Così il M5S si trova a pagare i primi 30mila euro per le mancate candidature

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-02-05

Il tribunale civile di Roma accoglie definitivamente il ricorso di Caracciolo e Motta contro le espulsioni del gennaio 2016, che a suo tempo la non ancora sindaca Raggi, in un’intervista, aveva definito “robetta”. La sentenza conferma l’esistenza di due distinte associazioni denominate MoVimento 5 stelle e le condanna entrambe al pagamento delle spese legali (nel complesso oltre 30mila euro)

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Il giudice Francesco Remo Scerrato ha definitivamente deciso: il MoVimento 5 Stelle di Roma ha espulso illegittimamente Roberto Motta, Antonio Caracciolo e Paolo Palleschi durante la corsa per le Comunarie di Roma del 2016 e dovrà pagare un totale di 30mila euro di sole spese di lite, in attesa della definizione dei danni per i due (Palleschi ha trovato un accordo giudiziale e si è ritirato) esclusi.

Così il M5S si trova a pagare i primi 30mila euro per danni da mancata candidatura

La vicenda risale all’epoca della corsa di Virginia Raggi alla candidatura. Tra gennaio e febbraio di quell’anno vengono cacciati una serie di attivisti, tra cui Mario Canino che è stato depennato dopo aver vinto le primarie all’ultimo istante (anche per lui tra poco arriverà la decisione definitiva del tribunale). Il caso della sentenza riguarda tre iscritti: Palleschi viene accusato di aver aderito a un altro partito, Motta di aver messo in dubbio la regolarità del sistema di voto del MoVimento 5 Stelle e Caracciolo di negazionismo dell’Olocausto, nonostante fosse stato assolto con formula piena da un’indagine della sua università. I tre sono assistiti dall’avvocato Lorenzo Borrè, che negli anni ha assestato molteplici bastonate giudiziarie ai grillini.

m5s roberto motta antonio caracciolo

Nell’aprile 2016 il tribunale dà ragione ai tre ricorrenti decidendone la riammissione nell’Associazione del MoVimento 5 Stelle. Il giudice, si raccontava all’epoca, “ha accolto la domanda di sospensiva delle espulsioni”, annullando dunque i cartellini rossi, “ma ha giudicato inammissibile” la richiesta di annullare le consultazioni online che hanno visto trionfare Virginia Raggi.

La sentenza che condanna Beppe Grillo

Oggi il tribunale ha definitivamente certificato che le motivazioni in base alle quali sono stati presi i provvedimenti disciplinari nei confronti di Motta e Caracciolo non erano valide. Per quanto riguarda Motta, l’attivista veniva accusato di aver messo in dubbio la regolarità del sistema di voto del MoVimento 5 Stelle in base a un commento che si riferiva invece alla decisione di accorpare due forum grillini di Roma. E in ogni caso Motta non era ancora iscritto al M5S quando ha scritto i commenti che i grillini hanno portato come prova della necessità dell’espulsione. Per quanto riguarda Caracciolo, «ritiene il Giudice che la contestazione mossa al ricorrente, basata su articoli di giornali, non prenda in debita considerazione, come del resto emerge anche dall’assoluzione davanti al Consiglio di disciplina universitario, la circostanza che il ricorrente avesse posto la questione in termini di libertà di ricerca storica e non tout court di negazione dell’Olocausto, rivendicando il diritto, quale studioso, che si potesse liberamente studiare anche le pagine buie della Storia».

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La sentenza conferma inoltre l’esistenza di due distinte associazioni denominate MoVimento 5 Stelle e le ha condannate entrambe al pagamento delle spese legali. Il tribunale ha poi dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse in ordine alla domanda di annullamento del regolamento del 2014 a causa della sopravvenuta approvazione del nuovo regolamento nel 2016: su questa decisione probabilmente si andrà in appello.

Il conto da pagare

E, come succede nei tribunali civili, chi perde si trova a dover pagare le spese. Il tribunale dichiara la contumacia dell’associazione MoVimento 5 Stelle del 2009, dichiara ammissibile l’intervento della Movimento 5 Stelle del 2012, chiude la vicenda Palleschi (l’avvocato ha anche aderito alla nuova e terza associazione M5s partecipando alle ultime parlamentarie ma la sua candidatura non è stata accettata) ma rigetta per carenza di interesse l’impugnazione del regolamento del 2014 visto che ne è stato pubblicato un altro; infine però dichiara che Motta e Caracciolo “possedevano i requisiti per partecipare, sia sotto il profilo dell’elettorato attivo che di quello passivo, alla scelta dei candidati da inserire nella lista del M5S per le elezioni comunali di Roma Capitale e per concorrere alla candidatura alla carica di Sindaco per il M5S” e quindi “condanna in solido la convenuta contumace Associazione MoVimento 5 Stelle del 2009 e l’intervenuta Associazione Movimento 5 Stelle del 2012 al pagamento, in favore degli attori, delle spese di lite, ivi comprese quelle della fase cautelare, che liquida in 21.392,00 euro per compensi professionali e in 518,00 per spese, oltre rimborso forfettario, Cp ed Iva come per legge”.

beppe grillo lorenzo borré

La condanna al pagamento delle spese legali, in attesa dell’eventuale quantificazione del danno ricevuto da parte dei ricorrenti, è la plastica dimostrazione del torto marcio con cui il MoVimento 5 Stelle ha improntato la sua azione disciplinare nei territori. In attesa delle decisioni definitive a Napoli e nelle altre guerre giudiziarie scatenate dalla scarsa democrazia interna dei grillini – la più importante è quella per nome e simbolo intentata dai 33 grillini contro Di Maio e Grillo – arriva la prima “punizione” al pagamento delle spese che qualcuno adesso dovrà liquidare, assumendosi così la responsabilità delle azioni proprie e di quelle dei propri fidati”. Chissà chi. Ma soprattutto: questa sentenza non può che avere una grossa eco mentre le proteste per i candidati “scomparsi” alle Parlamentarie non si sono ancora placate.

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