Da oggi dare dell'orango a qualcuno non è razzismo

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-09-16

L’assurda decisione del Senato sul caso Calderoli-Kyenge dopo le frasi del vicepresidente leghista durante un comizio a Treviglio del 13 luglio 2013: «Io sono anche un amante degli animali, per l’amor del cielo. Ho avuto le tigri, gli orsi, le scimmie, e tutto il resto. I lupi anche c’ho avuto. Però quando vedo uscire… delle sembianze di oranghi, io resto ancora sconvolto»

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“Ogni tanto smanettando con Internet, apro ‘Governo Italiano’, e cazzo cosa mi viene fuori, la Kyenge. Io resto secco. Io sono anche un amante degli animali, per l’amor del cielo. Ho avuto le tigri, gli orsi, le scimmie, e tutto il resto. I lupi anche c’ho avuto. Però quando vedo uscire… delle sembianze di oranghi, io resto ancora sconvolto”: prendete appunti e rivedete il concetto di istigazione all’odio razziale. Perché l’aula del Senato oggi ha deciso che quello che ha detto Roberto Calderoli è sì diffamazione (e ci mancherebbe), ma non costituisce istigazione. Calderoli, durante un comizio a Treviglio del 13 luglio 2013, si era rivolto all’allora ministro dell’Integrazione del governo Letta definendola un «orango», e reiterando un vecchio caposaldo del razzismo, quello del paragone tra persone di colore e scimmie. Ma evidentemente il Senato ha inteso salvare il suo vicepresidente che ha avuto il coraggio di pronunciare una frase che in altri paesi, ben più civili del nostro, avrebbe causato l’abbandono della politica e le dimissioni da ogni carica.
 
KYENGE, CALDEROLI E IL RAZZISMO DEL SENATO
Invece Calderoli è ancora lì, a cazzeggiare con emendamenti che ci costano un milione di europoi ritirati e a prendersi gioco delle istituzioni. L’assemblea del Senato ha autorizzato il tribunale di Bergamo a procedere nei confronti del vicepresidente del Senato in ordine all’ipotesi di reato di diffamazione, escludendo tale possibilità per l’ipotesi di reato di istigazione all’odio razziale. Come ha ricordato lo stesso Calderoli il Tribunale di Bergamo ha fissato per l’inizio di ottobre una udienza che potrebbe essere anche finale per il procedimento. Prendendo la parola in aula, l’esponente del Carroccio ha ripercorso i fatti che hanno portato a tale procedimento, ricordando come si fosse subito accorto “di aver detto una stupidata. Avrei voluto tagliarmi la lingua, ho fatto una battuta che era ed è censurabile, lo riconosco, ma tirare in ballo l’istigazione all’odio razziale” è decisamente troppo. Calderoli ha ricordato di aver espresso subito le scuse al ministro, che ha dimostrato “nei fatti” di averle accettate, e di aver subìto di conseguenza anche un congruo periodo “di panchina” nelle sue funzioni di vicepresidente del Senato. Calderoli ha anche rimarcato come lo stesso ministro Kyenge non ha mai presentato denuncia per diffamazione nei suoi confronti. Nelle scuse che ha rinnovato, Calderoli ha anche ricordato la sua situazione di salute, che in particolare ai tempi del fatto attraversava un momento maggiormente difficile, con pesanti cure che “quando le fai non ci sei con la testa e qualche stupidata magari ci scappa”. La Kyenge su Facebook invece ha ricordato che questa decisione ci mette alla berlina in Europa: «C’è una legge del nostro Paese, la Legge Mancino, che persegue l’istigazione all’odio razziale. Per il Senato italiano, che oggi ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata d’ufficio dal Tribunale in forza della Legge Mancino, in queste parole non c’era discriminazione razziale. In Europa il livello di guardia verso il razzismo è altissimo. Il messaggio di questo voto è che la politica è irresponsabile, che non c’è un argine all’uso irresponsabile di parole che avvelenano la società, seminando odio razziale. E’ un messaggio triste. Non lo nascondo, sono amareggiata. Ma io vado avanti».
 
LA DECISIONE ASSURDA
“La scelta di alcuni senatori di negare l’evidente discriminazione razziale negli insulti del leghista Roberto Calderoli all’eurodeputata Pd, e allora ministro per l’Integrazione, Cécile Kyenge, è miope, inaccettabile e fuori dall’Europa”, ha dichiarato la capodelegazione degli eurodeputati Pd, Patrizia Toia, criticando la scelta di alcuni senatori di ridurre gli insulti di Calderoli a una semplice diffamazione fra due persone. “Il Senato Ha scelto di non vedere che le parole di Calderoli non sono solo discriminatorie, perché appartengono a una mentalità e a una retorica razzista mai completamente sradicata che risale al ventennio fascista, ma sono il coronamento di una vergognosa campagna razzista portata avanti dalla Lega Nord, di cui Calderoli è un esponente di spicco, contro la prima ministra italiana nera, che aveva proprio il compito di promuovere l’integrazione”. La scelta di alcuni senatori, ha concluso la capodelegazione Pd, “manda un messaggio sbagliato in un momento in cui c’è un’Europa mette in primo piano la dignità delle persone, i diritti e la non discriminazione e negli altri Paesi, come la Germania, si è adottata una politica di tolleranza zero contro ogni forma di razzismo e xenofobia”.

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