Brexit: ma Nigel Farage fra quanto si dimette dall'Europarlamento?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-06-27

Sono passati già quattro giorni dalla vittoria di Farage e il leader dell’UKIP non ha ancora annunciato le dimissioni dal Parlamento Europeo. Strano. O forse no: perché in fondo in fondo quando l’Europa ti paga non è poi così male

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In attesa che il Parlamento britannico ratifichi il risultato del referendum e dia l’avvio – con una formale richiesta al Consiglio d’Europa – alla procedura di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea secondo quanto stabilito dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona c’è grande attesa per sapere cosa farà Nigel Farage. Il leader dell’UKIP (United Kingdom Indipendence Party) è sostanzialmente l’unico ad aver vinto davvero il referendum sulla Brexit. Il problema per lui però è il suo partito ha un solo rappresentante alla House of Commons dove si svolgerà il dibatto per decidere se dare mandato al governo di applicare la clausola di recesso dall’Unione.

Le prossime mosse di Nigel Farage

Di fatto quindi per Farage la partita si è conclusa con la vittoria dei Leave al referendum del 23 giugno. Da quel giorno in avanti l’unica cosa che l’UKIP può fare è tentare di condizionare dall’esterno il dibattito parlamentare. Il problema è che in quella sede la battaglia sarà soprattutto all’interno dei due partiti principali, ovvero Tory e Labour, e sembra essere improbabile che ci sia spazio per ascoltare quello che vorrebbe Farage il cui elettorato anti-Europa è rappresentato solo in Europa. Inoltre l’UKIP non ha nessun rappresentante all’interno dei parlamenti locali di Scozia e Irlanda del Nord, due delle regioni meno euroscettiche del Regno dove si sta valutando l’ipotesi di staccarsi dal Regno Unito per poter mantenere lo stato di membri UE. Alle elezioni del 2014 l’UKIP è riuscito a far eleggere ben 22 eurodeputati (sui 73 assegnati al Regno Unito) ed ha formato un gruppo parlamentare con il Movimento 5 Stelle chiamato “Europe of Freedom and Direct Democracy” (EFDD). Il punto è che l’Europarlamento non può condizionare la procedura di uscita del Regno Unito dalla UE, una procedura che viene gestita per conto dell’Unione (su mandato della maggioranza del Parlamento) dal Consiglio europeo, ovvero l’assemblea della quale fanno parte i capi di Stato o di governo dei 28 Stati membri dell’UE, il presidente del Consiglio europeo e il presidente della Commissione europea. Cosa resta da fare quindi a Farage? Di fatto l’UKIP può solo insistere a fare proclami minacciosi ma ha le mani legate. Se Nigel Farage volesse dimostrare di essere pronto a tutto pur di uscire dalla UE dopo la vittoria del referendum si dimetterebbe dall’Europarlamento e farebbe ritirare la delegazione di eurodeputati dell’UKIP. Ma è improbabile che accada perché alla fine i soldi dell’Unione fanno comodo, perché non c’è altro motivo per rimanere in Europa se non quello di temporeggiare in attesa che il paese se ne vada dall’Unione. Certo, l’uscita prematura dell’UKIP dal Parlamento Europeo avrebbe anche un’altra conseguenza perché significherebbe la chiusura del gruppo EFDD. Per poter formare un gruppo all’Europarlamento è infatti necessario che ne facciano parte almeno 25 deputati provenienti da almeno sette paesi diversi. Attualmente il gruppo EFDD è composto da 46 deputati provenienti da otto paesi differenti. Con l’uscita dell’UKIP però rimarrebbero appena 24 eurodeputati (17 sono quelli eletti tra le fila del Movimento) quindi il gruppo, a meno di non fare – di nuovo – campagna acquisti, dovrebbe chiudere i battenti, condannando all’irrilevanza politica i partiti che ne fanno parte. In un discorso all’Europarlamento l’8 giugno scorso Farage aveva annunciato che la vittoria del Sì al referendum sulla Brexit avrebbe significato la fine del progetto europeo

And I hope on June 23rd it is not just independence day for the United Kingdom, I hope it brings an end to this entire project and in a few years’ time we can be sovereign, democratic nation states that work and trade together.

Ma soprattutto Farage aveva auspicato che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe parlato all’europarlamento, aggiungendo che ne sarebbe uscito per un bel po’ di tempo

I hope this is the last time I’ll be speaking in this parliament from a Member State and I hope that we are going to leave this union on June 23rd. So I’m going out now, I may be some time.

Ma questo discorso “incendiario” non significa assolutamente che Farage farà seguito alle sue dichiarazioni. Perché Farage, antieuropeista che siede all’europarlamento dal 1999 è un uomo che non si fa problemi a fare promesse che sa di non essere in grado di mantenere.

The fables of Farage 

Qualche giorno fa il leader dell’UKIP, spiegando che probabilmente i 350 milioni di sterline che – secondo i comitati del Leave – il Regno Unito paga all’Unione non sarebbero stati spesi per il budget del Servizio sanitario nazionale, aveva detto di non aver mai detto una cosa del genere. In realtà non solo anche i comitati gestiti dall’UKIP hanno fatto campagna sul budget del NHS ma pure Farage stesso ha pronunciato quelle parole che venerdì diceva di non aver mai detto, eccolo qui.

Cosa resta quindi da fare a Farage? Al momento l’unica cosa che può fare è chiedere di essere inserito nella lista di coloro che condurranno un negoziato con l’Unione Europea in caso di Brexit. Il punto è che non c’è alcun motivo, per il futuro governo inglese, di far partecipare l’UKIP alle trattative con la UE, per questo motivo c’è chi ha aperto la sempre utilissima e risolutiva raccolta firme online mentre Farage fa sapere di “essere pronto” a dare una mano a chi volesse chiamarlo. La sua paura è che la il partito conservatore voglia marginalizzarlo, il che non sarebbe un male visto che la sua presenza potrebbe solo far irrigidire la controparte. Ed a proposito di Europa sarebbe auspicabile che ad un certo punto qualcuno chiedesse le dimissioni dell’uomo che ci ha portato a questa situazione ovvero il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Perché la responsabilità non è solo di David Cameron, che ha agitato lo spettro della Brexit come arma per ricattare l’Unione, ma anche di chi ha ceduto al ricatto e non ha saputo condurre un negoziato da una posizione di forza.

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