La legge che salva i direttori stranieri dei musei (e dimostra che aveva ragione al TAR)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-05-28

Un emendamento alla manovrina corregge la norma che vietava l’assunzione di direttori stranieri nei musei. Esattamente come aveva chiesto il vituperato tribunale amministrativo

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Qualche giorno fa la sentenza del TAR sui direttori dei musei ha fatto parlare a sproposito ministri, segretari di partito e un nutrito gruppo di esperti di giurisprudenza amministrativa laureati all’università della strada. Si sosteneva – non qui – che la decisione del tribunale amministrativo regionale fosse sbagliata o abnorme mentre, leggendola, pareva del tutto logica: la norma emanata non prevedeva espressamente di derogare a un’altra legge, peraltro pubblicata all’epoca in cui l’attuale ministro della Cultura Franceschini era sottosegretario, che impediva di nominare come dirigenti cittadini stranieri, e questa era una delle tre – non l’unica” – cause delle sentenze del TAR, che peraltro in quattro casi su cinque colpivano cittadini italiani e non stranieri.

La legge che supera la sentenza del TAR sui musei

Mentre in molti ci spiegavano che la sentenza era talmente illogica e abnorme che sarebbe stata rivoltata dal Consiglio di Stato, in parlamento si faceva l’unica cosa che andava fatta invece di far partire un’aggressione inutile all’arbitro (la magistratura) che aveva fischiato un fallo evidente e solare: un emendamento all’articolo 22 della manovrina, che sarà votato lunedì, e che supera la sentenza del tribunale amministrativo e permette ai direttori coinvolti di tornare al loro posto, dove al momento sono già al lavoro dei supplenti ad interim. L’emendamento, racconta l’ANSA, è stato depositato dal relatore del Pd Mauro Guerra, e prevede che “nella procedura di selezione pubblica internazionale” non si applichino i limiti previsti dalle norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione., che impediscono ai cittadini Ue di accedere a posti che implichino “esercizio diretto o indiretto dei poteri ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale”. In un modo così piuttosto pragmatico va a sanarsi una situazione esattamente nella direzione che auspicava il TAR in una delle sentenze sulla vicenda:

Se infatti il legislatore avesse voluto estendere la platea degli aspiranti alla posizione dirigenziale in esame ricomprendendo anche cittadini non italiani lo avrebbe detto chiaramente, per come è dimostrato dal chiaro tenore di cui al primo periodo della citata previsione.
Il perseguimento degli “standard internazionali”, secondo le chiare intenzioni del legislatore (che non possono essere derogate dalla normativa sottordinata), si ottiene evidentemente migliorando gli aspetti sostanziali e contenutistici dell’offerta museale italiana, appunto rapportandola e adeguandola agli analoghi servizi offerti dai migliori istituti di altri Paesi (in termini, ad esempio, di ampia fruibilità anche nei giorni festivi o nelle ore serali, di efficienza e rapidità di accesso da parte della platea dei visitatori, di miglioramento del rapporto costi/ricavi, di adeguamento delle strutture e delle risorse umane, ecc.), non certamente con interventi formali e di immagine.

È quindi evidente che, limitatamente alla parte che riguarda i direttori stranieri – di cui soltanto uno rimosso: Peter Assmann, nominato al Palazzo Ducale di Mantova: gli altri ricorsi nei confronti di direttori stranieri sono stati respinti per difetto di legittimità – il TAR aveva centrato il punto, segnalando una caratteristica della legge che chiaramente doveva essere corretta dal governo, magari al posto di prendersela con i giudici amministrativi che hanno fatto soltanto il loro dovere.

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Il palazzo ducale di Mantova (foto da: Centro Guide Mantova)

I direttori stranieri nei musei italiani

Nella sentenza il tribunale spiegava che “le disposizioni speciali introdotte dall’art. 14, comma 2-bis, del d.l. 84/2014, convertito in l. 106/2014, non si sono spinte fino a modificare o derogare l’art. 38 d.lgs. 165/2001“. Ovvero: la legge partorita dal governo e dal ministro non ha modificato la legge che impediva l’ammissibilità di cittadini non italiani di partecipare alle selezioni per l’assegnazione di un incarico di funzioni dirigenziali in una struttura amministrativa nel nostro Paese. Se lo avesse fatto, era il ragionamento del tribunale, la nomina di direttori stranieri sarebbe stata perfettamente valida.

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I top 20 musei italiani e i loro direttori (da: Studio Aperto)

Una delle tante note interessanti di questa vicenda sono le belle parole di Peter Assmann, storico dell’arte austriaco, intervistato anche dal Corriere della Sera un paio di giorni fa: «Il mio amore per questo Paese è grande, lo difendo continuamente da chi non ne parla bene all’estero. E mi auguro che potrò riprendere un lavoro entusiasmante…». La legge “salva” lui e anche altri, visto che i concorrenti al posto avrebbero potuto fare ricorso successivamente. Al Messaggero sempre Assmann aveva detto che questa per lui era “un’anomalia tutta italiana”. Nessuno deve avergli spiegato nel dettaglio perché la sua nomina sia stata bocciata dal tribunale e quale fosse la reale motivazione della decisione. A pensarci bene, è proprio così che si fa fare “una figuraccia all’Italia“.
EDIT: Claudio Paudice su Twitter segnala che c’è qualcosa che non va anche nell’emendamento:


EDIT2: Giovanna nei commenti segnala che nel frattempo l’emendamento è stato corretto.

Leggi sull’argomento: Cosa dice davvero la sentenza del TAR su musei e direttori stranieri

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