I «veri» numeri delle obbligazioni subordinate

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-12-14

Sarebbero un migliaio gli obbligazionisti con patrimoni inferiori ai 100mila euro che hanno visto sfumare i propri risparmi. Ma il conto delle quattro banche suscita qualche dubbio. Banchieri esperti ritengono che anche oggi oltre metà delle obbligazioni subordinate emesse da tutte le banche italiane sia in tasca ai risparmiatori.

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Ieri in un comunicato congiunto le quattro banche risolte dal governo con il decreto Salvabanche – CariFerrara, CariChieti, Banca Etruria, Banca Marche – hanno fornito il dettaglio sui dati relativi alle obbligazioni subordinate emesse. Metà delle emissioni è andata a investitori istituzionali. I risparmiatori retail sottoscrittori di quel tipo di prodotto finanziario, invece, sono in tutto 12.500 (ma solo 10.559 sono clienti degli istituti salvati dal decreto) per un controvalore di 431 milioni di euro (329 milioni il controvalore per la clientela della 4 banche). I casi più delicati riguardano 1.010 obbligazionisti con patrimoni inferiori a 100 mila euro e che hanno visto sfumare oltre la metà dei loro investimenti. Il controvalore per questi ultimi è pari a 27 milioni, un importo coperto dal Fondo di solidarietà da 100 milioni previsto dal governo nel pacchetto di emendamenti andati al voto in commissione alla Camera. Le banche interessate dal salvataggio fanno sapere pure che per 8.020 clienti obbligazionisti il valore dell’investimento vale meno del 30% dei loro impieghi. Nel dettaglio fornito è anche specificato che oltre la metà delle obbligazioni collocate sul mercato retail sono finite a 2.450 clienti con patrimoni investiti presso le banche superiori a 250 mila euro. Attenzione, però: nei conti delle quattro banche non è specificato in alcun modo se il computo totale riguarda quelli che oggi sono in possesso dei bond oppure riguarda le vendite effettuate all’epoca del collocamento, non tenendo conto degli eventuali acquisti nel mercato secondario. Il mercato secondario è quello che si sviluppa dopo il collocamento sul mercato primario di alcuni prodotti finanziari. Come nel caso di Luigino D’Angelo, non è possibile escludere (anzi: viste le testimonianze, parrebbe un’ipotesi concreta) che altri soggetti o le banche abbiano acquistato le obbligazioni subordinate e poi le abbiano rivendute a risparmiatori.

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La tabella di Repubblica sulle obbligazioni subordinate (14 dicembre 2015)

I bond in questione non erano quotati su mercati regolamentati ma il regolamento del prospetto informativo prevede il riacquisto da parte della banca in ogni momento a condizioni di mercato e nei limiti di riacquisto stabiliti dalla vigilanza (massimo 10% di ogni singola emissione). A seguito di disposizioni Ue recepite dalle autorità di vigilanza italiana nel 2014 i riacquisti erano stati vietati. Potrebbe quindi essere accaduto – si parla comunque in via teorica –  che la banca abbia riacquistato un’obbligazione e poi l’abbia rivenduta a un soggetto terzo, che però oggi non compare nella statistica presentata dagli istituti. Repubblica intanto ha pubblicato oggi a corredo di un articolo di Andrea Greco il computo totale delle obbligazioni subordinate delle banche italiane:

Secondo dati di inizio novembre, nei caveau degli istituti nostrani ce ne sono per 71,25 miliardi, suddivisi in 286 emissioni da parte di 65 banche, con importo medio 250 milioni. Accanto a queste ci sono circa 5 miliardi di “At1”, le subordinate di nuovo tipo però riservate agli investitori istituzionali. I subordinati di vecchio tipo, invece, si sono diffusi dopo il 2011, per rafforzare le banche che iniziavano a bruciare capitale. Secondo il rapporto Bankitalia di novembre 2013, due mesi prima ce n’erano per 61 miliardi, di cui 35 tra il largo pubblico; un’anomalia tutta italiana, che per anni ha portato gli emittenti a far valere le loro ragioni sui controllori Consob e Bankitalia, con casi di abusi nella distribuzione (19 milioni le sanzioni Consob dal 2007 a riguardo). Banchieri esperti ritengono che anche oggi oltre metà dei subordinati sia dei risparmiatori.
Circa tre quarti del totale è emesso da Intesa Sanpaolo e Unicredit, che però sono le due maggiori banche, chiamate dai regolatori ad avere patrimoni e gestioni più solide. Ce ne sono per circa 6 miliardi a Siena (Mps), che negli anni della crisi più dura ne ha emesse sulla rete in quantità. Ce n’è per un miliardo tra le popolari di Vicenza e Veneto, oggi in crisi e che non hanno superato i test Srep della vigilanza (difatti stanno per aumentare il capitale). Ce n’erano per 788 milioni tra Etruria, Marche, Ferrara e Chieti; ma da novembre non ci sono più.

Leggi sull’argomento: Un colpo di scena nella storia della morte di Luigino D’Angelo?

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