Come quasi tutte le cose che riguardano l’umanità, anche il vaccino per Ebola è una questione di soldi. Ettore Livini su Repubblica ci racconta oggi una questione laterale ma di grande importanza sull’epidemia che è sbarcata ufficialmente in Europa con la malattia dell’infermiera e la possibile morte di un britannico in Macedonia.
IL BUSINESS DEI VACCINI PER EBOLA
La firma dell’economia di Repubblica spiega che finora le epidemie si erano scatenate soprattutto negli stati africani, a partire dal fatidico 1976, data in cui è documentata la prima. Adesso, invece, è un problema di tutti:
Il copione è un deja vu. Andato in onda con la Sars e l’influenza A. «Il business dei vaccini è in mano a 4-5 colossi — è la spiegazione di Adrian Hill, professore a Oxford e responsabile del team inglese incaricato da David Cameron di dare la risposta d’emergenza all’epidemia— avremmo potuto stroncare l’ebola da anni. Ma è impossibile perché è un “no business case”». Tradotto in soldoni: inutile sprecare miliardi in ricerca e sviluppo per mettere sul mercat oun medicinale che serve a poche migliaia di persone. «Molte delle quali — ironizza Hill — non avrebbero i soldi per pagarlo».
E Wall Street conferma il teorema: «Ora che il pericolo Ebola è diventato un incubo globale,i titoli della Tekmira — titolare di uno dei farmaci più promettenti— hanno messo le ali, guadagnando quasi il 50% in poche sedute. Il codice postale, per Big Pharma e per la Borsa, conta più di quello genetico. Il rischio contagio è uscito dall’Africa per diventare planetario». Ma la verità è che Big Pharma è rappresentanza di aziende private, e spende solo dove vede un profitto. Non sempre, visto che Glaxo venderà il vaccino della malaria a prezzo politico. Mentre Sanofi per il suo prodotto anti-dengue stima entrate per un miliardo di dollari.