Come Di Maio ha incartato un bel cioccolatino agli operai Pernigotti

Categorie: Economia, Fact checking

Da novembre Di Maio promette di salvare la Pernigotti e i lavoratori dello stabilimento di Novi Ligure. Oggi al Ministero ci sarà la firma per la cessazione dell'attività. Cassa integrazione per 100 dipendenti (ma non per i 150 interinali). E la famosa legge per legare un marchio al territorio non s'è vista

L’ultima volta Luigi Di Maio aveva visitato lo stabilimento Pernigotti di Novi Ligure esattamente un mese fa. Era il 5 gennaio e il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico aveva promesso che la Pernigotti, storica azienda dolciaria italiana, sarebbe rimasta in Italia e che nessuno sarebbe stato licenziato. Oggi a mezzogiorno, questa volta a Roma al Ministero, è previsto l’incontro per la firma dell’accordo tra sindacati e azienda per la fine della produzione nello stabilimento di Novi Ligure e la firma della Cassa integrazione per i dipendenti.



Quando Di Maio prometteva di salvare la Pernigotti

Ad andare in Cassa integrazione saranno cento dipendenti, i 150 lavoratori interinali invece godranno della disoccupazione ma non avranno alcun ammortizzatore sociale. Fallisce così, sulla pelle di 250 persone e altrettante famiglie la mediazione del Ministero con Toksoz, il gruppo turco che è proprietario della Pernigotti da sei anni. Toskoz non ha voluto vendere e non si è mai capito se ci fosse davvero qualcuno interessato a rilevare il marchio.



Eppure il 5 gennaio Di Maio continuava a raccontare che l’azienda sarebbe stata salvata, e con essa i posti di lavoro. «La Pernigotti non solo deve continuare ad esistere come marchio ma deve continuare ad esistere con i suoi lavoratori», diceva Di Maio un mese fa spiegando che il governo «stava facendo sul serio».



Il ministro non aveva abbandonato l’idea di una legge per tutelare l’esistenza sul territorio italiano di un marchio italiano, ovvero che se un marchio era nato in Italia la proprietà sarebbe stata obbligata a mantenere la produzione nel nostro Paese. Una legge che – spiegava Di Maio – non si sarebbe applicata al caso della Pernigotti perché come tutti sanno «le leggi si applicano dal giorno dopo che si sono approvate».

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Che fine ha fatto la legge per tutelare i marchi Made in Italy?

Ma della Pernigotti il governo del Cambiamento aveva iniziato ad occuparsene già a novembre 2018. Il deputato M5S Riccardo Olgiati ci spiegava su Facebook che il nuovo esecutivo “non si incina né si genuflette davanti a nessuno” ribadendo che “i prenditori non sono più benvenuti” perché in Italia “non si gioca più sulla pelle delle persone”. E Di Maio aveva voluto mandare un messaggio chiaro ai “prenditori” turchi: «o tengono aperto lo stabilimento o racconterò al mondo che Pernigotti produce per conto terzi e credo che questo non favorirà il marchio». A quanto pare delle minacce di Di Maio non tiene conto nessuno.

In un comunicato stampa sul sito del MISE pubblicato il 15 novembre viene riportata una dichiarazione del ministro. Due gli aspetti interessanti. Il primo: «Se la proprietà turca non vuole più investire in questo stabilimento deve allora dare la totale disponibilità a cedere il marchio e lo stabilimento: ci impegneremo a trovare nuovi soggetti interessati»Il secondo: «Entro la fine dell’anno faremo una proposta di legge che lega, per sempre, i marchi al loro territorio: non è più accettabile che si venga in Italia, si prenda un’azienda come Pernigotti, si acquisisca il marchio, poi si cambino 5 manager in 5 anni». La proposta di legge c’è, o meglio sono due. Una è quella presentata da Federico Fornaro di LEU e l’altra è quella del leghista Riccardo Molinari. Entrambe propongono di far perdere la titolarità di un marchio “storico” a quegli imprenditori che cessano l’attività. Nessuna delle due è stata approvata. Manca all’appello quella annunciata da Di Maio.

A novembre anche il candidato presidente della Regione Piemonte per il M5S Giorgio Bertola lodava l’impegno del Premier Conte e del ministro Di Maio perché erano riusciti ad ottenere la sospensione della procedura di licenziamento, presentata come una delle “azioni concrete” messe in atto dal governo del Cambiamento. Di fatto però il gruppo Toksoz non ha mai ceduto di un millimetro, voleva chiudere lo stabilimento e lo farà. Voleva tenersi il marchio Pernigotti e – salvo decisioni di vendita dell’ultimo minuto – lo terrà. Il governo non ha strumenti per obbligare Toskoz a vendere. «Concederemo la Cassa integrazione per cessazione, solo se l’azienda ci garantisce la reindustrializzazione e che i lavoratori continueranno a lavorare», diceva Di Maio uscendo dall’incontro con la proprietà il 15 novembre. I turchi però non hanno mai avuto intenzione di cedere il marchio e gli acquirenti che si sono fatti avanti non erano interessati ad acquistare lo stabilimento senza il marchio Pernigotti.