La vera storia del referendum sull'acqua pubblica "tradito" dal PD

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-03-16

È vero che il PD vuole privatizzare l’acqua senza tenere conto della volontà popolare sancita dall’esito del referendum del 2011? Facciamo chiarezza su cosa hanno deciso gli italiani all’epoca e su cosa è in discussione oggi. E nel frattempo l’acqua rimane pubblica

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È vero che il PD vuole affossare i risultati del referendum del giugno 2011, quello “sull’acqua pubblica”? La questione è esplosa in questi giorni a proposito di alcuni emendamenti del Partito Democratico alla proposta di legge Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l’adozione di tributi destinati al suo finanziamento presentata nel 2014 dall’Onorevole Federica Daga del M5S e attualmente in discussione presso la Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera. Autori degli emendamenti sono gli Onorevoli Enrico Borghi e Piergiorgio Carrescia.
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La gestione pubblica delle acque

Secondo il Movimento 5 Stelle, SEL e molti giornali i due emendamenti a firma PD sarebbero in contrasto con quanto stabilito “dalla volontà popolare” nel 2011 allorquando il Popolo Sovrano decise che l’acqua doveva rimanere pubblica. Il Movimento 5 Stelle ha rinfacciato a Matteo Renzi di come, nel 2011, avesse dichiarato che avrebbe votato Sì ai quattro quesiti referendari, compreso quello sull’acqua pubblica. Ma se andiamo a leggere quello che scriveva l’allora responsabile ambiente Dem troviamo in nuce quello che il PD sta facendo ora. Ora che è al Governo, è la tesi, Renzi si comporta esattamente come Berlusconi e manda avanti i suoi per calpestare la volontà di quei 27 milioni di italiani che nel giugno 2011 votarono a stragrande maggioranza (oltre il 95%) per l’abrogazione dell’articolo 23 bis del decreto legge 112 del 25 giugno 2008. Ed è proprio sul punto dei quesiti che si fa, come sempre, parecchia confusione. Perché è vero che venne presentato come “il referendum sull’acqua pubblica” ma – come sta accadendo per quello “sulle trivelle” – la domanda alla quale gli italiani risposero cinque anni fa era leggermente diversa. Facciamo un salto indietro nel tempo ed andiamo a leggere il quesito del referendum dal titolo “modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica“:

Volete voi che sia abrogato l’art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e dall’art. 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?

Il che tradotto significa che chi votava sì (e la maggioranza lo ha fatto) voleva abrogare quella norma che prevedeva l’obbligo per gli enti locali a fare delle gare d’appalto per l’affidamento dei servizi pubblici locali essenziali (acqua, rifiuti, trasporti); queste gare d’appalto avrebbero dovuto – secondo la legge abrogata – essere aperte a soggetti pubblici, privati o misti pubblico-privati dove i privati devono detenere almeno il 40% del capitale azionario e partecipare alla gestione della società. Il quesito referendario non ha mai messo in discussione la privatizzazione dell’acqua (che era ed è rimasta un bene pubblico) ma le modalità di affidamento del servizio ed eventualmente la privatizzazione (completa o in parte) delle società che gestiscono il servizio. Cosa è successo dopo il referendum? Semplicemente è stata abrogata quella legge, che non è stata sostituita da nessuna legge e la gestione dell’erogazione dell’acqua è rimasta nelle mani degli enti pubblici che ne sono al tempo stesso anche i proprietari e coloro preposti a controllarne l’efficienza. Ma al tempo stesso, con l’abrogazione dell’articolo 23 bis, agli enti locali era concessa anche la possibilità di scegliere a chi affidare il servizio tramite una gara (non erano obbligati a farlo però). Questo è quello che si è votato a giugno 2011.

