L'economia italiana può fare a meno dei lavoratori stranieri?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-06-11

Lo studio della Fondazione Di Vittorio: gli immigrati contribuiscono in misura crescente a produrre ricchezza. Con un differenziale retributivo (a sfavore) importante. E una percentuale di attivi più ampia degli italiani

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L’economia italiana può fare a meno dei lavoratori stranieri? Assolutamente no, secondo lo studio della Fondazione Di Vittorio (Cgil) sulle conseguenze della crisi per il lavoro degli immigrati. I dati sono espliciti: nel 2015 i residenti stranieri in Italia sono circa 5 milioni (con un aumento di circa 3,5 milioni rispetto al 2003), di cui piu’ del 70% non comunitari. Sono concentrati nelle regioni centro-settentrionali (poco meno dell’85%) e sono mediamente piu’ giovani degli italiani (gli over 64 sono meno del 3% mentre tra i residenti di cittadinanza italiana la stessa percentuale supera il 21%).

L’economia italiana può fare a meno dei lavoratori stranieri?

Gli immigrati – prosegue lo studio della Fondazione Di Vittorio – contribuiscono in misura crescente a produrre ricchezza: nel 2014 il loro apporto e’ stimato in circa 125 miliardi di euro, pari all’8,6% del pil totale (Rapporto annuale 2015 della Fondazione Leone Moressa). Questa produzione di ricchezza viene adeguatamente retribuita? Il dato reso noto dalla Cgil e’ impietoso: a parita’ di ore lavorate, gli stranieri guadagnano circa un quarto in meno degli italiani e, nel corso dell’ultimo quinquennio, la distanza si e’ ulteriormente ampliata. Anche i titoli di studio aiutano meno gli immigrati rispetto agli italiani nella ricerca di un lavoro e più spesso le competenze acquisite non sono valorizzate come dovrebbero. Perché gli stranieri guadagnano cosi’ tanto meno degli italiani? Nel 2015 gli stranieri rappresentano più di un terzo dell’occupazione in professioni non qualificate, con un incremento di 4 punti percentuali dal 2011. Soltanto 10 professioni coprono oltre il 63% dei lavoratori stranieri (contro poco più del 21% dei lavoratori italiani) e tra queste ben 4 sono non qualificate (colf, addetti alle pulizie, facchini e braccianti). Nel 2015 in Italia gli addetti ai servizi domestici sono stati 354mila stranieri e 131mila italiani. Gli addetti alla ristorazione sono stati 193mila stranieri e 889mila italiani. Gli addetti alle pulizie sono stati 193mila stranieri e 427mila italiani. Gli operai specializzati edili sono stati 138mila stranieri e 353mila italiani. E’ interessante notare che dal 2011 e’ cresciuta la percentuale di stranieri tra gli addetti alle pulizie e delle professioni qualificate nei servizi personali (il lavoro di cura alla persona), mentre sono calati soprattutto gli addetti alle costruzioni a causa della drammatica condizione della domanda che ha colpito il settore edile negli anni della crisi.

Il differenziale retributivo

Il calcolo del differenziale retributivo tra un lavoratore straniero e un italiano e’ complicato da una serie di fattori, primo fra tutti quello legato alla qualifica/livello contrattuale del lavoratore. I lavoratori immigrati sono concentrati nelle attivita’ meno qualificate e pertanto i loro stipendi sono, in media, piu’ bassi di quelli degli italiani. Dal 2011 al 2015 gli occupati stranieri dipendenti a tempo pieno hanno visto aumentare in valore assoluto il differenziale retributivo di oltre 2 punti percentuali e oggi il loro stipendio e’ piu’ basso di circa un quarto rispetto allo stipendio dei lavoratori italiani (-24,2%). La percentuale, peraltro, aumenta in valori assoluti fino a -27,6% se il confronto e’ riferito alla retribuzione delle donne: in sostanza un lavoratore straniero dipendente a tempo pieno percepisce in media 362 euro netti meno di un italiano (-350 euro per gli uomini, -385 euro per le donne). Considerando la rilevanza del part-time, il differenziale registrato nel 2015 e’ leggermente minore in valore assoluto (-22,4%), ma comunque in aumento di circa un punto percentuale se confrontato con quello del 2011. Interessante il dato del differenziale retributivo in relazione al titolo di studio. Nel 2015 la differenza media tra la retribuzione di un laureato straniero e di uno italiano, occupati entrambi a tempo pieno, e’ di -432 euro (-23,4%), mentre risulta di -322 euro (-22,1%) per i diplomati e di -231 euro (-17,8%) per chi ha, al massimo, la licenza media. Tra gli occupati a tempo parziale, il differenziale tra i laureati si alza ulteriormente e tocca in valori assoluti il 30% (-304 euro).

Lavorano più gli immigrati degli italiani

In termini percentuali gli stranieri lavorano piu’ degli italiani. Terzo Paese europeo per presenza di stranieri in termini assoluti (dopo Germania e Regno Unito), l’Italia e’ l’unico dove il tasso di occupazione (15-64 anni) dei residenti immigrati (58,9% nel 2015) supera quello relativo ai nativi (56%), soprattutto per il contributo della componente comunitaria (63,3%). Se consideriamo in particolare il Mezzogiorno, area tra le piu’ depresse d’Europa anche a causa dell’inattivita’ femminile, e valutiamo il tasso di occupazione delle donne, quello delle italiane si ferma nel 2015 al 30,1% contro il 43,3% delle straniere non comunitarie e il 48,4% di quelle comunitarie. Considerando gli ultimi 5 anni (2011-2015), gli occupati stranieri in Italia sono aumentati complessivamente di 329mila unita’ e la loro incidenza sull’occupazione totale ha raggiunto il 10,5%. Anche nel 2013 (insieme al 2009 anno di forte contrazione della domanda di lavoro) la loro consistenza e’ cresciuta in termini assoluti a fronte di una notevole diminuzione degli occupati di cittadinanza italiana. Complessivamente nel 2015 gli occupati stranieri in Italia nel 2015 sono stati 2milioni359mila. Nel 2011 erano 2milioni30mila. Nel 2013 2milioni183mila. Per quanto riguarda i settori si registra, a partire dal 2011, un incremento degli occupati stranieri sul totale degli occupati di oltre 6 punti percentuali nei servizi collettivi e personali, di circa 5 punti percentuali in agricoltura e di quasi 4 punti percentuali nel turismo (alberghiero e ristorazione).  Su 100 stranieri occupati, ben 30 sono impiegati nel settore dei servizi collettivi e personali, 18 nell’industria, 10 nel turismo, 10 nelle costruzioni, 9 nel commercio, 8 nei servizi alle imprese (soprattutto nelle pulizie), 4 nei trasporti e logistica, 4 nella sanita’. Infine il dato di come gli stranieri trovano lavoro: se si escludono le attivita’ autonome (10%), l’interlocuzione diretta con il datore di lavoro e, soprattutto, le reti formate da parenti e amici coprono insieme poco meno del 90% del lavoro subordinato svolto in Italia da stranieri. Queste modalita’ di accesso, favorite dalla legislazione esistente in tema di immigrazione – conclude lo studio della Fondazione Di Vittorio – non aiutano la mobilita’ all’interno del mercato, ostacolano la progressione delle carriere, tendono a perpetuare condizioni di sotto-qualificazione e segregazione occupazionale, vale a dire la concentrazione dei lavoratori stranieri solo in determinati settori produttivi e solo in determinate qualifiche o professioni.

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