La storia dei controlli sui bancomat per le partite IVA

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-07-16

Il terrorismo sul Governo che vuole spiare i conti correnti dei lavoratori autonomi tra mezze verità e problemi di costituzionalità

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Nicola Porro sul Giornale ha scoperto un codicillo che costituirebbe una vera e propria norma vessatoria nei confronti del Popolo delle Partite IVA. E da grande giornalista qual è Porro lancia l’allarme: lo Stato vuole i vostri soldi e nessuno ve lo dice!1
Nicola Porro partite IVA bancomat
IL GOVERNO RENZI VUOLE SPIARE I CONTI CORRENTI!1
Come detto il problema nasce da un comma (il comma 7bis) della legge sulla delega fiscale (non ancora approvata). Come racconta Porro l’idea nasce dalla legge finanziaria varata dall’allora Governo Berlusconi (OPS) nel 2005. Si tratta del comma 402 che modifica le disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (stabilite dall’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600) consentendo la possibilità di svolgere accertamenti sui prelevamenti “se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni“. Ed è un peccato che Libero, riportando il pezzo di Porro, sorvoli sulla paternità di Berlusconi di tale norma, dicendo che “la vicenda è complessa“. E probabilmente è difficile spiegare agli elettori di centrodestra che sono debitori di questo “favore” al difensore supremo della libera intrapresa e non ai soliti “komunisti”.

Fonte: Il Giornale
Fonte: Il Giornale

Scrive Porro che l’intento del Governo è spiare i detentori di partita IVA, con un periodo di accertamento che può arrivare fino a cinque anni. Tutte cose già previste dalla legge Finanziaria Berlusconi.

Chiunque (dotato di partita Iva) subisca un accertamento fiscale avrà sottoposti ai raggi x i prelievi bancomat fatti nel periodo di accertamento (anche cinque anni). L’idea del fisco è che il nero produca nero. E, dunque, se un tizio preleva troppo si presume, legalmente, che «l’eccesso di prelievo» alimenti traffici in nero e debba essere colpito da tassazione al pari di un ricavo.

AD ESSERE SOTTO LA LENTE È LA DISCREPANZA CON IL TENORE DI VITA
Ma è questo il capolavoro di Nicola Porro, il paragrafo che ha letteralmente creato il terrore tra i lavoratori autonomi italiani:

Avete, un’altra volta, capito bene. Questi sono pazzi. Secondo loro dovremmo appuntarci, dopo ogni prelievo al bancomat, il registro delle spese di quei contanti. Ma fino a qui si tratta di una follia burocratica e dell’ennesima complicazione tributaria. In realtà, la storia è financo peggiore. Non bastano i nostri appuntini, è necessaria una prova. Ovviamente con data certa e rilievo fiscale, immaginiamo. Anche se fossimo il ragionier Filini (quello di Fantozzi) non ci riusciremmo: gli scontrini non indicano il codice fiscale di chi le riceve. Insomma, non sono parlanti e, dunque, servono a nulla al riguardo. Il fisco inventa una norma, diabolica, e non fornisce il modo per rispettarla (fosse pure accettabile, cosa che non è): nessuna norma primaria o secondaria infatti impone in che maniera possa essere fornita l’indicazione dei beneficiari. Attenti, quindi, a dare mance. Diventa pericoloso comprare un pacchetto di sigarette al giorno: sono 1.500 euro l’anno che non hanno pezze giustificative ufficiali. Per carità, cappuccino e caffè beveteli a casa. E se avete un’amante? Peggio per voi. Il fisco, più che vostra moglie, ve ne chiederà conto.

Quello che Porro non dice è che se un libero professionista (bontà sua) dichiara di guadagnare poco ma spende molto qualche cosa non torna. In particolare il Fisco vorrà capire da dove vengono i soldi “in più” che spendo. Insomma sarebbe la differenza tra tenore di vita dichiarato e quello reale a fare scattare gli accertamenti. Come spiega Bufale.net:

Può, oggettivamente, un professionista che secondo il Fisco, ovvero secondo quanto lui stesso dichiara, guadagna dai 1000 ai 2000 euro al mese permettersi prelievi multipli e costanti per poi dichiarare, sempre nella stessa dichiarazione, un’esistenza sibaritica, un parco di strumenti di lavoro ormai ammortizzato da decenni (PC vecchi, mobilia risalente al precedente proprietario dell’ufficio, comodati che rivelano affitti…)?

Dove nasce quindi il problema? Ad esempio dal fatto che la sentenza 12021/15 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria abbia sostanzialmente dichiarato incostituzionale il comma 402 della finanziaria 2005. Non è chiaro al momento il meccanismo utilizzato dal legislatore per aggirare questa sentenza. In ogni caso per coloro che mostreranno una netta sproporzione tra prelievi e tenore di vita dichiarato (quindi non si tratta di sigarette e colazione al bar come vorrebbe far pensare Porro) al Fisco dovranno subire degli accertamenti, e questo è nell’interesse di tutti. Fermo restando che la norma non è stata approvata (e a quanto pare verrà ritirata) non tratta nemmeno di prelevare “più di quello che il Fisco ti consente” perché, per quanto riguarda i lavoratori autonomi sono loro a dire al Fisco (con la dichiarazione dei redditi) quanto guadagnano e quindi a far scattare gli accertamenti sui prelievi. È una norma così ingiusta? Solo per chi vuole evadere.
Foto copertina via Flickr.com

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