Due settimane fa, allo scoccare della guerra e dell’invasione russa in Ucraina, il governo inglese lo aveva bandito dal Paese. Una azione per dare un forte segnale contro tutti quegli oligarchi russi che risiedono tra Londra e dintorni per fare business. Per quel motivo Roman Abramovich aveva deciso di mettere in vendita il suo asset principale nel Regno Uniti: il Chelsea Football Club. Ora, però, la doccia gelata per lui (e non solo): il governo di Boris Johnson ha deciso di congelare tutti i suoi beni, bloccando – di fatto – la vendita del club.
Come riporta il Corriere della Sera, Roman Abramovich – da sempre vicino a Vladimir Putin, anche se proprio in concomitanza con il suo ban da Londra aveva annunciato la destinazione degli utili provenienti dalla cessione del Chelsea al popolo ucraino – fa parte della lista dei setti magnati a cui Londra ha congelato i beni (si parla di un valore totale di circa 18 miliardi di euro). E la misura contro il patron del club londinese non prevede solamente l’impossibilità di cedere la squadra (perché sarebbe un’attività economica in grado di far realizzare utili):
“ma il club non potrà più vendere biglietti per futuri incontri né partecipare al calciomercato e neppure vendere i propri gadget”.
La squadra, attualmente terza in classifica e ancora in corsa nell’attuale Champions League (e campione in carica della principale competizione europea per club), potrà continuare a giocare in Premier League per “rispetto nei confronti dei fan”. Ma tutto il resto è bloccato.
La stessa misura che sta subendo e subirà Roman Abramovich è stata estesa anche ad altri 6 magnati russi considerati da Londra molto vicini a Vladimir Putin: da Oleg Deripaska (considerato il Re dell’Alluminio) a Dmitri Lebedev (a capo di Bank Rossiya) arrivando fino ad Andrey Kostin (numero uno della banca per il commercio estero Vtb), passando per i giganti del settore energetico Alexei Miller (amministratore delegato di Gazprom), Nikolai Tokarev (presidente della Transneft che si occupa di gasdotti e oleodotti proprio su incarico del Cremlino) e Igor Sechin (amministratore delegato della compagnia petrolifera Rosneft). Per tutti loro, i beni londinesi sono stati congelati. Per un valore di 18 miliardi di euro.