Cosa succede con i dazi di Donald Trump

Categorie: Economia, Fact checking

Il presidente USA dichiara guerra ai paesi produttori di acciaio e alluminio. L'Unione Europea è pronta a rispondere. L'ultima volta che gli Stati Uniti adottarono tariffe sull'acciaio provocarono la perdita di 200mila posti di lavoro. Ma le guerre commerciali sono facili da vincere, sostiene Trump. Qualcuno però potrebbe perderci. Ad esempio, l'Italia

Donald Trump gioca la carta dei dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio nella misura del 25 e del 10%. «Una promessa elettorale mantenuta», dice la Casa Bianca. Varranno “per un lungo periodo di tempo”, ha detto Donald Trump chiedendo alle aziende di riferimento di “fare ricrescere i settori. Vi chiedo solo questo”.



I dazi di Donald Trump

Contrari alla mossa voluta dal presidente i globalisti della West Wing guidati dal consigliere economico Gary Cohn. Dopo poco più di un anno di attesa, e mesi dopo aver aperto il dossier della “sicurezza nazionale”, Donald Trump ha deciso di applicare dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, nella misura del 25% e del 10% rispettivamente. Delle tre opzioni possibili (tariffa generalizzata, tariffa selettiva mista ad un sistema di quote contro Cina ed altri paesi, quote universali), è stata scelta quella che fa più danno al commercio mondiale. “Io continuo ad essere preoccupato dalla risposta degli altri Paesi in risposta”, ha detto Roy Blunt, uno dei membri della leadership repubblicana ricordando che il suo stato, il Missouri, produce alluminio ed acciaio “ma continuiamo a comprarne molto più di quello che produciamo”. Senza contare, ha aggiunto, che dei tipi di alluminio usati nelle fabbriche del suo stato “non viene prodotto negli Stati Uniti”.



A chiedere a Trump di fare marcia indietro sui dazi vi erano industrie, come quella automobilistica che considerano l’aumento del prezzo dell’acciaio e dell’alluminio un rischio per le vendite e la tenuta dei posti di lavoro. L’ultima volta che gli Stati Uniti adottarono tariffe sull’acciaio, nel 2002, la misura ha provocato la perdita di 200mila posti di lavoro. Le azioni di ritorsione verso gli Usa sono dietro l’angolo. Non a caso, dopo le parole di Trump, Wall Street ha reagito con un improvviso crollo che ha portato il Dow Jones a perdere fino a 500 punti.

Le ripercussioni sull’Europa e sull’Italia

“È come se il presidente stesse imponendo un enorme aumento delle tasse alle famiglie americane. Il protezionismo è debole, non e’ forte. Una politica cosi’ negativa e’ qualcosa che ci si aspetta da un’amministrazione di sinistra, non da una che dovrebbe essere repubblicana”, ha tuonato il senatore del Grand Old Party Ben Sasse, bollando la misura come non degna di un presidente conservatore. Anche lo Speaker della Camera dei Rappresentanti, Paul Ryan, ha chiesto a Trump di ripensarci, “tenendo conto delle conseguenze involontarie” e “valutando un approccio differente”.



L’Unione Europea si è già detta pronta a rispondere all’offensiva di Donald. La linea Ue si fonda su tre piste. La prima riguarda il fatto che “la Commissione ha pronte contromisure per riequlibrare la situazione e questo sarà discusso dal collegio la prossima settimana”. Poi “monitorerà il mercato e se ci sarà un aumento delle importazioni di acciaio e alluminio nella UE prenderemo contromisure per preservare la stabilita'”. Infine “lavoreremo con gli altri partner per consultazioni con gli Usa nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio”. Il procedimento, che può essere condotto dalla Commissione europea d’ufficio o con ricorso da parte di uno o più Stati Membri, in caso di accertamento di un pericolo di grave crisi determinata da improvvise alterazioni dei flussi commerciali, consente l’applicazione di dazi o di quote all’importazione nei confronti di un determinato prodotto allo scopo di proteggere in via eccezionale e temporanea la produzione comunitaria.

I dazi e i problemi dell’Europa

Tale misura è applicabile se sono accertate tre condizioni: incremento, improvviso, evidente e rilevante delle importazioni del prodotto in esame; esistenza di una grave crisi attuale o di una minaccia di potenziale crisi di un settore produttivo comunitario, derivante da un repentino e sostanziale incremento delle importazioni; i benefici derivanti dalla introduzione del dazio devono essere superiori ai costi che ne deriverebbero (ad esempio a carico dei consumatori). La durata della procedura è di nove mesi dalla data del suo inizio, prorogabili in caso di necessità per altri due mesi. Dopo 60 giorni dall’inizio della procedura, possono essere imposte misure provvisorie per una durata massima di 200 giorni.

Il guaio è che ad oggi si sa troppo poco della misura proposta di Donald Trump per riuscire a calcolarne gli effetti economici. Canada, Russia e Germania potranno chiedere agli USA di essere esentati dalle misure perché hanno accordi commerciali. Ma a quanto pare l’UE ha già avuto un’interlocuzione in merito e non sembra che i risultati siano stati soddisfacenti. Per questo ci si prepara già al peggio. Anzi: l’Ue è pronta anche a adottare “misure di salvaguardia” nei confronti di paesi diversi dagli Stati Uniti se i loro prodotti dell’acciaio dovessero essere “dirottati verso il mercato europeo”.

Cosa può succedere: prepararsi al peggio

Ecco quindi che è più chiaro cosa si potrebbe scatenare a livello globale: una corsa al protezionismo delle industrie di ferro e acciaio su scala globale, scatenato dai dazi di Trump e pronto a contagiare il mondo intero. “Quando un paese (gli Usa) sta perdendo molti miliardi di dollari negli scambi commerciali, praticamente con ogni paese con cui fa affari, le guerre commerciali vanno bene e sono facili da vincere”, ha detto ieri Trump per spiegare la sua strategia: “Per esempio se siamo sotto di 100 miliardi di dollari con un certo paese e loro si prendono gioco di noi, basta non commerciare più e vinceremo alla grande. È facile!”.

Vincere sarà facile. Uno dei paesi che potrebbe perderci, spiega Mario Seminerio su Phastidio, è l’Italia: «La “nostra” Fiat Chrysler da circa tre anni tiene in piedi la nostra produzione industriale ed il nostro Pil grazie a produzioni destinate all’export, non certo solo al nostro ormai striminzito mercato domestico. Da dazi sull’acciaio, l’Italia è quindi uno tra i paesi che avrebbero più da perdere, perché FCA potrebbe comunque rilocalizzare le produzioni. Solo un piccolo esempio di come funzionano le interdipendenze globali e quanto serva avere organismi multilaterali funzionanti che raffreddino i conflitti commerciali e sanzionino le pulsioni protezionistiche».