La vera storia della penale per il cambio del gestore telefonico

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-02-24

Il nuovo Ddl sulla concorrenza reintroduce la penale per chi disdice i contratti telefonici? Le cose non stanno proprio così, anche se la norma è scritta male

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Venerdì scorso il Governo ha varato il nuovo Ddl sulla concorrenza, come è spiegato nel testo lo scopo della legge è quello di «rimuovere ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei princìpi del diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza». Tra le varie norme una in particolare fa storcere il naso ai consumatori: la – presunta – reintroduzione della penale in caso di rescissione di un contratto con un gestore telefonico.


COM’ERA LA SITUAZIONE
Nel 2007 l’allora ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani emanò un Ddl (poi convertito in legge) “per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese” note a tutti come le “lenzuolate” di Bersani. In particolare la legge (oltre all’abolizione dei costi fissi di ricarica per la telefonia mobile) conteneva delle misure per garantire ai consumatori la libertà di recesso, dando il via libera ai passaggi da un’operatore all’altro. Nel dettaglio il comma 3 dell’articolo 1 della legge 40/2007 recita:

contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle, fatta salva la facoltà degli operatori di adeguare alle disposizioni del presente comma i rapporti contrattuali già stipulati alla data di entrata in vigore del presente decreto entro i successivi sessanta giorni.

In sostanza la cosiddetta “legge Bersani” consentiva ai contraenti la possibilità di recedere da un contratto telefonico o di cambiare operatore senza dover pagare “spese non giustificate dai costi dell’operatore”. In poche parole il consumatore è tenuto a pagare solo i costi tecnici del passaggio mentre non deve assolutamente essere costretto a pagare una penale per aver “abbandonato” il gestore telefonico.

Il testo del ddl sulla concorrenza 2015 (fonte: governo.it)
Il testo del ddl sulla concorrenza 2015 (fonte: governo.it)

DOVE INTERVIENE IL NUOVO DDL
La nuova norma va ad integrare proprio il terzo comma della legge 40/2007 aggiungendo la frase che ha fatto nascere molti dubbi circa la possibilità di una reintroduzione della penale in caso di recesso: «In ogni caso, le spese e ogni altro onere comunque denominato relativi al recesso o al trasferimento dell’utenza ad altro operatore sono commisurati al valore del contratto e comunque resi noti al consumatore al momento della sottoscrizione del contratto». Questo paragrafo fa pensare che l’eventuale penale possa essere inserita dagli operatori telefonici all’interno dei “costi tecnici” ovvero quei costi “giustificati” previsti anche dalla legge Bersani e che l’utente dovrà pagare per poter cambiare contratto e gestore telefonico. Inoltre il nuovo Ddl sulla concorrenza obbliga i gestori telefonici a comunicare in modo chiaro l’esistenza di eventuali oneri di recesso e al comma 3-ter stabilisce che «l’eventuale penale deve essere equa e proporzionata al valore
del contratto e alla durata residua della promozione offerta
». Insomma la parola penale ci sarebbe davvero, è poco chiaro in che modo questa nuova norma possa contribuire alla tutela del consumatore che è uno dei principi cardine della legge Bersani. Fonti del ministero dello Sviluppo Economico hanno riferito al Messaggero che le modifiche alla legge 40/2007 vanno nella direzione di garantire maggiore trasparenza portando alla luce quei costi occulti (le famigerate “spese di disattivazione” che spesso altro non sono che delle penali mascherate) che i consumatori si sono trovati a pagare lo stesso quando decidevano di cambiare gestore o di rescindere il contratto telefonico. Sotto un altro aspetto la nuova normativa si adegua anche al cambiamento delle tariffe e delle offerte telefoniche dal 2007 ad oggi. Prendiamo il caso dell’offerta di un contratto telefonico della durata di 24 mesi (magari con smartphone di ultima generazione in comodato d’uso) è logico che se l’utente decide di disdire il contratto anticipatamente debba pagare una penale “equa e proporzionale alla durata residua della promozione offerta”. Le penali per la rescissione dei contratti vincolati ci sono già ora, la legge sembra voler mettere ordine quantificando l’entità della penale in base al tempo rimanente nell’offerta promozionale, invece che lasciare la decisione nelle mani delle compagnie telefoniche.
 
LA PRECISAZIONE DEL MISE
Una nota del Ministero dello Sviluppo Economico precisa infatti che la legge non prevede alcuna penale per il cambio del gestore.

La norma inserita nel disegno di legge non cambia infatti le disposizioni generali in materia di recesso anticipato dai contratti di telefonia, internet e tv (già regolati dal DL 7/2007) ma disciplina i costi di uscita dalle sole promozioni relativi ai medesimi servizi (come per esempio l’uso di uno smartphone o le partite di calcio gratuite).
In primo luogo fissa un tetto di 24 mesi alla durata delle promozioni stesse.
Secondariamente stabilisce che le eventuali penali – già esistenti nelle promozioni – devono rispettare una serie di stringenti requisiti di trasparenza sia verso il cliente, sia verso il regolatore. In particolare, l’operatore dovrà fornire al consumatore informazione esaustiva in merito all’esistenza e all’entità di costi d’uscita. Dovrà inoltre spiegarne analiticamente al Garante delle comunicazioni, sulla base dei costi effettivamente sostenuti, la giustificazione.
In terzo luogo, la norma impone che i costi d’uscita siano proporzionali al valore del contratto e alla durata residua della promozione.

Quindi quello che era vietato dalla legge Bersani continuerà ad esserlo, dice il Ministero. Forse per questa volta allora l’avvento della dittatura annunciata dai preoccupati lettori del Fatto Quotidiano è rimandata ancora di qualche tempo.

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