L'ideona della Raggi sul salario accessorio: far pagare gli errori del Comune ai cittadini italiani

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-09-09

Da vent’anni a Roma il comune eroga il salario accessorio in modo illegittimo, ma nessuno vuole pagarne le conseguenze. Il nuovo che avanza propone la solita ricetta per ripianare i conti del Comune di Roma: presentare il conto al ministero dell’Economia. Ovvero a tutti gli italiani

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Anche se è di nuovo senza un assessore al Bilancio la Sindaca di Roma Virgina Raggi prova a mettere mano ai conti del Comune. Lo fa non con una delibera di giunta (come in genere fa chi amministra una città) ma su Facebook, con una lettera inviata al Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nella quale chiede un incontro per discutere la questione del salario accessorio dei dipendenti comunali capitolini. Quello salario accessorio è, assieme alla questione dei rifiuti e alla situazione disastrosa dell’azienda dei trasporti, uno dei temi caldi della politica capitolina. Non a caso la Raggi ha tenuto per sé la delega al personale, forse per rassicurare i 24 mila dipendenti comunali.
 
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Cos’è il salario accessorio e perché è un problema per Roma

Il salario accessorio, come si può intuire, è tutto quello che non è compreso nella busta paga normale del personale non dirigente tra cui (ma non solo) la retribuzione degli straordinari, si tratta di una voce che va ad integrare la paga base. Inoltre il salario accessorio è legato alla produttività del dipendente pubblico e di fatto costituisce il “premio produzione” assegnato ai dipendenti comunali in virtù del loro impegno.Almeno così dovrebbe essere, ed è qui che nasce il problema di Roma. Non tutti i dipendenti comunali hanno quindi diritto al salario accessorio ma solo quelli che, a fine anno, avevano raggiunto determinati obiettivi. Il problema, a Roma, nasce dal fatto che il salario accessorio è stato utilizzato (da tutte le giunte degli ultimi vent’anni) in un modo diverso, ovvero per erogare “a pioggia” un compenso accessorio a tutti gli stipendi. In pratica il salario accessorio dei dipendenti comunali romani è finito automaticamente in busta paga senza un controllo sull’effettiva produttività. L’attuale contratto decentrato (che risale al 2005, giunta Veltroni) però è stato contestato dalla Corte dei Conti, il cui procuratore generale era l’ex-nuovo-assessore al Bilancio Raffaele De Domincis, e dal Ministero delle Finanze che nel 2008 (giunta Alemanno) ha invitato il Comune di Roma a non erogare il salario accessorio in deroga alla normativa nazionale sui contratti decentrati considerando illegittime alcune delle indennità previste nel salario accessorio dei dipendenti comunali. Anche Ignazio Marino nel 2014 si trovò a dover affrontare l’annosa questione (che si trascina dal 1998) e soprattutto a dover fronteggiare l’ira dei dipendenti comunali che minacciavano lo sciopero qualora non venisse loro conferito il salario accessorio. In base alla legge 16/2014 però in caso di accertata violazione dei limiti imposti alla contrattazione collettiva decentrata gli enti locali sono tenuti a procedere al recupero delle somme indebitamente erogate (anche attraverso misure di riorganizzazione), e nel caso del Comune di Roma si tratta di 360 milioni di euro elargiti illegittimamente ai dipendenti tra il 2008 e il 2012 (ovvero dall’amministrazione Alemanno). Soldi che, dal punto di vista della legge, sono stati indebitamente sottratti ai cittadini. Successivamente il MEF aveva indicato la necessità, per evitare di attivare la procedura per danno erariale, di dimezzare o diminuire il fondo per il salario accessorio. Il Ministero in una nota nel giugno 2015 aveva precisato però di non aver mai chiesto indietro quei soldi semmai che all’erogazione del salario accessorio non era corrisposto un «ampliamento dei servizi esistenti che richiedano un aumento delle prestazioni del personale».

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Il testo della lettera inviata dalla Sindaca Raggi al Ministro Padoan

Cosa vuole davvero la Raggi da Padoan?

La situazione attuale quindi è figlia di decenni di cattiva gestione delle risorse pubbliche da parte delle amministrazioni capitoline ma è diventata ancora più delicata dopo che il Commissario Tronca il 17 giugno scorso ha sospeso “in via cautelativa” l’erogazione del saldo della produttività per l’anno 2015 prevista per il mese di giugno. Ora che la legge impedisca di utilizzare in questo modo il salario accessorio per i contratti decentrati è cosa ormai nota, ma la questione è duplice, da un lato c’è l’interpretazione della legge da parte del MEF dall’altra la necessità (ribadita al tempo anche da Marino) per il Comune di non decurtare gli stipendi dei dipendenti comunali. La lettera della Raggi cerca quindi un confronto con il Ministero, per trovare una soluzione che però il Ministero ha già ampiamente indicato in seguito alle due ispezioni sui conti capitolini volute da Marino ed effettuate proprio dai tecnici del MEF. È indubbio che un confronto con Padoan ci dovrà essere ma questo non eviterà l’azione della Corte dei Conti. In sostanza la lettera della Raggi non è altro che la presa d’atto (ad appena due mesi dalla sua elezione) di non essere in grado di risolvere l’emergenza immediata perché non ha nessuna intenzione di trovare altrove (ad esempio decurtando gli stipendi degli assessori come proporrebbero quelli del M5S se fossero al governo) le risorse necessarie. Più realisticamente la Raggi dovrebbe mettersi contro dipendenti e sindacati, il che la metterebbe in una difficile situazione (come Marino) ma almeno non andrebbe a infilare le mani nelle tasche degli italiani per risolvere un problema che è solo romano. Alla fine la Raggi – nonostante Grillo avesse promesso lacrime e sangue annunciando licenziamenti e l’azzeramento di tutte le amministrazioni – si sta comportando esattamente come Marino, forse perché governare una città è più complicato che fare proclami, o forse perché è più comodo chiedere “al governo delle banche” i soldi per farlo che andare a farsi stampare un po’ di banconote alla Banca d’Italia. Ah ma il vento sta cambiando, signori, sta cambiando.

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