Marcello De Vito sindaco e il silenzio degli onesti

di Marco Zonetti

Pubblicato il 2017-02-01

Senza il finto dossier contro di lui, Marcello De Vito – sostiene – sarebbe il sindaco di Roma. Questo a suo dire, ovviamente. Una buona percentuale della vittoria di Virginia Raggi è dovuta proprio al fatto che era un volto nuovo, giovane, fresco, e – last but not least – una donna. Un personaggio su …

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Senza il finto dossier contro di lui, Marcello De Vito – sostiene – sarebbe il sindaco di Roma. Questo a suo dire, ovviamente. Una buona percentuale della vittoria di Virginia Raggi è dovuta proprio al fatto che era un volto nuovo, giovane, fresco, e – last but not least – una donna. Un personaggio su cui costruire una narrazione mediatica ben precisa e d’impatto. De Vito proveniva dalla sconfitta alle elezioni del 2013, per esempio, quindi non era certo “vergine” in quel senso. Con la scelta della Raggi, la Casaleggio & Associati e Beppe Grillo – che ci risulta impossibile credere non fossero informati delle false accuse a De Vito – hanno sicuramente fatto centro nel presentare alle elezioni l’ex addetta alle fotocopie dello studio Previti. E, peraltro, è risaputo ormai che una buona fetta dell’elettorato della Raggi proveniva dalla destra “alemanniana” vicina alla madre della sindaca.
La vittoria della Raggi è stata dunque frutto di una serie di variabili che, anche senza l’ignobile dossier contro di lui, non è detto avrebbero portato al trionfo quello che oggi è il Presidente dell’Assemblea Capitolina. E qui casca l’asino. Il silenzio sotto cui è stata tenuta tutta la sordida faccenda del dossier falso, costruito – a quanto dicono le fonti – da quello che poi è diventato nientemeno vicesindaco di Roma, ovvero Daniele Frongia, getta una livida luce su tutto il m5s romano e nazionale. Agli italiani e ai romani, le principali vittime della situazione, il m5s è stato spacciato da tutti i protagonisti pentastellati dell’affaire del dossier, nessuno escluso, come il meglio che la Capitale potesse sperare di avere come guida della città, in vista della futura presa di Palazzo Chigi e della nazione.
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Così come, nel 2013, quando fu il favorito Frongia a essere silurato dalla Lombardi per far posto allo stesso De Vito come candidato sindaco, tutti rimasero in silenzio e andarono avanti nell’omertà più assoluta. L’obiettivo era prendere Roma – e le poltrone – così come nel 2016 e “le lingue sciolte affondano le navi”. L’onestà intellettuale avrebbe voluto che qualcuno denunciasse pubblicamente le manovre sotterranee per favorire questo o quel candidato, nel 2013, e – ancor più insistentemente – nel 2016, in cui si è toccato il fondo con la costruzione di false accuse per affossare un concorrente e, assieme a lui, distruggerne l’ eminenza grigia nonché una rivale fortissima alle prossime elezioni interne al movimento, ovvero Roberta Lombardi.
Il silenzio e l’omertà sul caso De Vito nel 2016 e sul caso Frongia nel 2013 rivelano opacità e sotterfugi tipici dei partiti tradizionali, quelli da cui il m5s sostiene di essere scevro. Forse anche peggiori, visto che poi – sotto i riflettori – tutti recitano il “volemose bene” d’ordinanza. Non possiamo dimenticare le festicciole pre-elettorali con le idilliache carinerie fra Roberta Lombardi e Virginia Raggi, quando in realtà – e ormai è ampiamente dimostrato dalle intercettazioni – se si abbracciavano era solo per attaccarsi la polmonite.
Insomma, il caso del dossier De Vito dimostra soltanto una cosa: il m5s non è quella specchiata forza politica di semplici cittadini probi e rispettosi del prossimo, desiderosi di portare un’aria nuova nella politica e una sana ventata di onestà e trasparenza, quanto invece una sorta di eterogenea cricca in cui regnano, fra le altre cose, odi, ripicche, gelosie, smanie di potere, sgambetti, ricatti, lotte fra primedonne (maschi e femmine) e financo dossier falsi. Il tutto, ovviamente, taciuto all’opinione pubblica, che viene a scoprire il tutto solo quando diventa oggetto d’indagine delle procure. Ora De Vito, forse, verrà ripagato dell’ignominioso dossier contro di lui con una poltrona di vicesindaco e, se Grillo decidesse di staccare la spina alla Raggi, di primo cittadino. La carica che, a suo dire, gli sarebbe stata tolta dalla congiura ordita a suo svantaggio. Ma chi ripagherà mai i romani per avere questa “improvvisata” (nella migliore delle ipotesi) compagine alla guida della loro città, della Capitale d’Italia?

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