Chi ci guadagna con il business della Sindone

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-06-23

Due milioni di pellegrini e trentacinque milioni di euro di incassi per alberghi e ristoranti. Gli enti locali hanno elargito un milione e 700 mila euro. Un evento che di religioso (visto che la SIndone non è autentica) ha ben poco

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Domenica Papa Francesco si è recato a Torino per la giornata conclusiva dell’Ostensione della Sindone. Quella del 2015 è stata la quinta Ostensione in diciassette anni (l’ultima è stata nel 2013). Pochi giorni prima il Papa aveva criticato il business della fede di certi santuari ma nulla ha avuto da ridire su quello della Diocesi di Torino che espone un telo la cui datazione viene fatta risalire al Medioevo.


UN GIRO D’AFFARI DA 35 MILIONI
Anche se non è stata la più lunga (come quella di 72 giorni del 2000) questo non significa che il giro d’affari dell’indotto sia stato minore. Come riporta l’Espressso per l’Arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia la Sindone è «un riferimento importantissimo per la vita di fede di tante persone che in quell’immagine riconoscono e trovano i segni della passione del Signore» ma non c’è dubbio che al di là della spiritualità la Sindone e le sue periodiche Ostensioni costituiscano una vera e propria manna dal cielo per gli esercenti torinesi, soprattutto gli albergatori che hanno avuto il loro bel da fare ad ospitare le centinaia di migliaia di fedeli che sono accorsi a Torino per ammirare il Sacro Lenzuolo. Se vedere la Sindone è gratis (non si paga il biglietto) tutto il resto si paga. Il giro d’affari della Sindone per le strutture ricettive è stato di venti milioni di euro durante i 67 giorni nei quali i pellegrini e i visitatori hanno potuto vedere il lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe fatto da sudario a Gesù. La Stampa riporta che complessivamente sono 205.000 le camere (negli alberghi di tutte le categorie) affittate ai turisti della fede con prezzi che vanno dai 40 euro degli ostelli ai 250 degli alberghi di lusso. Un tasso di riempimento delle strutture che, secondo il presidente di Federalberghi Alessandro Comoletti, ha avuto picchi del 95-100% con una media dell’80%. Insomma la Sindone fa miracoli per gli albergatori. Soddisfatti anche i ristoratori, che per voce della loro presidente fanno sapere che «è stato un bellissimo momento religioso per Torino, ma questi mesi danno anche la misura del cambiamento della città. Calcoliamo incassi superiori del 20-25% rispetto al normale». I due milioni di pellegrini che sono andati a Torino per vedere la Sindone, in poco più di due mesi hanno generato un giro d’affari di 35 milioni di euro. E a questo vanno aggiunti i guadagni di chi noleggia autobus e corriere e vende i pacchetti di viaggio “all inclusive”. Certo, quest’ultima Ostensione ha beneficiato di una “congiuntura” particolarmente favorevole: a Milano c’è Expo, a Torino ha da poco riaperto il rinnovato Museo Egizio e il bicentenario della nascita di don Giovanni Bosco. Ed è così che devono essere organizzati i grandi eventi (perché l’Ostensione della Sindone lo è stato), facendo rete. Se si pensa però che dovrebbe essere un evento religioso la cosa stride un po’ con il messaggio papale; che differenza c’è tra una veggente che parla con la Madonna a giorni alterni e un telo fatto ad arte in periodo medioevale? Nessuna, ma così vanno le cose nel mondo della fede.
 


 
I COSTI PER GLI ENTI LOCALI
Il Comune di Torino, la Provincia e la Regione hanno sostenuto l’iniziativa con un finanziamento di circa 1 milione e 700 mila euro. Ottocentomila euro ciascuno sono stati elargiti da Comune e Regione mentre la Provincia ha messo i restati 100 mila euro. Altri sponsor sono stati la Fondazione Cassa di risparmio di Torino e la Compagnia di San Paolo; anche loro hanno sborsato 800 mila euro ciascuno. Dubbi sono stati sollevati sull’opportunità per gli enti pubblici di sponsorizzare un evento del genere soprattutto in un periodo di tagli agli enti locali come quello attuale. Il problema non riguarda tanto per l’indotto (lo UAAR scriveva che i pellegrini sarebbero andati solo nelle case d’accoglienza cattolica ma pare non sia andata così) quanto il fatto che lo Stato si faccia promotore di eventi come questo, creato attorno ad un manufatto la cui veridicità è quantomeno dubbia. Possono i ricavi e i guadagni dei privati da soli giustificare il fatto che gli enti pubblici si impegnino a sostenere un’iniziativa pseudoscientifica come l’Ostensione sulla quale la stessa Chiesa non si è mai espressa in modo chiaro? Sicuramente in virtù della tassa di soggiorno il Comune sarà in parte rientrato dei costi sostenuti e visto il perdurare del periodo buio dell’economia in pochi potranno lamentarsi di come è stato gestito l’evento da parte degli enti pubblici. Come spiegava Marco Bella sul Fatto non si tratta di centrare il discorso sui uno sterile “ki paka?” ma sull’opportunità che lo Stato si faccia promotore e sponsor di iniziative del genere (o similari). Quello che sia Bella che lo UAAR dimenticano è che lo Stato sostiene (e fa profitto) su altre forme di creduloneria popolare come ad esempio il Lotto o altre forme di giochi la cui dipendenza crea molti più danni per la collettività.

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Foto copertina via Twitter.com

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