Cosa succede a dare retta alla propaganda grillina

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-04-12

Quattro attivisti pentastellati avevano accusato Sala di non essere eleggibile, hanno perso il ricorso, si trovano a dover pagare 20mila euro e ora Di Stefano e il M5S se la prendono con i giudici e con la legge chiedendo al Popolo della Rete di fare un bonifico sul conto corrente di uno dei ricorrenti. Ma perché Beppe Grillo non si mette una mano sulla coscienza e li aiuta lui?

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Ieri il portavoce del MoVimento 5 Stelle Manlio Di Stefano ha rivolto un accorato appello per aiutare “un gruppo di cittadini” che si trova a «dover pagare un debito sorto per la loro volontà di tutelare un interesse comune». Ci risiamo, un altro caso di soprusi da parte dello Stato nei confronti di liberi cittadini che difendono il bene comune! Ma qual è l’interesse comune che questi valorosi stavano difendendo? A quanto pare avevano sollevato davanti al giudice del Tribunale di Milano la questione dell’incandidabilità dell’attuale sindaco di Milano Beppe Sala. Il giudice però non ha ammesso il ricorso e ha condannato i nostri eroi al pagamento delle spese legali.
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La questua di Manlio Di Stefano

La vicenda risale alla primavera scorsa quando Beppe Sala venne candidato dal centrosinistra a sindaco di Milano: qualche settimana prima del voto Radicali, 5 Stelle (con Panorama e il Fatto Quotidiano) sollevarono dubbi sulla candidabilità di Sala che – spiegavano – non si era dimesso dalla carica di Commissario di Expo ed inoltre era stato nominato nel Cda di Cassa Depositi e Prestiti. Secondo questa tesi Sala non avrebbe potuto correre per la poltrona di Palazzo Marino. I 5 Stelle, nella persona dell’allora candidato sindaco Gianluca Corrado, all’epoca avevano annunciato un ricorso urgente al Tar per verificare se davvero Sala fosse candidabile nella speranza che il Tribunale annullasse la candidatura del candidato del Partito Democratico. Il 17 maggio 2016 però il Tar bocciò il ricorso dei 5 Stelle definendolo inammissibile spiegando che non spettava al Tribunale amministrativo decidere sulla candidabilità di Sala. Dal momento che nella sentenza il Tar scriveva che “la questione circa l’asserita ineleggibilità potrà trovare tutela, successivamente all’espletamento delle elezioni e a seguito della convalida degli eletti, davanti a un giudice ordinario, ai sensi della normativa in vigore” i 5 Stelle che all’epoca avevano parlato di “assurde leggi italiane” sembravano propensi a perseguire la strada del  ricorso al tribunale civile per ottenere il riconoscimento dell’ineleggibilità di Sala.
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A giugno poi Sala è stato effettivamente eletto a sindaco di Milano e di quel ricorso non se ne è saputo più nulla. Almeno fino al 7 febbraio 2017 quando il Tribunale Civile di Milano ha respinto due ricorsi, presentati da quattro cittadini, che miravano ad ottenere il riconoscimento dell’ineleggibilità di Sala. Secondo il Tribunale quindi Sala non solo era candidabile ma era anche eleggibile. I ricorrenti sono “quattro simpatizzanti del MoVimento 5 Stelle” che hanno presentato uno dei due due ricorsi. Il primo ricorso (presentato da Giorgio Giovanni Conte) sosteneva che Sala non fosse candidabile perché non si era dimesso dalla carica di Commissario Unico di Expo. Il Tribunale invece ha ritenuto essere “del tutto valida ed effettiva la dimissione della carica avvenuta con atto del 15 gennaio 2016” così come il fatto che Sala avesse firmato – dopo le dimissioni – il bilancio di Expo costituisce un atto dovuto che non va a pregiudicare la possibilità di Sala di candidarsi a sindaco. Il secondo ricorso, presentato dai  cittadini a 5 Stelle Francesco Maria Forcolini, Filippo Senia, Cosimo Trenta e Katia Tarsia, è stato respinto per un motivo ancora più interessante: i cittadini non hanno dimostrato di essere elettori del Comune di Milano quindi il loro ricorso non era ammissibile perché mancavano i presupposti per poterlo presentare. In buona sostanza i quattro attivisti pentastellati non erano legittimati a presentare ricorso. Ed è forse per questo che Manlio Di Stefano, e con lui il MoVimento 5 Stelle di Milano e il consigliere Corrado non entrano nel merito della pronuncia: il Tribunale infatti non è nemmeno entrato nel merito del ricorso per “carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti”.
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Manlio Di Stefano vuole un tribunale della gggente

Di Stefano e i 5 Stelle sostengono che «i cittadini debbano essere liberi di rivolgersi alla magistratura per accertare la legittimità di decisioni di interesse comune senza rischiare per questo di essere condannati a pagare decine di migliaia di euro». In realtà i cittadini rimangono liberi di rivolgersi alla magistratura ma per farlo devono almeno averne il titolo, che in questo caso significa essere iscritti nelle liste elettorali del Comune di Milano, cosa che a quanto pare i quattro eroici cittadini non sono riusciti a dimostrare di essere. Ed ecco quindi la trovata geniale dei 5 Stelle (che sono il partito della legalità e dell’onestà): chiedere ai cittadini di contribuire alle spese legali che sono state quantificate in 20 mila euro. La legge infatti prevede che se perdi un ricorso devi pagare le spese legali e non si capisce in che modo secondo Di Stefano un cittadino possa presentare qualsiasi tipo di ricorso senza doversi assumere la responsabilità di ciò che potrebbe accadere in caso di sconfitta. O meglio: si capisce se si considera il fatto che i ricorrenti sono elettori di un partito che sistematicamente ricorre ad un tipo di comunicazione politica che dà una falsa rappresentazione di come funziona la realtà (sia essa l’economia, la giustizia o la politica estera). In nome della trasparenza poi il M5S non pubblica la sentenza di condanna a risarcire le spese processuali e invita a donare il denaro direttamente sul conto intestato ad uno dei ricorrenti e non – come ci si aspetterebbe da un partito serio – su un conto corrente del MoVimento. Ma questo è l’ultimo dei problemi del 5 Stelle che è riuscito nell’incredibile impresa di mandare allo sbaraglio i suoi elettori e i suoi attivisti senza alcuna forma di tutela e di copertura. Ora che i suoi attivisti sono finiti nei guai il MoVimento e i suoi parlamentari non si mettono una mano sul portafoglio (sono pagati con i nostri soldi) ma invitano il Popolo della Rete a farlo all’insegna del classico “armiamoci e partite” che ha fatto le fortune di questo Paese. Ed è strano che Beppe Grillo non abbia rilanciato l’appello sul suo blog per dare una mano alla raccolta fondi. In realtà la questione dei 20 mila euro che i ricorrenti dovranno pagare – perché questa è la legge – può essere vista in un altro modo come una tassa sui creduloni che credono ai cialtroni che invece che esporsi in prima persona mandano avanti gli altri salvo poi abbandonarli a loro stessi quando le cose si mettono male. Questa vicenda è solo l’ultima spia del fatto che ai vertici del M5S non interessa nulla degli attivisti, nemmeno quando votano sul blog.

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