La situazione nello Stretto di Hormuz

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Qualcuno sostiene che le rivendicazioni da parte dei militari iraniani rappresenti un'escalation rispetto alle tensioni degli ultimi mesi. Ma a ben vedere non è così, almeno per quanto riguarda il rapporto con gli altri attori nella regione mediorientale

I Guardiani della Rivoluzione iraniana «hanno sequestrato [nel Golfo persico] una petroliera straniera che trafficava petrolio per conto di Paesi arabi». L’annuncio del comandante Ramezan Zirahi alla tv di stato iraniana riguarda la confisca di una nave e dei sette marinai a bordo avvenuta mercoledì 31 luglio. Al Jazeera ha riportato che il fatto sia avvenuto mentre transitava in acque iraniane e che il sequestro sia avvenuto con il permesso degli organi giudiziari iraniani. Secondo quanto riportato ieri dalla Fars, l’agenzia semi-ufficiale iraniana, la nave sarebbe stata sorpresa nelle vicinanze dell’Isola Farsi, dove i pasdaran hanno una base, e poi sarebbe stata trasportata a nord, nel porto Bushehr, dove la nave sarebbe stata svuotata del suo carico: circa 700 mila litri di carburante. Un carico considerato di piccola entità. Fonti iraniane vicine al Corpo delle Guardie di Rivoluzione Islamica (IRGV) hanno precisato che si tratti di una nave irachena. Conferme arrivano anche dalla Reuters, una delle agenzie di stampa più quotate al mondo, che riporta dichiarazioni di alcuni funzionari portuali iraniani secondo cui la nave sarebbe appartenuta a un piccolo commerciante iracheno. Il ministro del petrolio dell’Iraq Jabbar Alluaibi ha smentito ogni connessione con l’imbarcazione, specificando di non aver «esportato diesel nel mercato internazionale». Il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif, ha ribadito stamane di non voler più tollerare in futuro ulteriori «offese navali» e che non «chiuderà mai più gli occhi», perché il suo Paese ha interesse nel preservare la sicurezza dello Stretto. A differenza di quanto accade nello Stretto di Gibilterra, l’obiettivo dell’Iran «nel Golfo Persico è quello di sostenere le regole marittime internazionali» ha dichiarato Zarif.



La Guerra in Yemen

Qualcuno sostiene che le rivendicazioni da parte dei militari iraniani rappresenti un’escalation rispetto alle tensioni degli ultimi mesi. Ma a ben vedere non è così, almeno per quanto riguarda il rapporto con gli altri attori nella regione mediorientale. Lo dimostrano le dichiarazioni di Zarif che oggi ha proseguito nel dialogo con i suoi storici rivali, chiedendo che vengano migliorati i rapporti con loro. Una distensione che potrebbe avvenire grazie alla fine della guerra in Yemen, che vede l’Iran contrapposto ad Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti in una guerra per procura tra le più sanguinose della storia recente. Un possibile cessate il fuoco, secondo gli esperti, sarebbe possibile per l’Arabia Saudita, tuttora presente sul campo a piene forze. Secondo recenti indiscrezioni Mohammad Bin Salman, il sovrano de facto dell’Arabia Saudita, avrebbe dichiarato di voler chiudere il conflitto in Yemen perché troppo costoso. Ma Riyad ha anche chiesto che l’Iran si impegni a non interferire più negli affari degli stati della regione. Una condizione, almeno in apparenza, non impossibile. Abu Dhabi, che recentemente ha dichiarato sostanzialmente chiuso il conflitto in Yemen, ha rimodulato, diminuendo, il numero delle truppe lì presenti.

C’è disgelo tra Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran?

Può essere considerato un segno del disgelo tra l’Arabia Saudita e l’Iran, l’avvenuto rilascio, nei giorni scorsi, di una petroliera iraniana detenuta per mesi nel porto di Jiddah. Ben più ampio, invece, è stato l’eco della distensione dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran, sigillata la scorsa settimana a Teheran. il simbolo della beneaugurante intesa è la stretta di mano tra il generale Mohammed Al-Ahbabie e il suo omologo iraniano Qassem Rezaei.



