Luigi Di Maio e le Fake News sulla Terra dei Fuochi

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-02-27

Luigi Di Maio difende la scelta di “nominare” Sergio Costa come futuro Ministro dell’Ambiente del suo Governo andando all’attacco dei giornali che raccontano menzogne sulla Terra dei Fuochi. Facciamo chiarezza e spieghiamo l’intera storia dall’inizio e fino alla fine

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Luigi Di Maio pensava di aver fatto centro annunciando la “nomina” (atto che tecnicamente è prerogativa del Presidente della Repubblica) del generale del reparto Forestale dei Carabinieri Sergio Costa quale futuro Ministro dell’Ambiente del governo targato MoVimento 5 Stelle. Per il Capo Politico del M5S Costa è un eroe e ieri a Palermo se l’è presa con il Giornale e quei giornalisti colpevoli di aver gettato fango contro il generale del Corpo Forestale. Dal palco di Palermo Di Maio ha invocato sanzioni contro quei giornalisti che definiscono la Terra dei Fuochi una Fake News: «Una cosa che non sopporto è quando gli eroi diventano veri e propri diavoli solo perché sostengono il progetto e gli ideali del MoVimento 5 Stelle. Su questo i media italiani stanno dando il peggio di sé».

Luigi Di Maio e la Terra dei Fuochi del Generale Costa

Secondo Di Maio se oggi i media attaccano Costa è per colpa del fatto che ha dato l’assenso a far parte del suo governo. Quello che dice il leader M5S è in parte vero, il problema però è più complesso, perché appunto complessa e delicata è la vicenda (mediatica, scientifica e giudiziaria) della cosiddetta Terra dei Fuochi. Il Giornale di Alessandro Sallusti scrive che la Terra dei Fuochi è una Fake News. Un’affermazione certamente grave e che non corrisponde a tutta la verità. Perché che in Campania ci sia un vasto problema di inquinamento ambientale – soprattutto dell’aria – è cosa nota. È meno noto invece che tutta la vicenda legata all’allarme contaminazione agroalimentare (la Chernobyl campana e così via) fu in realtà frutto di una montatura alla quale si prestarono molti media, giornali e giornalisti.

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Il problema di Costa, come abbiamo scritto qui, non è la Terra dei Fuochi, sono alcune operazioni condotte dal generale dell’allora Corpo Forestale che si rivelarono essere non fondate su alcuna prova. Nel novembre del 2013 Sergio Costa, all’epoca comandante del Corpo Forestale dello Stato fece sequestrare 13 pozzi e 15 fondi agricoli a Caivano. Qualche mese prima Costa raccontava al Corriere del Mezzogiorno di aver sequestrato “tonnellate di verdura piena di veleni“. Tutto era partito a febbraio di quell’anno, con la scoperta del famoso campo di cavolfiori dalle foglie gialle che fece il giro del Mondo e che diede il La alla storia delle verdure (ma anche degli ortaggi, delle bufale, del latte) campano “avvelenato”.

Sergio Costa e le “tonnellate di verdura piena di veleni”

Le cronache giudiziarie ci raccontano che quei pozzi e quei terreni sequestrati furono dissequestrati perché le perizie e i tribunali sono giunti alla conclusione che gli elementi chimici presenti nei suoli agricoli e nelle acque dei pozzi irrigui sono parte del “fondo naturale“. Il che significa che parte della cosiddetta “contaminazione” era dovuta alle caratteristiche del suolo vulcanico della pianura campana mentre la contaminazione dovuta all’inquinamento antropico era comparabile a quella rilevata in altri insediamenti umani ed era in ogni caso al di sotto della soglia di legge.

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Uno dei pozzi sequestrati a Caivano [fonte: Presa Diretta/Rai]
Ad esempio come scrive Paola Dama, ricercatrice e autrice del sito Pandora TaskForce , nei terreni non vennero trovate tracce di cromo, mercurio, nichel, admio o piombo. Gli unici inquinanti di natura certamente antropica – scrive Dama “sono il triclorometano ed il tetracloroetilene, ma in quantità estremamente inferiore (1,03 contro 30 ug/l il primo, 1,80 contro 10 ug/l il secondo) ai limiti previsti sia per l’acqua potabile (Dlgs 31/2001) che per le acque reflue destinate all’irrigazione (D.M. 185/03)”. Ora quello che a noi  interessa ora è valutare il contenuto di verità dell’affermazione di Costa, comandante del Corpo Forestale dello Stato e futuro Ministro dell’Ambiente. La frase sulle “tonnellate di verdura piena di veleni” corrisponde al vero o è una bufala?

