quanto pare i due stavano per fuggire a Londra: per questo i carabinieri sono intervenuti.

Chi sono i due arrestati per le bombe alle chiese di Fermo

I due, fermati la notte scorsa, debbono rispondere del danneggiamento con esplosivo di uno stabile, adibito ad alloggio per sacerdoti, accanto al Duomo di Fermo, nella notte tra il 27 e il 28 febbraio scorso; della canonica della chiesa di San Tommaso di Canterbury a Lido San Tommaso di Fermo, nella notte tra il 7 e l’8 marzo, e della Chiesa di San Marco alle Paludi nella notte tra il 12 e il 13 aprile. L’esplosione degli ordigni aveva provocato danni più o meno gravi ai portoni degli edifici. Un quarto attentato, fallito perché l’ordigno non era esploso, è quello ai danni della chiesa di San Gabriele dell’Addolorata. La bomba era stata inviata al Ris di Roma. Le indagini si erano concentrate su Paniconi, che si sarebbe trovato a bordo di un’auto nei pressi della chiesa di San Gabriele la notte precedente al rinvenimento dell’ordigno, trovato dal parroco vicino all’ingresso. Gli accertamenti, condotti anche con sistemi di radiolocalizzazione e intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno confermato secondo la procura, la responsabilità dell’uomo sia nel confezionamento che nella posa degli ordigni davanti ai portoni delle chiese, e il coinvolgimento di Bordoni. La Procura della Repubblica di Fermo, ieri, ha quindi emesso a loro carico due provvedimenti di fermo di indiziato di delitto. Paniconi e Bordoni sono ora in carcere. Paniconi e Bordoni sono accusati “in concorso tra loro ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, fabbricato, senza licenza dell’autorità, ordigni esplosivi, che venivano poi illegalmente portati in luogo pubblico e fatti esplodere, al fine di incutere pubblico timore ed attentare alla sicurezza pubblica“, si legge del decreto di fermo di indiziato di delitto firmato dal sostituto procuratore Mirko Monti. In particolare, nel decreto sono nominati cinque episodi contestati: a Porto Sant’Elpidio, tra il 9 e 10 gennaio 2016, nelle vicinanze della Chiesa di San Pio X; a Fermo, tra il 27 e 28 febbraio 2016, al Duomo di Fermo, con lievi danni al portone di ingresso; tra il 7 e 8 marzo 2016, alla Chiesa San Tommaso di Canterbury di Lido San Tommaso di Fermo “cagionando gravi danni alla porta d’ingresso”; a Fermo, tra il 12 e 13 aprile 2016, alla Chiesa San Marco alle Paludi, di cui è parroco Don Vinicio Albanesi “cagionando gravi danni al portone d’ingresso”; a Fermo, il 22 maggio 2016, alla Chiesa San Gabriele dell’Addolorata di Campiglione, “dove l’ordigno preparato e posizionato innanzi al portone d’ingresso rimaneva inesploso e rinvenuto al mattino da Don Luigi Traini, parroco della Chiesa medesima”.

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Marco Bordoni e Martino Paniconi: i due arrestati per le bombe alle chiese di Fermo

La svolta delle indagini arriva quando un ciclista vede un movimento strano di esplosivo in un casolare nei pressi della comunità di Capodarco. I carabinieri lo perquisiscono e trovano solo pezzi di scotch e una scritta: “No Mercenaria” e un numero di telefono. Scoprono che è intestato alla ex compagna di Paniconi. Lei collabora e li indirizza. La sua storia la racconta oggi Sandra Amurri sul Fatto:

A dare la svolta alle indagini la querela di D.S., ex compagna di Paniconi, madre di suo figlio, che ha rivelato la presenza di esplosivo in casa sua. Oggi, una giovane donna, una bambina con una storia drammatica alle spalle, quando una coppia di professionisti fermani la adotta. A 16 anni si mette con Martino Paniconi che la rinchiude in casa, la picchia, la costringe ad avere rapporti con lui e la plagia tanto da esaudire ogni intento criminoso nei confronti della mamma adottiva e a rifiutare quell’immenso amore per sostenerla nonostante il dolore per i suoi comportamenti.
Una battaglia a forza di carte bollate, durata 7 anni, per distaccare la figlia da quell’uomo violento e salvare il nipote, mentre subiva le sue vendette: auto bruciata, furto in casa di gioielli, argenteria e soldi. Fino a che, finalmente, la ragazza si convince, lo abbandona e cerca di ritrovare se stessa in una comunità portandosi il dolore per quel bimbo, che il Tribunale dei minori di Ancona, dà in affido anziché alla nonna, come richiesto, a una struttura protetta.

I carabinieri piazzano così una cimice, il 16 luglio, nella macchina dell’uomo. E qualche ora dopo raccolgono un’inaspettata confessione. Parlando con un amico, Paniconi racconta di essere spaventato per un controllo all’etilometro. «Vogliono il Dna — dice — Perché l’ho appicciate tutte io, una volta che ha appicciato il Lupo ha fatto i danni ed è rimasta intatta», in riferimento all’ultimo ordigno inesploso.

Martino Paniconi e Marco Bordoni

I due sono stati descritti come “ultras” e “anarchici”; alcune agenzie di stampa hanno prima segnalato e poi smentito un collegamento con Amedeo Mancini, l’uomo accusato di omicidio preterintenzionale aggravato dall’odio razziale nella vicenda della morte di Emmanuel Namdi. “Non c’è un collegamento, l’unico punto di contatto è che si tratta di soggetti che vengono dal mondo del tifo organizzato, soggetti che frequentano lo stadio. Mi sento di negare che esista un movente di natura politica. Sono stati rinvenuti elementi che potrebbero far pensare a una matrice di origine diversa da quella di estrema destra, ovvero anarchica. Siamo di fronte però a soggetti il cui substrato culturale è molto basso”, ha detto il procuratore Seccia. Di certo la curva degli ultras della Fermana ha già dato solidarietà a Mancini.

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Il comunicato di solidarietà ad Amedeo Mancini degli ultras della Fermana

Uno dei due accusati, poi, su Facebook ha spesso e volentieri parlato del caso, schierandosi apertamente con Mancini. «Don Vinicio, sta ota non si fatto li conti giusti. Incula’ l’Italia e’ na cosa. Incula’ li Ferma’ e un amico ultras e nnatra cosa. Don Vinicio rubba do poi rubba’», ha scritto in dialetto locale soltanto qualche giorno fa. Così come si può leggere in tanti stati la conclusione “Amedeo (Mancini) fratello e amico mio”, oppure la condivisione di articoli come questo su Militia che dà solidarietà al fermano accusato di omicidio preterintenzionale: “Siamo tutti Amedeo Mancini! Giornalista terrorista!”
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Ma è anche vero che prima del fatto di cronaca sul suo profilo non compaiono discussioni sul tema immigrazione o simboli politici. Si parla soprattutto di calcio. In ogni caso secondo le accuse, basate su numerose intercettazioni, “il lupo“, ovvero Bordoni, sarebbe “l’ideatore del disegno criminoso dopo aver letto un libro che trattava temi e teorie anarchiche”, mentre l’altro fermato nelle intercettazioni dice agli amici di averlo “appoggiato”. Il fermo è stato deciso anche perché, secondo gli inquirenti, imminente era il pericolo di fuga: non solo entrambi hanno “disponibilità di automobili veloci”, soprattutto un’intercettazione ambientale, mentre erano in auto con un altro ultrà rivela “la volontà di entrambi i soggetti di allontanarsi dall’Italia a breve (lunedì) per raggiungere Londra”. Di Bordoni si sa solo che lavorava come spazzino. Eppure a casa sua gli inquirenti hanno trovato un libro “anarchico” con il quale avrebbe nutrito la sua “ideologia”. Mah.
 
 

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