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Le accuse di «terrorismo economico»

Se i rapporti tra Iran e gli altri stati della regione sembra stiano migliorando, altrettanto non si può dire di quelli tra Iran, Stati Uniti e la Gran Bretagna. Zarif ha recentemente dichiarato il loro comportamento come «terrorismo economico» accusando la Gran Bretagna di pirateria. Ma è chiaro che qualora il dialogo tra gli storici alleati americani e l’Iran proseguisse in questa direzione, anche Trump potrebbe cedere e allentare le sanzioni contro Teheran, visto che, proprio le pressioni di Arabia Saudita e Israele, i più fedeli alleati americani nella regione, abbiano contribuito in modo sostanziale al cambio di strategia sull’Iran del successore di Obama.

Le sanzioni all’Iran

La cronistoria degli avvenimenti recita una decisa escalation dell’autorità iraniana nello Stretto di Hormuz. Tutto è iniziato ad aprile, quando l’IRGV è stata inserita dagli Stati Uniti nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Poi il mese successivo Washington ha inasprito le sanzioni economiche sulle esportazioni petrolifere iraniane, già duramente colpite lo scorso anno dalle precedenti sanzioni emanate dagli Stati Uniti a seguito della loro uscita dagli accordi sul nucleare iraniano (JCPOCA). Il JCPOCA è stato concordato dopo anni di trattative dalla precedente amministrazione statunitense nel 2015, assieme a Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia e Germania. Una scelta, quella di abbandonarlo voluta da Trump, che però, di fatto, ha spinto nuovamente l’Iran ad aumentare le quote di arricchimento dell’uranio oltre i limiti stabiliti dal JCPOCA. A meno di accordi sulle sanzioni statunitensi, una terza revisione a rialzo è prevista per il prossimo 7 settembre. L’abbandono delle ambizioni militari nucleari dell’Iran, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni economiche ai danni del Paese, è stato interpretato dalla comunità internazionale come uno dei principali fattori di stabilizzazione dell’area mediorientale e un successo per Barack Obama, 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America e premio Nobel per la Pace. Nonostante qualche timido tentativo, Trump non è riuscito a trovare un accordo alternativo che soddisfacesse il presidente iraniano Hassan Rohuani.

Il precedente storico

Anche nel 1984, durante la guerra tra Iran e Iraq, ci fu una crisi simile, poi degenerata in attacchi alle navi in transito nel golfo. Una situazione che portò l’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Regan a intervenire, organizzando una scorta militare delle navi, la Earnest Will, che culminò con la sconfitta iraniana. Una misura che gli Stati Uniti stanno cercando di riproporre anche recentemente. La scorsa settimana la Germania, che è uno dei principali partner commerciali europei di Teheran, ha annunciato di non voler prender parte alla spedizione militare statunitense. Nonostante le promesse britanniche e francesi nel fornire sostegno miliare a protezione del traffico nello Stretto, non è stato ancora siglato nessun accordo per un impegno internazionale militare congiunto. La Gran Bretagna ha comunque inviato pattuglie militari a sostegno di quelle statunitensi.