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Fonte

Scopriamo così ad esempio che, come riferisce La Repubblica, fu la stessa Procura, nel 2014, a disporre il dissequestro degli ortaggi: «la Asl Napoli 2 ha riferito all’ufficio del procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso l’esito degli esami, richiesti dallo stesso ufficio: “I prodotti ortofrutticoli analizzati non rappresentano un pericolo per la salute pubblica e possono essere destinati all’alimentazione umana”». Insomma quelle tonnellate di verdura piena di veleni sequestrate da Costa non erano piene di veleni.

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Credits: Paola Dama via YouTube

A fine dicembre 2013 anche le analisi condotte dall’Arpac, l’Agenzia regionale per l’ambiente, avevano riscontrato «concentrazioni nei limiti di legge per metalli, fitosanitari e idrocarburi policiclici aromati». All’interno dei prodotti sequestrati da Sergio Costa quindi non c’erano veleni.

Ma dove sono i veleni della Terra dei Fuochi?

Sempre nel 2014 Massimo Fagnano, docente di Agraria all’Università Federico II di Napoli, nonché uno dei componenti del gruppo di lavoro varato dal Governo il 23 dicembre 2013 per studiare la Terra dei fuochi spiegava in un’intervista al Corriere della Sera che «il problema della Terra dei fuochi non è nei suoli agricoli e nelle coltivazioni». Fagnano faceva notare che il sistema di allerta europeo RASFF (lo stesso sistema che ha avvertito i consumatori delle uova contaminate con il Fipronil) dal 2012 al 2014 non aveva fatto nessuna segnalazione su prodotti provenienti dalla Campania.

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Il Generale Sergio Costa a Presa Diretta

C’è di più, come scrive Il Napolista nel maggio del 2016, l’Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno ha analizzato 4400 campioni di terreno prelevati nella cosiddetta Terra dei Fuochi a due diverse profondità (1,5 mt e 0,20 mt) alla ricerca di ben 52 inquinanti, 2942 campioni di vegetali e 659 campioni di acqua ad uso irriguo. Le analisi hanno e evidenziato l’assenza di sostanze nocive. In totale su 50mila ettari di terreno coltivati, solo 33 ettari sono stati sequestrati e vietati alle coltivazioni. Questo significa solo una cosa: la Chernobyl della Campania, con i suoi prodotti agricoli contaminati, non esiste. Su 30mila campionamenti effettuati presso 10mila aziende agricole sono stati rilevati solo 6 casi di positività. Il che non è certo un dato allarmante ed è comparabile a situazioni analoghe in altre regioni italiane dove l’agricoltura viene pratica in un territorio fortemente antropizzato.

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Sempre Sergio Costa fu protagonista di un altro episodio: durante un servizio di Presa Diretta sulla Terra dei Fuochi fu detto che sotto un campo di finocchi furono rinvenuti «70 fusti di sostanze tossiche» e una grande quantità di «morchie industriali». Secondo Costa il ritrovamento dei rifiuti, fino a 4 metri di profondità, era a livello della falda e quindi metteva a rischio le acque usate per l’irrigazione. Paola Dama però rivela che dal verbale della Forestale risulta che «sono stati ritrovati “ad una profondità di circa 1,50 mt” 15 fusti metallici deteriorati, arrugginiti e schiacciati, aventi una capacità di circa 25 lt, contenenti rifiuti ascrivibili alla categoria vernici di scarto”». Anche qui un’altra incongruenza tra le dichiarazioni di Costa e la realtà dei fatti. Ma il fatto che la Terra dei Fuochi non sia un fenomeno che riguarda il comparto agroalimentare campano non significa che non esista. Ci sono roghi, discariche abusive, traffico illegale di rifiuti e incendi che hanno rilasciato diossina. È l’aria ad essere inquinata, ma come diceva Fagnano, è più facile dire di non mangiare i cavolfiori che dire di smettere di respirare. C’è poi il problema, difficile da far comprendere, del fatto che non necessariamente un terreno a rischio contaminazione produce ortaggi contaminati. I pozzi sequestrati da Costa non sono contaminati, ma questo non significa che non ci siano falde acquifere contaminate. Semplicemente il problema, la Terra dei Fuochi,  si trova in una direzione diversa da quella indicata da Costa. E questo non è certo un bel viatico per un futuro Ministro dell’Ambiente.

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