+++ VIDEO PIRATA+++ 27 MILIONI DI VOTI A FAVORE DEL REFERENDUM DEL 2011 LI STANNO BUTTANDO NEL CESSO E SCARICANO CON L’…
Posted by Alessandro Di Battista on Tuesday, 15 March 2016

Cosa propone il Partito Democratico

Non è quindi vero come dice ad un certo punto del suo video pirata l’onorevole Alessandro Di Battista che “quel referendum chiedeva l’acqua pubblica” semplicemente perché il referendum abrogava  una norma riguardante l’affidamento dei servizi. Certo può nascere un po’ di confusione perché gli emendamenti Dem in Commissione Ambiente vanno a modificare l’articolo 4 recante princìpi relativi alla gestione del servizio idrico che nel testo originale prevede:

1. Tenuto conto dell’esigenza di tutelare il pubblico interesse allo svolgimento di un servizio essenziale in situazione di monopolio naturale ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, il servizio idrico integrato è considerato servizio pubblico locale privo di rilevanza economica.
2. La gestione del servizio idrico integrato è sottratta al principio della libera concorrenza, è realizzata senza finalità lucrative, persegue finalità di carattere sociale e ambientale, ed è finanziata attraverso meccanismi di fiscalità generale e specifica nonché meccanismi tariffari.

La modifica proposta dal PD in commissione invece prevede, in ottemperanza con la legge numero 11 del 28 gennaio 2016 che “nel rispetto dell’esito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per le concessioni nel settore idrico” ha escluso dalla disciplina degli appalti il settore idrico, che l’affidamento diretto (ovvero senza gara d’appalto) possa avvenire in via prioritaria a favore di società interamente pubbliche. Il che non significa che l’acqua (o la gestione del servizio idrico) venga privatizzata. Di fatto la modifica non va a cambiare di molto la normativa alla quale l’esito del referendum ci aveva riportati.

Al comma 1, sostituire le parole da: il servizio idrico integrato fino alla fine del comma con le seguenti: e tenuto conto della Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, che ha escluso dal proprio ambito di applicazione il settore idrico, secondo quanto stabilito dall’articolo 1, comma 1, lettera hhh) della legge 28 gennaio 2016, n. 11, in considerazione dell’importanza dell’acqua quale bene pubblico di valore fondamentale per i cittadini, il servizio idrico integrato è considerato un servizio pubblico locale di interesse economico generale assicurato alla collettività.
Conseguentemente:
sostituire il comma 2 con il seguente
:
2. L’affidamento del servizio idrico integrato è disciplinato dall’articolo 149-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, e successive modifiche, sulla base dei requisiti prescritti dall’articolo 17 della Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014;
sostituire il comma 3 con il seguente:
3. Al comma 1 dell’articolo 149-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le parole: «L’affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche» sono sostituite con le seguenti: «In via prioritaria è disposto l’affidamento diretto in favore di società interamente pubbliche».

Ci sono inoltre altri due emendamenti che vanno ad abrogare i primi due commi dell’articolo 6 del disegno di legge, ovvero questi due qui:

1. Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato costituiscono il capitale tecnico necessario e indispensabile per lo svolgimento di un pubblico servizio e sono proprietà degli enti locali, che non possono cederla. Tali beni sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico ai sensi degli articoli 822 e 824 del codice civile. Essi sono inalienabili e gravati dal vincolo perpetuo di destinazione ad uso pubblico.
2. La gestione e l’erogazione del servizio idrico integrato non possono essere separate e possono essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico.

Questo perché in evidente contrasto con la proposta di modifica avanzata all’articolo 4. Il fatto è, come spiega Enrico Borghi, che dalla presentazione della proposta di legge ad oggi il Governo è già intervenuto nel merito della gestione dell’acqua che rimane pubblica ai sensi dell’articolo 144 del Codice dell’Ambiente che sancisce che la proprietà demaniale delle acque. Nel 2014 il Codice dell’Ambiente è stato sottoposto a revisione da parte del Governo che con la legge 164 del 2014 ha introdotto l’articolo 149-bis che prevede che l’affidamento diretto del servizio idrico possa avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale. In definitiva quindi gli emendamenti del PD non vanno a tradire lo spirito referendario per due ragioni: in primo luogo il referendum del 2011 non è mai stato sulla “privatizzazione dell’acqua” ma sulla gestione del servizio idrico. In secondo luogo perché ci sono già delle leggi (alcune che recepiscono direttive europee in materia) che sono intervenute in materia di erogazione e gestione del servizio idrico che sarebbero in contrasto con quanto previsto dal testo in discussione in commissione ambiente.

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