Mario Monti vota no al referendum costituzionale

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-10-18

Lui veniva dipinto come il garante di accordi segretissimi con il Potere Finanziario. Ma anche il referendum viene raccontato come un modo per soddisfare il Grande Capitale. E allora Monti è diventato Che Guevara?

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Lui veniva dipinto come il principe del male, il latore di segretissimi accordi con il Potere Finanziario (la maiuscola è d’obbligo) per svendere l’Italia allo Straniero. Ma anche il referendum costituzionale sulle riforme viene dipinto come un modo per soddisfare il Grande Capitale eccetera. Ebbene, un bel cortocircuito attende oggi i complottisti visto che Mario Monti annuncia in un’intervista al Corriere della Sera che voterà no al referendum costituzionale:

Lei ha votato per questo impianto di riforma costituzionale almeno una volta in Senato.
«Ho votato Sì in prima lettura nell’agosto del 2014, poi in seconda e terza lettura ero assente per impegni europei».
Perché votò Sì nel 2014?
«Consideravo essenziale non indebolire la corsa di Renzi sulle riforme economiche. Perciò votai Sì, pur avendo varie riserve. Di questa riforma mi hanno sempre convinto la modifica del rapporto fra Stato e Regioni, l’abolizione del Cnel e la fine del bicameralismo perfetto. Non mi convince un Senato così ambiguamente snaturato, nella composizione e nelle funzioni. Meglio sarebbe stato abolirlo».
Altri fattori che la convincono dell’impianto della riforma?
«Ci possono essere risparmi nel costo della politica in senso stretto, ma il vero costo della politica non è quello dei senatori. È nel combinato disposto fra la Costituzione, attuale o futura, e metodo di governo con il quale si è lubrificata da tre anni l’opinione pubblica con bonus fiscali, elargizioni mirate o altra spesa pubblica perché accettasse questo. Ho riflettuto a lungo in proposito».
Cosa ne ha concluso?
«Che votare Sì al referendum significherebbe votare Sì al tenere gli italiani dipendenti da questo tipo di provvidenza dello Stato. Sarebbe un Sì a non mantenere con loro un rapporto da cittadini adulti o maturi nei confronti dello Stato. Da trent’anni mi occupo di metodi di governo, in particolare dell’economia. Quando ne ho avuto l’occasione ho cercato di migliorarli, in Europa e in Italia. Nel nostro Paese l’ho fatto dalle colonne di questo giornale, contribuendo a un lento ma continuo miglioramento dagli anni 90, spinto anche dall’Europa, e poi nel breve periodo della mia esperienza di governo. Partendo da queste premesse, molto diverse da tante altre voci che si sono espresse per il No, a me risulta impossibile dare il mio voto a una Costituzione che contiene alcune cose positive e altre negative, ma che — per essere varata — sembra avere richiesto una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile dei mali più gravi dell’Italia: evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico».

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Monti spiega a Federico Fubini che il no è dovuto in massima parte al consenso che il premier cerca di costruire attorno al sì:

Insomma il suo è un No anche se in parte apprezza il merito della riforma costituzionale?
«Dire che una parziale modifica della Costituzione, conseguita in un modo così costoso per il bilancio pubblico, sarà molto benefica per la crescita economica e sociale dell’Italia, è una valutazione che non posso accettare. Se prevarrà il Sì avremo una Costituzione riformata, forse leggermente migliore della precedente, ma avremo con essa l’approvazione degli italiani a un modo di governare le risorse pubbliche che pensavo il governo Renzi avrebbe abbandonato per sempre, come ha fatto meritoriamente con gli eccessi della concertazione tra governo e parti sociali. Speravo che fosse arrivato il momento in cui gli italiani potessero essere e sentirsi adulti, non guidati dalla mano visibile del potere politico».
Insomma, è il modo con cui il premier cerca consenso attorno al Sì che la spinge al No?
«Esatto. Non avrebbe senso darsi una Costituzione nuova, se essa deve segnare il trionfo di tecniche di generazione del consenso che più vecchie non si può. Peraltro trovo negativo avere tenuto in piedi con l’uso del denaro pubblico queste deformazioni del rapporto degli italiani con la classe politica. Questo problema rischia solo di essere accresciuto portando alla ribalta la classe politica regionale nel nuovo Senato».

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