Consip, perché Luca Lotti è nei guai

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-03-03

Ieri il ministro e braccio destro di Renzi se l’è presa con i giornali che hanno osato raccontare le tante incongruenze presenti nel suo racconto ai magistrati. Vediamole

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Luca Lotti ieri ha pubblicato su Facebook un’autodifesa emotiva che mira a serrare le fila dei renziani sul caso Consip e l’indagine per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento in cui è coinvolto. È tornato a prendersela con i giornali che a suo dire “rivelano il segreto d’ufficio” (falso: i giornali fanno il loro mestiere ed è chi fornisce le informazioni, semmai, a rivelare segreti) e ha detto che ci “sarebbe da ridere” per la mozione che il MoVimento 5 Stelle ha presentato contro di lui. Purtroppo, Lotti ha anche perso l’ennesima occasione per chiarire pubblicamente i motivi della sua estraneità ai fatti nella vicenda e perché, se appunto è estraneo, due renziani di ferro come Filippo Vannoni e Luigi Marroni lo hanno chiamato in causa.

Consip, perché Luca Lotti è nei guai

Per questo oggi Luca Lotti è nei guai. A fare il suo nome ai magistrati per la prima volta è proprio Marroni durante l’interrogatorio a Napoli in seguito alla bonifica del suo ufficio. L’uomo che Matteo Renzi ha messo nel 2015 al vertice della Consip racconta ai magistrati di aver ricevuto tre avvertimenti di un’indagine che lo coinvolge: uno da Filippo Vannoni, anche lui renziano di ferro e presidente di Publiacqua, che lo avverte di essere intercettato. Uno da Emanuele Saltalamacchia, comandante dei carabinieri. E uno da Luigi Ferrara, presidente di Consip che dice di averlo saputo dal comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette. Poi Marroni mette testualmente a verbale: “Sempre a luglio 2016 durante un incontro Luca Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Domenico Casalino (non indagato, ndr) e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore”.

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Luigi Marroni, AD di Consip e accusatore di Lotti e Tiziano Renzi

Poi c’è Filippo Vannoni. Viene ascoltato dopo Marroni come testimone e ovviamente deve dire la verità. Prima sostiene di non ricordare come è venuto a sapere dell’inchiesta Consip ma quando i magistrati Henry John Woodcock e Celeste Carrano gli leggono il verbale dell’ad di Consip comincia a rimembrare: “Fu Luca Lotti a dirmi che c’era una indagine su Consip, dicendomi di stare attento”. E sostiene anche che a dargli un allarme “generico” sulla Consip fu Matteo Renzi. A questo punto Lotti si presenta dai magistrati il 27 dicembre. E racconta una storia stranissima, riportata nel gennaio scorso dal Fatto:

Dopo aver specificato di conoscere Vannoni dal 2008 ma di non “averlo incontrato nel corso del 2016”, Lotti spiega di esserselo ritrovato davanti per puro caso proprio “il 21 dicembre”. Racconta il ministro che all’alba di quel mercoledì mattina, poco prima delle sette, ha “incontrato casualmente alla stazione di Firenze il Vannoni, con il quale mi sono velocemente salutato apprendendo che si stava recando a Napoli”. I due salgono sullo stesso treno che parte alle 6.50 da Santa Maria Novella.
Lotti alle 8.48 scenderà a Roma Termini, mentre Vannoni proseguirà fino al capoluogo campano dove arriva alle 9.55 e corre in procura perché convocato dai pm Henry John Woodcock, Enrica Parascandalo e Celeste Carrano. Del resto quella mattina su quel treno Vannoni ci sale solo per questo motivo: andare a Napoli per essere interrogato dai magistrati che da lui vogliono la conferma di quanto dichiarato da Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip, e cioè che la soffiata sull’inchiesta è arrivata da alcuni soggetti: il comandante dell’Arma, Tullio Del Sette; il comandante dei carabinieri della Toscana, Emanuele Saltalamacchia, Lotti. E lui.

