Uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Universita’ di Perugia (DFG-UNIPG) ha scoperto la presenza di magma sotto gli Appennini meridionali nell’area del Sannio-Matese. La ricerca – dal titolo “Seismic signature of active intrusions in mountain chains” – è stata pubblicata sulla rivista Science Advances. La scoperta consentirà di capire meglio la genesi degli eventi sismici ma, come spiega al Corriere Giovanni Chiodini, geochimico Ingv, «È da escludere che il magma che ha attraversato la crosta nella zona del Matese possa arrivare in superficie formando un vulcano».
Gli scienziati, coordinati dal geofisico dell’INGV Francesca Di Luccio, hanno analizzato una sequenza sismica anomala avvenuta nel 2013 lungo la dorsale appenninica nell’area del Sannio-Matese. Studiando la sequenza, con magnitudo massima registrata pari a 5. La sequenza sismica è iniziata il 29 dicembre 2013. Nei successivi 50 giorni i sismografi dell’INGV hanno registrato 350 scosse di assestamento concentrate ad una profondità compresa tra i 10 i 25 km. Una prima anomalia rilevata è proprio la profondità dell’epicentro dei terremoti. Generalmente nell’area degli Appenini meridionali sono più superficiali (10-15km) ma la conoscenza delle faglie nella regione del Sannio-Matese è meno accurata e definita rispetto ad altre aree italiane sismicamente importanti, come ad esempio quelle del vicino Abruzzo.
Una seconda anomalia invece riguarda le forme d’onda registrate durante le scosse, che sono simili a quelle dei terremoti che avvengono nelle aree vulcaniche. A differenza di questi ultimi però l’attività sismica osservata nel Matese non era continua (come invece accade nelle aree vulcaniche) ed ad una profondità maggiore. Nella zona degli Appennini inoltre generalmente gli eventi sismici vengono ricondotti al movimento delle placche tettoniche o al rilascio di energia dovuto alla presenza di gas sottoposto a pressione. Alla luce dei dati raccolti i ricercatori ipotizzano che nella zona del Sannio-Matese i terremoti possano essere innescati da una risalita di magma nella crosta.
Non siamo però in presenza, scrivono i ricercatori, di un processo di accumulazione attiva di magma ma di impulsi di intrusione magmatica che generano un aumento di pressione che a sua volta dà inizio all’evento sismico. Secondo le stime dei ricercatori la quantità di magma parzialmente fuso presente sotto il Sannio-Matese potrebbe ammontare ad un volume di circa 30 km cubici. Un ulteriore indizio a sostegno della teoria dall’esistenza di magma è la presenza di anidride carbonica disciolta negli acquiferi della zona che potrebbe essere dovuta proprio all’intrusione di magma responsabile del rilascio del gas
Lo studio va quindi a colmare una lacuna per quanto riguarda la genesi degli eventi sismici nell’area e potrà fornire strumenti per interpretare “la sismicità nelle catene montuose ai fini della valutazione del rischio sismico correlato”. I ricercatori ritengono infatti che la presenza di magma vada tenuta presente nella valutazione del rischio sismico perché generalmente “le intrusioni attive di magma possono dare luogo a terremoti a maggiore profondità con una magnitudo superiore a 5”.
Foto copertina via INGV