Fact checking
Le altre firme false a 5 Stelle a Palermo
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2016-11-16
Quelle 2 mila firme in parte ricopiate per errori formali, ma forse integrate prendendo a caso perfino i nomi dei condomini di un palazzo. Una voce da verificare come quella di nomi con dati anagrafici e relativi documenti estratti da un database
Un deputata regionale che decide di vuotare il sacco su quella notte. E un racconto che parte da via Sampolo, vecchia sede del MoVimento 5 Stelle a Palermo, nella notte tra il 3 e il 4 aprile del 2012, quando una ventina di militanti si è messa a copiare e aggiungere nominativi nella lista delle firme che doveva servire a presentare la candidatura di Riccardo Nuti detto Il Grillo a sindaco di Palermo. Una candidatura che non ha permesso l’elezione in consiglio comunale, ma è servita per aprirsi una corsia preferenziale per il Parlamento. Dopo le ammissioni di Claudia La Rocca e di un altro attivista a 5 Stelle, come ampiamente previsto, il caso delle firme false a 5 Stelle alle elezioni di Palermo nel 2012 sta per scoppiare in faccia al M5S.
Le altre firme false a 5 Stelle a Palermo
Stamattina in procura verranno ascoltati il capo del M5S siciliano Giancarlo Cancelleri e Gianfranco Trizzino, anch’egli parlamentare all’Assemblea Regionale. Entrambi, non avendo ufficialmente nulla da temere (Trizzino ha detto che non era presente la notte delle firme false a 5 Stelle, anche se il primo testimone della vicenda, il professore di educazione fisica Vincenzo Pintagro, aveva fatto il suo nome; Azzurra Cancelleri, sorella di Giancarlo, era stata citata tra i parlamentari coinvolti pur essendo di Caltanissetta), hanno spinto la La Rocca a dire la verità davanti al magistrato. E non solo La Rocca, come racconta oggi il Corriere della Sera:
Sono crepe che si aprono, mentre tanti restano in lista d’attesa per essere ascoltati dal procuratore aggiunto Dino Petralia. A partite dallo stesso Nuti non coinvolto negli interrogatori del 10 novembre quando Petralia e la pm Claudia Ferrari ascoltarono a Roma tre deputate con radici a Palermo, Giulia Di Vita, Loredana Lupo e Chiara Di Benedetto. Adesso non ci sono solo le accuse di Vincenzo Pintagro, uno dei testimoni di quella notte già querelato da Nuti e Mannino dopo le accuse rimbalzate in tv con Le Iene. Perché parlano testi che diventano indagati, come La Rocca. E si raccolgono le testimonianze di quei firmatari che, non riconoscendo in questura firme e dati anagrafici, vengono subito convocati in procura per deposizioni che aggravano il quadro. La vera inchiesta infatti si svolge al secondo piano del palazzo di giustizia dove i magistrati hanno riaperto fascicoli archiviati tre anni fa. C’è voluto l’altoparlante delle Iene per riaprire il caso.
Con difficoltà per un funzionario di polizia allora come oggi impegnato nelle indagini, secondo la ricostruzione delle Iene, cugino di un candidato alle Comunali del 2012, un avvocato anche lui adesso in fila per essere interrogato. Il pasticcio inquieta i vertici dei Cinque Stelle irritati dal diniego di ogni addebito da parte dei «palermitani» che adesso rischiano di essere puniti bloccando un loro eventuale secondo mandato parlamentare mentre Alessandro Di Battista a Di Martedì minimizza ed infierisce insieme: «Le firme false furono una stupidaggine ma non faremo sconti a nessuno». Cercano tutti la verità su quelle 2 mila firme in parte ricopiate per errori formali, ma forse integrate prendendo a caso perfino i nomi dei condomini di un palazzo. Voce da verificare come quella di nomi con dati anagrafici e relativi documenti estratti da un database. E il fatto che allora un futuro deputato lavorasse in un negozio di telefonia stipulando contratti ad acquirenti di smartphone alimenta chiacchiere, ovviamente a rischio querela. Elementi di una polemica rilanciata da un espulso dai Cinque Stelle, l’attuale vice presidente dell’Assemblea siciliana Antonio Venturino: «Dimissioni. Sapevano delle scorrettezze e hanno taciuto da anni».
“Non faccio dichiarazioni per rispetto del lavoro della magistratura ma sono a disposizione dei magistrati per essere ascoltato ”, ha detto Nuti citato nell’articolo del Fatto Quotidiano oggi dedicato alla vicenda, dove si racconta che oggi i pm concluderanno gli interrogatori ascoltando i deputati regionali Giancarlo Cancelleri e Gianina Ciancio: «L’indagine, insomma, è al giro di boa e rischia di allargarsi a macchia d’olio: secondo la legge il reato ipotizzato dagli inquirenti deve essere contestato non solo a chi ha alterato gli atti relativi all’elezione ma anche a chi ne ha tratto beneficio. E in via ipotetica sitratta dell’intera lista di candidati al consiglio comunale, zeppa di attuali eletti alla Camera».
Il ruolo di Francesco Menallo e Giovanni Pampillonia
La Stampa invece scrive che nell’indagine compare anche un avvocato considerato una sorta di guru e di consigliere giuridico grillino, Francesco Menallo: tutti saranno ascoltati nei prossimi giorni dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia e dal pm Claudia Ferrari, ma anche dalla Digos. Menallo, oltre che avvocato, è anche il cugino di secondo grado di Giovanni Pampillonia, il poliziotto della Digos citato in un’interrogazione in Senato presentata dal famigerato senatore Bartolomeo Pepe.
In particolare, si annovera il commissario della Digos di cui, nel documento inviato, non si ricordano le generalità ma si riporta la descrizione fisica: alto, con naso lungo, irregolarità nei tratti del volto e la somiglianza all’attore Antonio De Curtis, in arte Totò. Tale descrizione potrebbe essere associata, secondo indiscrezioni di stampa al commissario G.P., ex dirigente della Digos di Trapani, dal 2009 stabile presso gli uffici della Digos di Palermo, presente anche durante la manifestazione “Italia 5 Stelle” che si è svolta nel capoluogo della regione nel mese di settembre, e individuato nel cordone di protezione al sindaco di Roma Virginia Raggi, ripreso nelle immagini balzate agli onori della cronaca per le violenze esercitate dagli attivisti del M5S contro i giornalisti presenti all’evento. Inoltre, subito dopo la deposizione presso gli uffici della Digos, il professor Vincenzo Pintagro ha dichiarato di essere stato raggiunto telefonicamente da alcuni militanti del M5S di Palermo venuti immediatamente a conoscenza della sua testimonianza, presumibilmente in violazione del segreto d’ufficio e professionale ai sensi dell’art. 622 del codice penale;
Si tratta dello stesso poliziotto della Digos che indagò una prima volta sulla storia delle firme false a 5 Stelle, non trovando nulla. E che oggi indaga, dopo che la stampa ha fatto il lavoro più difficile: quello di trovare le prove della falsificazione. Lo stesso che accompagnava Grillo a Ballarò.