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Filippo Vannoni, presidente di Publiacqua

Vannoni è sottoposto a interrogatorio come persona informata sui fatti, non è indagato. Parla per oltre due ore e alle 15 è già a Roma. A Largo Chigi. Dice a verbale Lotti: il pomeriggio del 21, mentre “stavo rientrando in ufficio, ho trovato Vannoni, voleva parlarmi”. Vannoni, prosegue Lotti, “imbarazzato e con modi concitati, mi ha informato di essere stato sentito da Woodcock a Napoli e di avergli riferito di aver ricevuto da me informazioni riguardo l’esistenza di indagini su Consip; alle mie rimostranze circa la falsità di quanto affermato, lui ha ammesso di aver mentito e quando ho chiesto il perché si è scusato in modo imbarazzato, ottenendo una mia reazione stizzita, tanto da avergli detto ‘non ti do una testata per il rispetto del luogo nel quale siamo’, congedandolo”.

Le opportunità di una sfiducia per Lotti

La storia che racconta Lotti contiene tratti di originalità: perché Vannoni inventa un coinvolgimento del ministro nel caso Consip? Perché, alla faccia del segreto d’ufficio, gliela va a rivelare subito dopo averlo raccontato ai magistrati? Perché Lotti si lamenta delle rivelazioni di segreto d’ufficio dei quotidiani ma non delle rivelazioni di segreto d’ufficio di Vannoni (ok, questo è comprensibile)? Perché il renziano Vannoni avrebbe messo nei guai proprio Lotti raccontando una storia falsa ai magistrati? Perché la stessa storia falsa viene raccontata dal renziano Marroni? Perché Lotti su Facebook non nomina mai né Vannoni né Marroni, nonostante ad ascoltare la sua versione loro lo abbiano calunniato (la calunnia è il reato di chi accusa qualcun altro davanti al magistrato pur sapendolo innocente)? Perché Lotti non ha denunciato per calunnia almeno Vannoni, a suo dire reo confesso del reato nel suo ufficio di Largo Chigi?

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L’autodifesa di Luca Lotti su Facebook

Lotti non ha in alcun modo chiarito nessuno di questi punti, prendendosela invece con i giornali che hanno scritto articoli su di lui. Eppure dovrebbe aver presente di essere ministro e braccio destro di Renzi. E dovrebbe anche aver presente che la mozione di sfiducia presentata nei suoi confronti servirà ad ottenere tutte le risposte alle domande che lui ha accuratamente evitato nelle sue uscite pubbliche. Anche perché i conti di Repubblica sulla sfiducia individuale del ministro non sono molto incoraggianti:

Guardando la composizione dei gruppi si può vedere come il no alla sfiducia parta da 155 voti sicuri: Pd, Area popolare, Autonomie, più voti del Misto come quello di Repetti e Bondi. Siamo quindi in zona-rischio rispetto alla maggioranza assoluta che è a quota 161. Il sì alla sfiducia conta sui voti sicuri di grillini e leghisti. Se Forza Italia si aggiungesse arriverebbe a 96 voti. Ma regna un margine di incertezza sul voto finale perché bisogna capire cosa faranno i 9 fittiani e i 14 del gruppo Gal. Lì siedono senatori come Naccarato e Compagna difficili da assegnare al sì. Resta così potenzialmente determinante il gruppo di Verdini, appena scosso dalla condanna del capo. Sono 16 senatori che potrebbero “compensare” l’eventuale sì alla sfiducia del Mdp. Ma potrebbe anche scattare il “libera tutti” per guardare a collocazioni future e dare intanto un colpo al governo.

E, come ciliegina sulla torta, proprio ieri Gianni Cuperlo ha chiesto un passo indietro a Lotti, mettendo così in dubbio la compattezza dello stesso Partito Democratico. Che però si dovrà nel caso affidare a Denis Verdini per salvare il braccio destro di Renzi. Lo stesso Verdini che alla fine Gentiloni non ha voluto nel suo governo. E che ieri è stato condannato per bancarotta.

Leggi sull’argomento: Tiziano Renzi e il pizzino con i 30mila euro a T.

 

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