La strada stretta del governo Lega-M5S

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-03-25

Dopo la vittoria nella partita delle presidenze Salvini e Di Maio ragionano sull’ipotesi di un esecutivo. Dove però potrebbero arrivare entrambi ridimensionati e costretti al passo indietro. E allora ecco l’ipotesi di un premier leghista con programma vicino al M5S

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«Salvini ha dimostrato di essere una persona che sa mantenere la paroladata»: sta tutta in questa poche parole dette da Luigi Di Maio al Corriere della Sera la corrispondenza d’amorosi sensi tra Lega e MoVimento 5 Stelle, benedetta dai sondaggi ma osteggiata all’interno e all’esterno del M5S anche se il suo nemico naturale, ovvero Roberto Fico, è stato eletto presidente della Camera e adesso avrà altro a cui pensare.

La lunga strada del governo Lega-M5S

Ma se la partita delle presidenze vede uno sconfitto (Berlusconi) e due vincitori (Di Maio e Salvini), l’intesa tra i leader di Lega e M5S si troverà presto davanti lo scoglio più difficile da affrontare: il nome per la presidenza del Consiglio. Nell’intervista al Corriere Di Maio esclude la possibilità di un premier “tecnico” che riporti tutti al voto e torna sui suoi nomi per il governo: «Abbiamo presentato prima delle elezioni una squadra di governo patrimonio del Paese e non solo del Movimento 5 Stelle. Se si dovrà parlare dei nomi dei ministri lo deciderà Sergio Mattarella e sarà con lui che se ne parlerà. Con le forze politiche parleremo di temi, perché così non ci saranno più scuse per non affrontare i problemi della gente».

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Il sondaggio SWG sul Messaggero (24 marzo 2018)

Anche Salvini però non ha intenzione di mollare sulla sua leadership e i passi avanti che si fanno nell’accordo tra centrodestra e M5S sono evidentemente spuri: servono a confermare la leadership del Carroccio su Forza Italia e su Fratelli d’Italia e a far arrabbiare Brunetta e Romani, ma non avranno effetti concreti sulla scelta del Colle. Perché sarà Mattarella a dover scegliere il nome e se è immaginabile un incarico esplorativo per Salvini, Di Maio o entrambi, il fallimento che registreranno i tentativi porterà per forza Lega e M5S a dover ragionare su un piano B.

Il piano A, il piano B

Un retroscena della Stampa si concentra proprio su questa ipotesi. Ora il capo del Carroccio vuole incassare gli utili della capitalizzazione sulla coalizione e puntare alla «pazza idea» del governo, convinto di aver dimostrato «di saper trovare una soluzione anche quando sembra impossibile».

Come al solito, sono i numeri a dare un peso alle ambizioni. «Io non sono più il leader di un partito del 17 per cento ma del 37, il M5S se ne faccia una ragione» dice Salvini che pensa di spiazzare Di Maio con una semplice offerta: «Gli proporrò un governo di programma da scrivere insieme e gli chiederò di essere quello che lui ha chiesto a tutti: di essere responsabile. Ma sappia che se si confronta con me si confronta con tutto il centrodestra». Al leghista però serve che Berlusconi non sia in prima linea, ed è quello che gli proporrà: lasciare il partito a qualcuno che sia digeribile per il M5S per superare i veti dei grillini ed evitare di trovarsi Fi all’opposizione. Come invece vorrebbe Di Maio.

governo lega-m5s

Di Maio non vuole «un governo di breve durata» ma per sventolare la bandiera della vittoria su Palazzo Chigi i 5 Stelle stanno valutando tutti gli scenari. Ai loro occhi il leader leghista non si ostinerà troppo a pretendere la presidenza del Consiglio. Certo, dovrebbe essere lui ad avere il primo pre-incarico, ma potrebbe fallire proprio di fronte al muro dei grillini. A quel punto perché Salvini dovrebbe dare l’ok a un governo con Di Maio premier? «Perché gli offriremmo ministeri di peso, tra Economia o Sviluppo economico, Interno, Difesa. E lui avrebbe anche il tempo di azzerare Fi e tornare alle elezioni più forte» spiegano dal M5S.

Il governo delle rinunce

Se la crisi però si protrarrà prima o poi anche Di Maio sarà costretto a un passo indietro. E siccome l’ipotesi di andare al governo con Berlusconi è vista come il fumo negli occhi da parte di gran parte del MoVimento 5 Stelle, proporrà a Salvini un patto sui temi e sulle cose da fare chiedendogli di mollare il Cavaliere al suo destino e prendendosi invece il resto del centrodestra per poter trattare alla pari con i grillini. Su un programma, su necessità e su punti che dovranno essere condivisi da entrambi gli schieramenti per poter cominciare a ragionare intorno a una personalità da mandare a Palazzo Chigi.

roberto fico maria elisabetta casellati

E per farlo sarà necessario troncare, sopire tutte le forze che invece gli indicano la strada del confronto con un Partito Democratico diviso al suo interno e incapace di scegliere una linea e seguirla fino in fondo, che proprio per la sua debolezza diventa oggi l’alleato più gradito al M5S. A Di Maio la leadership di Salvini fa oggettivamente concorrenza, quella di Martina no.

L’incognita Berlusconi

Secondo Tommaso Ciriaco su Repubblica Salvini ieri a Di Maio ha fatto la sua proposta: un passo indietro di entrambi e un premier “terzo”, espressione del nuovo governo populista. Poi, certo, il capo della Lega pensa che l’identikit migliore sia quello di un suo fedelissimo, l’esperto Giancarlo Giorgetti. Ma il problema è a monte: il leader dei grillini non ha ancora garantito che si farà da parte. E il programma? «Taglio delle tasse alle imprese, il superamento della legge Fornero, sostegni alle famiglie che fanno figli, uno strumento che aiuti a trovare lavoro ai giovani che lo perdono». Quest’ultimo, in particolare, assomiglia a una versione ultra-light del reddito di cittadinanza.

matteo salvini centrodestra

Tutto questo però potrà funzionare solo se Salvini riuscirà a giubilare Berlusconi portandosi dalla sua parte anche Giorgia Meloni. Dopo le sberle prese alle elezioni regionali che hanno certificato che anche il Lazio è territorio di caccia di voti da parte della Lega e Fratelli d’Italia può solo fare da incubatrice, la leader dei reduci di Alleanza Nazionale ha deciso di mettersi in posizione subalterna rispetto ai due litiganti sulla partita delle camere. Il risultato è che non ha portato a casa niente, come d’abitudine. Se andasse al governo con Salvini dovrebbe certificare la rottura del centrodestra e insieme dover sostenere Di Maio. Se rimanesse all’opposizione potrebbe lucrare dalla rendita di posizione con l’incognita di non sapere cosa potrebbe succedere alle prossime elezioni. Rischiando di fare la fine di Berlusconi.

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