La nuova crisi nel canale di Hormuz

Il blocco alle esportazioni del petrolio iraniano ha portato il Paese a reagire intralciando in modo più o meno velato il traffico del petrolio degli altri paesi del Golfo, ufficialmente con la giustificazione di verificarne il rispetto delle regole marittime. L’incipit della crisi nell’area è stato il sabotaggio di un tanker norvegese, di due navi saudite e di una emiratina, il 12 maggio. Il mese successivo, il 13 giugno, una petroliera norvegese e una giapponese sono state attaccate e date alle fiamme al largo dell’emirato di Fujairah, a un’estremità dello stretto di Hormuz. Nonostante sia forte il sospetto e chiare le accuse statunitensi, non è emerso però in modo univoco chi ci sia veramente dietro: se la mano dell’Iran o se siano azioni isolate dei pirati. Il 20 giugno i pasdaran iraniani hanno annunciato di aver abbattuto un drone americano perché avrebbe violato lo spazio aereo iraniano. Un’azione che ha gettato su tutte le furie il presidente statunitense Donald Trump, che ha però bloccato in tempo il contrattacco che da lì a breve avrebbe colpito obiettivi militari iraniani causando molte vittime. Il 4 luglio una nave iraniana, la Grace 1, è stata sequestrata al largo del territorio britannico di Gibilterra perché sospettata di trasportare un carico di petrolio in Siria, in barba alle sanzioni economiche internazionali a carico di Damasco. Il 10 luglio la marina militare iraniana avrebbe tentato di impedire il passaggio della British Heritage nello stretto di Hormuz. Il 18 luglio la nave da guerra americana, la USS Boxer, avrebbe abbattuto un drone iraniano perché si sarebbe avvicinato troppo all’imbarcazione. Ma il fatto non ha trovato conferme sul coinvolgimento di Teheran. Infine lo scorso 19 luglio la Gran Bretagna ha denunciato il sequestro iraniano di una nave britannica nello stretto di Hormuz assieme a un’altra battente bandiera liberiana. In questo caso le Guardie rivoluzionarie hanno confermato la confisca della nave. Esattamente come avvenuto mercoledì.

L’importanza dello Stretto di Hormuz

Lo Stretto di Hormuz è considerata la zona più importante al mondo per quanto concerne il commercio del petrolio. Nel 2018 da lì è passato un quinto del petrolio mondiale, circa 21 milioni di barili al giorno, una quantità di poco superiore a quella che ha attraversato lo Stretto di Malacca, nell’Oceano Indiano. Nel 2018 l’Arabia Saudita ha fatto passare nello stretto 6,4 milioni di barili di petrolio ogni 24 ore, poco meno del doppio dell’Iraq (3,4), e due volte e mezzo quello degli Emirati Arabi Uniti (2,7). Il traffico che transita nello stretto raggiunge soprattutto Cina, Giappone, Corea del Sud e India.

Petrolio: mal comune mezzo gaudio

L’aumento delle sanzioni da parte degli Stati Uniti ha portato l’Iran a minacciare l’intenzione di bloccare tutte le esportazioni passante per lo Stretto di Homuz. Le sanzioni a danno dell’Iran rappresentano uno dei principali fattori di stress economico nazionale per Teheran, capitale dell’Iran. Le esportazioni petrolifere rappresentano circa l’80 percento dell’export nazionale e tuttora le entrate statali dipendono in larga misura dai proventi petroliferi. Nel 1978, prima che avvenisse la crisi degli ostaggi, che di fatto determinerà il cambio di regime e l’inizio della Repubblica Islamica dell’Iran e l’inizio delle ostilità con gli Stati Uniti, l’Iran era il secondo esportatore di petrolio dell’Opec, l’organizzazione che raggruppa gli esportatori di greggio. Nel 2018 il paese ha esportato circa 50.8 miliardi di dollari in petrolio, piazzandosi settimo, con una percentuale di 4.5 punti percentuali sul totale esportato. Numeri bassi se si considera quanto diffuso da HowMuch.net, che utilizza i dati del CIA World Factbook, secondo cui l’Iran è il quarto paese con maggiori giacimenti petroliferi al mondo dopo Venezuela, Arabia Saudita e Canada. Secondo alcuni dati diffusi da novembre a maggio, le esportazioni del petrolio sono più che dimezzate, e le nuove sanzioni potrebbero decrementare ulteriormente le vendite di circa il 30 percento.

foto di copertina da qui

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